CESNUR - Centro Studi sulle Nuove Religioni diretto da Massimo Introvigne

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Religione e spiritualità fra gli immigrati cinesi a Torino

di PierLuigi Zoccatelli
A paper presented at The 2009 CESNUR Conference, Salt Lake City, Utah, June 11-13, 2009

1. La ricerca

Nel biennio 2007-2008 il CESNUR e il Dipartimento di Scienze sociali dell’Università di Torino hanno svolto una ricerca sulla comunità cinese a Torino. A tale progetto hanno partecipato cinque ricercatori, che vanno tutti menzionati per l’importante lavoro svolto: Luigi Berzano, Carlo Genova, Massimo Introvigne, Roberta Ricucci e PierLuigi Zoccatelli.

La ricerca si è proposta di creare una “fotografia” (sincronica) e un “filmato” (storico) sulla presenza degli immigrati cinesi a Torino, i quali all’inizio del progetto erano 4.081 (Rava 2007, 79). Sono state studiate le presenze istituzionali, attraverso una pluralità di interviste qualitative; i dati quantitativi nella loro sequenza storica; le opinioni attraverso una survey su un campione di 281 cinesi svolta da intervistatori madrelingua; le eventuali situazioni di conflitto in specifici contesti.

Richiamando una nozione elaborata dall’antropologo e sociologo francese Marcel Mauss (1872-1950), si può definire l’oggetto di questa ricerca come un vero e proprio “fatto totale”, per le quattro fondamentali dimensioni di analisi cui si è fatto riferimento, giudicate significative per l’identificazione dei principali tratti caratterizzanti questa popolazione: il profilo demografico, la vita quotidiana e la cultura, l’economia e il lavoro, la religione e la spiritualità.

Nella presente relazione intendiamo mettere a fuoco – per quanto qui in forma assai sintetica – alcuni dei principali risultati cui si è pervenuti nel corso della ricerca, riguardanti lo specifico quadrante della religione e della spiritualità nella comunità cinese di Torino.

2. Il quadro metodologico

I cinesi che vivono a Torino sono “religiosi”? Credono in “Dio”? Si tratta di domande cui non è facile dare risposta neppure in Cina tramite indagini quantitative: un problema ben noto ai sociologi della religione cinesi (Yang 2004; Yao 2007) per due ordini di ragioni. Il primo è che la sociologia della religione e le indagini demoscopiche condotte in Cina sulla religione fino agli anni 1990 erano considerate – secondo un’espressione del sociologo cinese Kangsheng Dai – “un mezzo per l’educazione all’ateismo delle masse popolari” (cit. in Yang 2004, 103).

C’è tuttavia una seconda ragione che non ha nulla a che fare con il regime politico, ma che rende difficili le indagini quantitative. Riguarda l’antica e complessa questione della “religione cinese” che è un plesso di credenze e pratiche difficile da definire. Soprattutto, la “religione cinese” è una costruzione degli studiosi. Chi la pratica non si considera “appartenente” a una “religione” e neppure “religioso”. Risponderà pertanto nei sondaggi di non essere religioso senza riserve mentali o timori, e in perfetta buona fede, e sarebbe forse stupito del fatto che altri, osservatori esterni, lo considerino invece “religioso”. In realtà molti cinesi considerano “religioso” chi appartiene a una forma religiosa istituzionale, particolarmente di tipo cristiano. Non sempre l’affiliazione a un tempio buddhista, taoista o confuciano è considerata equivalente all’“avere una religione”, e del resto queste affiliazioni possono coesistere e non sono esclusive. Si dichiarano in genere “religiosi” in Cina coloro che hanno un’appartenenza “forte” – e in genere esclusiva – a forme più organizzate del consueto del buddhismo, i musulmani e i cristiani (MacInnis 1994). La stessa idea di “Dio”, parola difficilmente traducibile in cinese, indica per molti il Dio dei cristiani – e dei musulmani, dove c’è una minoranza di questa religione – e non il principio ultimo e impersonale del mondo del taoismo, del buddhismo o della “religione cinese”. Così, persone che in altri contesti sarebbero sicuramente annoverate fra i “credenti” possono tranquillamente affermare di non credere in Dio, e anche ponendo la questione con riferimento a un principio ultimo a un’entità suprema non si è certi di catturare la particolare credenza dell’intervistato.

