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Chi esalta la civiltà Maya in realtà rinnega l'Occidente

di Massimo Introvigne (il Giornale, 8 gennaio 2007)

La polemica avviata da Stefano Zecchi sul film Apocalypto è troppo importante per lasciarla cadere. Sono assolutamente d’accordo con Zecchi quando sostiene che chi lascia circolare la pornografia più cruda in televisione, al cinema e dai giornalai, a portata di ogni ragazzino, non ha poi titolo a lamentarsi della violenza al cinema. Anzi, la violenza può avere un valore pedagogico per mostrare che le guerre e le civiltà antiche erano fatte di crudeltà e di sangue - molto sangue - e non si riducono alle statue belle, lisce e pulite che ammiriamo nei musei.

C'è tuttavia un giudizio di Zecchi che mi lascia perplesso, ed è quando definisce il film di Mel Gibson «essenzialmente idiota» perché presenta i maya come «un’accozzaglia di maniaci assassini e violentatori», invitando a leggersi piuttosto i libri di William Prescott. Ora, i due classici di Prescott - La conquista del Messico e La conquista del Perù - sono stati scritti nel 1843 e nel 1847. Prescott era un avvocato di scarso successo che diventò un autore di successo di divulgazione storica. Ma ha compilato le sue opere a partire da una letteratura inglese nata con evidenti finalità di propaganda antispagnola. Puritano di Salem - la città del Massachusetts famosa per la caccia alle streghe - era anche un fanatico anticattolico. La sua tesi era che la Spagna e la Chiesa avessero distrutto civiltà ammirevoli per pura sete di conquista e di potere.

Oggi tutti riconoscono ai libri di Prescott l’eleganza letteraria, ma nessuno pensa più che si tratti di opere storiche. Del resto centosessanta anni fa, quando scriveva, lo studio scientifico dei maya e degli aztechi era appena agli inizi. Si pensava che le descrizioni che gli spagnoli avevano fatto di queste civiltà - in particolare l’insistenza sul sacrificio umano - fossero opere di propaganda. Oggi la ricerca archeologica e l’antropologia che si sporca le mani sul terreno - da non confondere con quella teorica, che è semplicemente un’arma impropria del relativismo e dell’anticolonialismo - hanno dimostrato che i resoconti spagnoli erano sostanzialmente fedeli.

Molti antropologi sono insorti contro Apocalypto non perché negano che il sacrificio umano fosse al centro della civiltà maya - sanno benissimo che era così - ma perché pensano, in nome del relativismo, che non abbiamo nessun diritto di giudicare altre culture. Così l’antropologa Traci Ardren chiama il film «razzista» e sostiene che «dal punto di vista dei maya, il sacrificio umano era una profonda esperienza spirituale». Ma forse non da quello delle vittime. Il problema è importante, perché i sacrifici umani ci sono ancora. Per chiunque legga L’ultima notte, il testo consegnato ai terroristi dell’11 settembre dal loro capo Mohammed Atta, è evidente che l’attentato per Al Qaida era «una profonda esperienza spirituale»: mentre per noi è un vero sacrificio umano, di vittime innocenti a un’ideologia criminale. Ricordate? Il problema lo pose allora Silvio Berlusconi, che si fece aggredire da mezza Europa dichiarando che la nostra civiltà occidentale era superiore al tipo di islam che si era manifestato in quei terroristi. Oggi Gibson sostiene, forse brutalmente, che una cultura che rifiuta il sacrificio umano è superiore a una che ne fa il centro della sua stessa esistenza. Vietando relativisticamente questo tipo di giudizi, e insistendo che tutte le culture sono di ugual valore, si fa forse dell’antropologia politicamente corretta, ma si scardinano le radici stesse dell’Occidente.