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Bombe di Al Qaida ultimatum all'Iran

di Massimo Introvigne (il Giornale, 15 febbraio 2007)

Ormai un attentato del terrorismo ultra-fondamentalista islamico con meno di cento morti finisce nelle brevi di cronaca estera. Ma le cose dovrebbero andare diversamente quando le bombe scoppiano insieme - nel giro di quarantotto ore - in Libano, in Algeria e - sorpresa - in Iran, mentre in Francia Sarkozy arresta undici sospetti militanti di Al Qaida. Sembra che il «grave attentato in funzione anticristiana» in Libano, come lo ha definito il cardinale Bertone, che martedì - vigilia della grande celebrazione del secondo anniversario dell'assassinio del premier Hariri - ha fatto tre morti e venti feriti cattolici maroniti, per una volta non vada ascritto agli hezbollah. La pista più credibile porta a palestinesi arruolati dalla nuova Al Qaida Palestina, che è un gruppo sunnita leale a Bin Laden, già di per sé piccolo rispetto ad Hamas in Palestina e che in Libano sta agli sciiti di Hezbollah come una formica sta a un elefante. Ma l'ordine arrivato da Al Qaida è di dare un segnale di presenza anche in Libano e di mostrare che anche le formiche, nel loro piccolo, sparano.

In Algeria per un paio di giorni è sembrato di tornare agli orrori della guerra civile che negli anni 1990 ha fatto oltre centomila morti: attentati a raffica, relativamente piccoli ma capillari e questa volta firmati esplicitamente da una «Al Qaida in Algeria», ultima incarnazione del Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento - Gspc, sigla peraltro ancora usata, in particolare in Italia, dove perfino quel giudice di Napoli che ha definito il Gspc un'organizzazione «non terroristica» avrebbe qualche difficoltà ad assolvere i militanti di un gruppo che avesse nel nome le parole Al Qaida. Il terrorismo algerino si è da tempo spaccato in nemici di Bin Laden - il Gia (Gruppo Islamico Armato) - e militanti disposti a farsi inquadrare da Al Qaida: nonostante l'uccisione in uno scontro a fuoco nel 2004 del suo leader, Nabil Sahrawi, è quest'ultima fazione l'unica che è riuscita a riorganizzarsi dopo la durissima repressione militare. Il fatto che il terrorismo rialzi la testa in Algeria dà ragione alla strategia di Condi Rice che - rifiutando i suggerimenti dei «neo-realisti» di Washington e di Chirac - continua a sostenere che il nucleo strategico della posizione neo-con rimane vero: le radici del terrorismo si sradicano solo con la democrazia. In Algeria si registra qualche cauta apertura: ma i partiti sgraditi all'Esercito continuano a non poter partecipare alle elezioni, e l'assenza di una democrazia compiuta alimenta le file del terrorismo.

La novità di questa offensiva di febbraio di Al Qaida non viene tanto dalla scoperta dell'ennesima cellula in Francia - ce ne sono anche in Italia - ma dal fatto che delle bombe islamiche, in perfetta sincronia con gli attacchi in Libano e in Algeria, sono esplose anche in Iran. Certo, il movimento sunnita anti-sciita Jundullah, che sembra responsabile degli undici morti nel Sud-Est dell'Iran, non è al suo primo attentato. Ma le accuse di Teheran che imputano l'attacco agli Stati Uniti sono pura propaganda. Da mesi Jundullah collabora con Al Qaida e con i talebani afghani. La bomba in Iran è un segnale che Bin Laden e Zawahiri devono venire a patti con la «seconda generazione» di Al Qaida, fortemente anti-sciita, anche dopo la morte in Irak del suo leader al-Zarqawi. Ma è anche un avvertimento mafioso all'ayatollah Khamenei: semmai pensasse di frenare in qualche modo il sostegno al terrorismo mondiale di Ahmadinejad, altre bombe sono pronte a scoppiare.