In un pregevole studio sulla “credenza e pratica religiosa” nelle metropoli cinesi fra il 1995 e il 2005, Yao rileva che in un’indagine condotta nel 2005 in alcune metropoli cinesi (Yao 2007, 170) solo il 5,3% degli intervistati si dichiarava religioso, mentre il 51,8% si professava “non religioso” (e il 32,9% “ateo militante”, che è la risposta “politicamente corretta” per i membri del Partito Comunista). Tuttavia, per esempio, il 23,1% – cioè un numero di intervistati oltre quattro volte più alto rispetto a chi si era dichiarato “religioso” – affermava di “pregare o adorare” regolarmente Buddha. Come si vede, la grande maggioranza dei buddhisti rispondendo alla domanda sulla religione si auto-classifica come “non religiosa”. Anche nelle inchieste recensite da Yao la domanda sulla credenza “in Dio” non è conclusiva. Nel 2005 afferma di credere in Dio il 5,8% dei cinesi – comunque, quasi il triplo del 2,2% del 1995 –, e il dato sale decisamente se la domanda è se l’intervistato creda a un “potere superiore” o “potere celeste” (26,7% rispetto al 3,8% del 1995). Ma le cose si complicano se si passa alla “religione cinese”: il 23,8% afferma di compiere periodici sacrifici per gli antenati, il 27,1% di affidarsi al feng shui – la retta disposizione delle cose nello spazio secondo regole astrologiche e divinatorie – e il 38,5% alla scelta dei giorni fausti tramite varie tecniche di divinazione. Anche qui, la grande maggioranza di queste persone afferma sia di non essere religiosa sia di non credere in “Dio” (ibid., 178).

Yao ne conclude – forse peraltro andando oltre i dati che presenta – che nel 2005 “la maggioranza dei cinesi delle grandi aree urbane era attenta alle credenze religiose” (ibid., 180) e comunque “più religiosa di quanto volesse ammettere” (ibid., 177). Ma il problema rimane che cosa s’intenda per “credenze religiose”, e la necessità di superare la distinzione – prima imposta dagli studiosi orientalisti occidentali, poi dal regime comunista cinese – fra credenze “davvero” religiose e “superstizioni” definite sbrigativamente “pseudo-religiose”. Yao parte dal noto modello di Grace Davie del “credere senza appartenere” (believing without belonging: Davie 1994) per ricordare come nello schema della sociologa inglese le dimensioni dell’esperienza religiosa siano in realtà tre – credenza, appartenenza e comportamento (believing, belonging e behaving) – e in Cina si trova sia il “credere senza appartenere” sia il behaving without believing, il “comportarsi – in modo religioso – senza credere” (Yao 2007, 178).

3. Una mappa degli atteggiamenti religiosi fra i cinesi a Torino

L’uso di un’espressione poco impegnativa come “atteggiamento religioso” sembra obbedire a elementari ragioni di prudenza. Dal momento che tutte le fonti danno come indizio cruciale dell’adesione alla “religione cinese” la della divinazione, consideriamo questo elemento del nostro questionario come indicativo per ascrivere chi afferma di praticarla e non dichiara apertamente una diversa identità religiosa – per esempio cristiana – alla “religione cinese”.

Tab. 1 – Divinazione fra i cinesi a Torino.

Lei consulta regolarmente metodi di divinazione?
Si No
45,1% 54,9%

Casi validi: 277.

