CESNUR - Centro Studi sulle Nuove Religioni diretto da Massimo Introvigne
www.cesnur.org

Il ritorno della religione

di Massimo Introvigne (L'Indipendente, 11 aprile 2006)

Le trattative di Ehud Olmert (il successore di Ariel Sharon alla guida del partito Kadima, creato da Sharon stesso per cercare di accelerare la realizzazione del processo di pace e stabilizzazione in Medio Oriente) per formare un nuovo governo in Israele tengono sempre più conto di un dato sfuggito alla maggioranza dei commentatori stranieri: il successo elettorale dei partiti religiosi e la sparizione delle forze di tipo esplicitamente laicista e antireligioso come lo Shinui, precipitato dai 15 seggi che lo avevano portato a entrare nel governo Sharon dopo le elezioni del 2003 a un risultato sotto il quorum che stavolta lo ha tenuto fuori del Parlamento.

I partiti religiosi ultraortodossi dal 2003 al 2006 sono passati da 16 a 19 seggi, solo uno meno dei laburisti.

A rigore, non è corretto sommare agli ultraortodossi dello Shas sefardita (13 seggi) e Yahadut-HaTorah ashkenazita (6 seggi) il Partito Nazional-Religioso (9 seggi) arrivando a 28 seggi, gli stessi del partito vittorioso Kadima. Fin dalle loro origini ultraortodossi e nazional-religiosi sono espressione di modi diversi di intendere il rapporto fra ebraismo e Stato di Israele.

Gli ultraortodossi sono gli eredi di quel mondo ebraico che aveva inizialmente rifiutato Israele come impresa laica e avviata da sionisti in gran parte non credenti, adattandosi poi a convivere con lo Stato ed entrando nel gioco elettorale. Questo mondo usa la sua disponibilità a sostenere le politiche estere dei partiti di maggioranza come moneta di scambio per ottenere quanto i suoi elettori chiedono sul terreno morale, delle leggi sul rispetto del sabato e soprattutto del sostegno dello Stato alle scuole rabbiniche, attraverso gli aiuti economici e l’esenzione per gli studenti dal servizio militare.

I nazional-religiosi nascono dalle idee di Rabbi Abraham Isaac Kook (1865-1935), rabbino capo ashkenazita della Palestina britannica, il quale riteneva che lo Stato di Israele, pure fondato da uomini non religiosi, corrispondesse a un disegno di Dio che ben poteva servirsi anche di laicisti per realizzare i suoi progetti. I nazional-religiosi non chiedono l’esenzione dal servizio militare, anzi militano con entusiasmo nell’esercito israeliano, ma sono meno pragmatici in politica estera e rimangono nostalgici del sogno del Grande Israele.

Per questo i nazional-religiosi restano fuori dai colloqui per una coalizione con Kadima, cui partecipano invece gli ultraortodossi, i cui numeri sono decisivi.

In ogni caso, i risultati elettorali israeliani da questo punto di vista assomigliano paradossalmente a quelli palestinesi, e a una tendenza che si ritrova in tutto il mondo: anche in America gli ebrei sono tradizionalmente democratici, ma quelli ortodossi e praticanti nel 2004 hanno votato prevalentemente per Bush.

In molte parti del mondo i partiti di ispirazione religiosa avanzano, spinti da reti di efficienti servizi sociali e dalla demografia: le mamme religiose fanno più figli, e alla fine questo si traduce anche in voti alle elezioni. Un dato che può piacere o no, ma con cui Ehud Olmert sta già facendo i conti e che si riprodurrà presto in molti altri Paesi.