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Un vampiro a Torino: “Quarto di luna” di Marco Gallesi

di Massimo Introvigne
(pubblicato, con lievi modifiche e titolo redazionali, come "A Torino la luna chiama i vampiri" su il Domenicale. Settimanale di cultura, anno 7, n. 15, 12 aprile 2008, p. 10).

Massimo Introvigne, Il dramma dell'Europa senza Cristo. Il relativismo europeo nello scontro delle civilta
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Vampiri a Torino? Possibile? Sì: ci aveva già pensato nel 2002 il giovane regista Max Ferro con il suo film Io sono un vampiro, una gran bella storia recitata con qualche difficoltà da attori in formazione o appena diplomati. Benché le storie su Torino città “satanica” siano in gran parte inventate, un ambiente così carico di storia e di monumenti offre certamente un quadro adatto – anzi, finora semmai troppo poco sfruttato – per una storia di vampiri. A rimediare ci pensa ora Marco Gallesi, fino a oggi noto a Torino come musicista rock e jazz, che da un suo brano musicale – Quarto di luna – ha tratto il titolo di questo primo romanzo (SBC Edizioni, Perugia-Ravenna 2008).

Quarto di luna è la storia di un soldato tedesco, Rutger Haussman, trasformato in vampiro durante la battaglia di Stalingrado e attirato a Torino ai nostri giorni dalla presenza di Camilla Roggero, medico patologo che ha nel suo passato un segreto che ignora e che la lega al mondo dei vampiri. Rutger non è l’unico della sua specie: ma è un solitario, tormentato da dubbi sulla sua natura, di cui i suoi simili diffidano. Gallesi ha certamente letto molto Anne Rice (nella sua fase di scrittrice horror e prima del ritorno alla religione cattolica, che la ha – almeno per ora – indotta a concentrarsi sulla letteratura religiosa), e Rutger ha alcuni tratti del personaggio più famoso della scrittrice di New Orleans, Lestat: l’enorme ricchezza amministrata da società misteriose di cui tutti ignorano il vero proprietario, il gusto per la musica e per i viaggi, il conflitto con la maggioranza degli altri vampiri. Gli anni 2000 di Gallesi non sono però gli anni 1970 in cui comincia a occuparsi di vampiri la Rice. Sia Rutger sia Lestat sono vampiri “postmoderni”, nel senso che il lettore è portato a simpatizzare per loro, nonostante si tratti anche di spietati assassini. Ma Rutger è più tormentato e capace ultimamente sia di uccidere senza rimorsi per nutrirsi sia di più complesse scelte morali, mentre il primo Lestat agisce prescindendo dal bene e dal male ed è semmai il Lestat degli ultimi romanzi, che già annunciano la svolta “teologica” dell’autrice, a porsi in modo più sistematico interrogativi di carattere etico (e religioso). Dal Dracula di Bram Stoker Gallesi riprende invece il triangolo: lui, lei e il vampiro, dove lui è il commissario di polizia Giulio Cosumano, venuto da Palermo a Torino e che – mentre indaga sui massacri attribuiti a un “mostro” e compiuti in realtà dal non-morto tedesco – diventa l’amante di Camilla, di cui è innamorato anche il vampiro. In una storia di questo genere non è previsto nessun happy end, ma si comprende che Rutger persegue una discendenza, un figlio con caratteristiche genetiche particolari che possa combattere quei vampiri che, a differenza di lui, non si pongono neppure il problema morale e costituiscono quindi una minaccia assai più radicale per l’umanità (la parola dampyr o dhampir non è usata, ma il figlio sarà precisamente questo tipo di creatura, la stessa che è protagonista del fumetto Dampyr della Bonelli e la cui apparizione nella saga creata da Gallesi è rimandata a un eventuale prossimo romanzo). Una curiosità: uno dei vampiri “completamente amorali” del libro si chiama Hakan Javuz, mentre il principale sociologo della religione turco contemporaneo e studioso dei rapporti fra islam e politica si chiama Hakan Yavuz. Il sociologo è noto solo agli addetti ai lavori, ma la coincidenza è troppo strabiliante perché si tratti di un semplice caso.

Il libro di Gallesi può contare su una trama superba – che rivela una buona conoscenza di cento anni di romanzi sui vampiri, ma non si riduce a questa, includendo anche spunti nuovi e originali – che quasi costringe qualunque lettore che lo prenda in mano per caso a proseguire fino alla fine. Molto felici sono le descrizioni di battaglie e massacri in ambienti inconsueti, come il parco della Pellerina a Torino o le ville intorno a Roma. Semmai, Gallesi è più scontato quando vuole seguire troppo Anne Rice, come nel caso dei vampiri indiani cui adoranti devoti si rivolgono in massa in un tempio implorandoli di ucciderli bevendo il loro sangue, una scena che arriva in diretta da The Queen of the Damned, il terzo volume delle “Cronache dei vampiri” della Rice. Ma Gallesi – dopo l’escursione in India che non è del resto priva di pregi – riesce a rimettere il racconto sul suo binario originario, che è anche effettivamente originale.

Promosso, dunque, Gallesi, che porta una ventata di aria nuova nel non amplissimo mondo degli autori italiani che si sono cimentati sul tema del vampiro. Rimandata, invece, la casa editrice. Si sente la mancanza di un editor di qualità, che avrebbe potuto suggerire all’autore di non far menzionare a un cinese trapiantato a Torino “Dio, che io chiamo Confucio” (p. 72) – prescindendo dal fatto che ben pochi dei cinesi di Torino sono confuciani, per qualunque cinese Confucio non è Dio, ma un saggio che ha rimesso in ordine i riti e i precetti etici – e soprattutto di non fare svoltare il commissario Cosumano “all’angolo tra Via Cernaia e corso Einaudi” (p. 293), due strade torinesi che in effetti non s’incrociano. Se i buoni editor costano molto, ce la si cava con meno per i correttori di bozze, e il volume comprende un numero veramente eccessivo di errori di stampa e righe che vanno a capo dove non dovrebbero. Ma sono difetti tipici di un’opera prima, che non dovrebbero distogliere nessuno dal piacere di scoprire un intreccio davvero appassionante.