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Ecco perché Al Qaida sta perdendo

di Massimo Introvigne (il Giornale, 8 ottobre 2005)

La stampa americana liberal ha iniziato ufficialmente la campagna contro il Partito Repubblicano in vista delle elezioni politiche del 2006, subito ripresa dai corrispondenti da New York di certi quotidiani italiani che hanno l'abitudine di prendere per oro colato tutto quanto pubblicano il New York Times o il Washington Post. Leggiamo così che la guerra al terrorismo si sta trasformando in una disfatta, che l'Irak sta cadendo nelle mani dei fondamentalisti e che Condi Rice - celebrata come un genio della geo-politica solo qualche mese fa - è un'imbecille, come del resto è provato dal fatto che non è riuscita ad acchiappare non si dice Bin Laden, ma neanche un marito o un amante fisso. In una parola, Al Qaida sta vincendo.

C'è però almeno un'organizzazione che non è d'accordo con queste analisi: ed è la stessa Al Qaida. La lettera del numero due di Al Qaida, al-Zawahiri, al capo dell'organizzazione terroristica in Irak al-Zarqawi, pubblicata dal Pentagono in forma integrale - dopo che versioni parziali erano uscite su diversi siti Internet, compresi siti islamici che incitano alla jihad - non si limita ad affermare che le stragi di civili irakeni «ci sottraggono il consenso delle masse islamiche». Elenca anche nel dettaglio una serie di sconfitte: l'arresto o l'uccisione di decine di leader di Al Qaida, l'impossibilità di operare in modo significativo in Afghanistan, le gravissime difficoltà che il vertice ha di comunicare con la base, problemi “drammatici” anche nelle risorse finanziarie che sembravano inesauribili.

L'argomento secondo cui neanche la versione del Pentagono della lettera di al-Zawahiri potrebbe essere quella originale è stato immediatamente usato dalla stampa anti-Bush, ma non è decisivo. Infatti gli specialisti sanno bene che analisi del tutto simili circolano da diversi mesi in Al Qaida e sono esposte in documenti la cui attribuzione all'organizzazione di Bin Laden non è contestata da nessuno. Dai primi mesi del 2005 è diffuso negli ambienti ultra-fondamentalisti un libro di 1.601 pagine del siriano Abu Musab al-Suri dal titolo Un appello alla resistenza islamica globale.

Al-Suri non fa parte dell'irrequieta “seconda generazione di Al Qaida” spesso invocata da al-Zarqawi, ma della prima ed è stato insieme con Osama bin Laden un discepolo diretto dell'ideatore di Al Qaida, lo shaykh Abdullah Azzam. Nel suo libro, al-Suri - che viene da un illustre lignaggio familiare di maestri sufi siriani, e non è un teorico puro avendo “lavorato” in Afghanistan come esperto di esplosivi - espone le stesse idee ora emerse nella lettera di Zawahiri: uccidere civili musulmani è probabilmente immorale e certamente controproducente, seminare odio fra sunniti e sciiti come fa al-Zarqawi in Irak nuoce agli scopi globali di Al Qaida (che ha bisogno del sostegno degli sciiti e del governo iraniano altrove), e questi errori sono alla radice di tutta una serie di sconfitte. Il 25 settembre scorso un leader di Al Qaida in Egitto, al-Hilali, ha tradotto le stesse idee in un messaggio in cui invita a colpire turisti e diplomatici stranieri, mentre uccidere civili musulmani mette a rischio la stessa esistenza di Al Qaida. Per una certa sinistra italiana e americana è difficile capirlo, ma forse questi dirigenti di Al Qaida conoscono i problemi della loro organizzazione meglio del New York Times. E ci dicono che dal punto di vista strategico globale non sta vincendo, ma perdendo, anche se è certamente ancora in grado di seminare terrore e morte in molti paesi.