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In Marocco, a un anno dalle elezioni

di Massimo Introvigne (il Domenicale. Settimanale di cultura, 28 ottobre 2006)

Casablanca, ottobre. Visitare Casablanca e intervistare accademici e uomini d'affari durante il Ramadan 2006 significa capire che la campagna elettorale per la madre di tutte le elezioni nei Paesi islamici è già cominciata, anche se mancano undici mesi alle politiche del settembre 2007. Tutti coloro che incontro ne sono convinti: le riforme del nuovo re Mohammed VI non sono soltanto di facciata, e le elezioni saranno ragionevolmente eque. Una chiave per sciogliere la controversia fra chi sostiene il progetto di Condi Rice del Global Muslim Outreach, la"mano tesa globale ai musulmani", che implica il favorire ovunque elezioni libere, e i molti che sostengono che è meglio non tenere elezioni nei paesi islamici perché"poi le vincono i fondamentalisti" verrà proprio dal Marocco.

La monarchia marocchina adotta una distinzione enunciata nel 1986 dal re Hassan II (1929-1999), il padre dell'attuale monarca Mohammed VI, fra"fondamentalisti" e"integristi". I"fondamentalisti" difenderebbero i"fondamentali" della legge islamica senza usare la violenza e praticando una certa misura di dialogo con l'Occidente. In questo senso, il re stesso sarebbe in Marocco per definizione il primo"fondamentalista" del regno. Gli"integristi" userebbero invece la violenza e il terrorismo - ovvero, in alternativa, la separazione settaria dalla società - per imporre una visione arcaica della legge islamica. Il mondo accademico non ha mai accettato la terminologia di Hassan II e chiama in genere"ultra-fondamentalisti" quelli che il re marocchino chiamava"integristi", e"conservatori" i"fondamentalisti" di cui Hassan II - con una certa misura di autoidealizzazione - si considerava il prototipo. Ma, al di là della terminologia, Mohammed VI ha continuato il programma del padre.

Un po' come la Turchia

Ha combattuto il terrorismo, ricevendone qualche duro colpo ma limitandone le attività al minimo. Ha lanciato un programma di riconciliazione nazionale impegnandosi a fare luce sulle torture e le violenze poliziesche contro gli avversari politici comunisti e ultra-fondamentalisti che non sono mancate negli anni che vanno dal 1960 al 1990.  Ha classificato fra gli"integristi" i seguaci del movimento Giustizia e Beneficenza dello shaykh Abdessalem Yassin (nessuna relazione di parentela con il defunto leader palestinese di Hamas), che non sono accusati direttamente di violenza ma contestano la politica riformatrice del re.

Essi non partecipano alle elezioni e ormai si ripiegano da una parte verso la mistica che in visioni e sogni dichiarati"non ufficiali" ma ricevuti da numerosi membri del gruppo e oggetto di ampia diffusione annunciano un rovesciamento miracoloso della monarchia sostituita dall'avvento di Abdessalem Yassin come califfo, dall'altra verso il radicalismo della figlia Nadia Yassin che predica apertamente la repubblica.

Mohammed VI ha favorito l'evoluzione dei fondamentalisti che non seguono Yassin e che nel 2003 con una sorta di"svolta di Fiuggi", simile a quella del premier turco Recep Tayyip Erdogan del 2001, hanno dichiarato di ripudiare il simbolo delle divergenze con il re, il rifiuto della sua coraggiosa riforma del diritto di famiglia. Il nome del partito che ne è nato, PJD - Partito della Giustizia e dello Sviluppo - è uguale a quello del partito di Erdogan in Turchia. Il leader Othmani è frequente ospite delle fondazioni neo-con americane anche se, per ammonirlo a rimanere sulla retta via, la monarchia ha favorito nel 2005 la scissione del nuovo piccolo partito, ancora più moderato, al-Nahda. Più che di una vera operazione politica, si tratta di un avvertimento inviato a Othmani perché non defletta dalla retta via del riformismo.

Il re si dichiara anch'egli un"fondamentalista" nel senso che il padre Hassan II dava al termine, ma in Occidente lo si chiamerebbe - appunto - piuttosto un conservatore. Non un"tradizionalista", perché questo termine indica nel mondo arabo i seguaci di uno stretto puritanesimo di stampo saudita, che è agli antipodi, per esempio, della riforma del diritto di famiglia, la Mudawana, di Mohammed VI. Peraltro, il re marocchino si interessa al"tradizionalismo" in un altro senso della parola, quello che indica il pensiero dell'esoterista René Guénon (1886-1951), il quale - pur teorico di una unità trascendente delle religioni così che parlare a suo proposito di"conversioni" richiede sempre qualche precisazione - entrò"in islam" e morì da musulmano al Cairo.

Guénon a go-go

Guénon è popolare anche nella cerchia di Erdogan in Turchia. In Marocco una confraternita sufi assai influenzata da Guénon, la Boutchichiya, ha piazzato parecchi suoi uomini nella cerchia degli intimi del re, e occupa con Ahmed Toufiq dal 2002 il Ministero degli Affari Islamici, cruciale perché gestisce gli habous, l'equivalente dei waqf in altri paesi arabi, cioè l'immenso giro di denaro delle fondazioni pie e della carità islamica.

Toufiq sta gradualmente sostituendo con uomini suoi i responsabili delle grandi moschee che il suo predecessore Abdelkabir Alaou Mdaghri era andato ampiamente a cercare fra i diplomati in Arabia Saudita, ritenendo il puritanesimo leale alle autorità costituite, specie monarchiche, dei sauditi un antidoto (e non - come molti pensano in Occidente - un alleato) del fondamentalismo, che è nato con i Fratelli Musulmani e i loro omologhi prediligendo la forma di governo repubblicana.

Mohammed VI ha anche annunciato che"il Marocco pratica il rito malekita e non ne autorizza alcun altro", un ammonimento ai filo-sauditi che - tra le quattro scuole giuridiche musulmane - considerano invece legittima solo quella più rigida di rito hanbalita. La coppia formata dal re e dal ministro Toufiq ha anche cercato di spezzare l'alleanza fra gli ultra-fondamentalisti e le rivendicazioni autonomiste e linguistiche della popolazione di lingua berbera, creando una radio religiosa berbera e introducendo il berbero 'istruzione religiosa. Le donne - che pure non potranno dirigere una moschea, ma solo offrire assistenza spirituale ad altre donne - possono frequentare non solo le scuole coraniche ma anche la Karaouine, la prestigiosa università islamica di Fès, e una delle prime diplomate di questa università, Fatima al-Kabbaj, oggi siede nel Consiglio Superiore degli Ulema che, sotto il re e il ministro, è al vertice della piramide religiosa marocchina. Un sito Internet. www.islam-maroc.ma, diffonde la buona parola del re e del ministro Toufiq e la loro versione moderata dell'islam nel mondo arabo.

Tutto bene, dunque? Non tutto. Certo, le indagini dei sociologi marocchini come Mohammed Tozy ci dicono che il numero di giovani marocchini fra i 16 e i 29 anni che si dichiarano musulmani praticanti (91%) - cioè rispettosi dei doveri del culto e in particolare della preghiera (solo il 25% va in moschea, ma nel rito malikita frequentare la moschea non è obbligatorio) - e che rispettano il digiuno del Ramadan (99%) non è solo altissimo, ma è in crescita.

I problemi riguardano l'economia, la disoccupazione, il carovita: sono questi i temi su cui i giovani soprattutto esprimono un disagio che potrebbe attirarli nelle fila di quelli che Hassan II chiamava"integristi", anche se la polizia e i servizi vigilano e i gruppuscoli violenti come Ansar al-Mahdi sono sistematicamente smantellati.

Non da solo, ma in una coalizione di partiti islamici, il partito postfondamentalista PJD parteciperà alle elezioni del 2007, e ha anche possibilità di vincerle. Certo, non ovunque vi è una situazione come quella marocchina dove il potere legislativo eletto coesiste con un esecutivo guidato da un re che ha il carisma della discendenza dal Profeta. Tuttavia in Marocco re Mohammed VI gioca una partita politica di grande importanza, che può servire da esempio in altri paesi: non escludere i fondamentalisti dalle elezioni - il che li porta fatalmente a essere attratti dall'estremismo violento - ma favorirne"svolte di Fiuggi" e scissioni che portino una parte del"fondamentalismo" a inserirsi nel gioco democratico e isolino gli ultra-fondamentalisti. La partita è rischiosa, ma al re del Marocco vale la pena di augurare buona fortuna.