Anche Yao (2007) ha trovato in Cina intervistati che praticano la divinazione tradizionale cinese e si dichiarano cristiani, per quanto le Chiese cristiane predichino contro queste pratiche. E lo stesso è accaduto a Torino, dove c’è un dato apparentemente assai sorprendente, relativo ai Testimoni di Geova – il 100% dei quali risponde di consultare regolarmente metodi di divinazione (percentuale, tuttavia, da valutare tenendo conto che si riferisce in cifra assoluta a un numero assai ridotto d’intervistati) –, che certamente hanno insegnamenti assai rigidi e contrari alla divinazione. Fra i cattolici, il 40% risponde di consultare regolarmente metodi di divinazione, il 25% fra i protestanti, il 77% fra i buddhisti. È interessante notare che fra quanti non si riconoscono in alcuna tradizione religiosa, il 29% afferma di consultare regolarmente metodi di divinazione.

La domanda “In quale di queste tradizioni religiose si riconosce?”, dunque, non chiude il discorso, ma va inquadrata quale sfondo – certo rilevante, soprattutto per i cattolici, i protestanti e i Testimoni di Geova – dell’atteggiamento religioso: si veda la Tabella 2.

Tab. 2 – Cinesi e identificazione religiosa a Torino.

In quale di queste tradizioni religiose si riconosce?

Percentuale
Non mi riconosco in nessuna religione 59,3%
Cattolica 3,6%
Evangelica 3,3%
Buddhista 31,6%
Taoista 1,1%
Testimoni di Geova 1,1%

Casi validi: 275.

Merita qui attenzione il dato del buddhismo. In tesi, un buddhista dovrebbe credere nella reincarnazione. Tuttavia mentre il 31,6% del campione torinese si dichiara buddhista, solo il 22% del campione crede nella reincarnazione. La diffusione della credenza nella reincarnazione appare peraltro piuttosto curiosa, e dimostra – se la domanda è stata capita bene – come la “religione cinese” non abbia dogmi, e la sua fluidità influenzi almeno come retroterra anche chi dichiara un’identità religiosa istituzionale. Vediamo di seguito alcuni indicatori che abbiamo reputato salienti per la descrizione delle credenze religiose.

Tab. 3 – Credenze fra i cinesi a Torino.

No Casi validi
Lei crede in Dio? 11,0% 89,0% 273
Crede nella presenza di un potere superiore che guida la vita degli uomini? 39,7% 60,3% 272
Crede nella reincarnazione? 22,0% 78,0% 273
Crede in una vita dopo la morte? 22,8% 77,2% 272

Ancora, nelle indagini recensite da Yao (2007) la quasi totalità dei buddhisti ha un’immagine di Buddha in casa. A Torino dichiara di averla solo il 12,1% dell’intero campione; più diffusa, 14,9% dell’intero campione, è la raffigurazione di Guan Yin, bodhisattva della compassione ritenuta in Cina di genere femminile, di origine certamente buddhista ma venerata anche dai taoisti e al centro di una devozione tipica della “religione cinese”.

Tab. 4 – Immagini sacre.

No Casi validi
Nella sua casa sono presenti una o più immagini sacre? 30,2% 69,8% 275
Per coloro che hanno un’immagine sacra: possedete altare degli antentati? 5,1% 94,9% 78
Per coloro che hanno un’immagine sacra: possedete la statua o l’immagine di Guan Yin? 56,0% 44,0% 75
Per coloro che hanno un’immagine sacra: possedete la statua o altra raffigurazione del Buddha? 42,5% 57,5% 80
Per coloro che hanno un’immagine sacra: possedete il crocefisso o altra raffigurazione di Cristo? 16,9% 83,1% 77

Diventa quindi interessante incrociare l’identificazione come buddhisti nella domanda “In quale di queste tradizioni religiose si riconosce?” con le risposte affermative ai quesiti sulla credenza nella reincarnazione e sulla presenza nella propria casa di un’immagine di Buddha. Tra coloro che s’identificano come buddhisti il 50,6% crede nella reincarnazione, il 50% ha in casa un’immagine di Buddha, ma solo il 26,2% – pari al 13,7% dell’intero campione – risponde positivamente a entrambe queste domande.

Questo 26,2% ha quella che possiamo chiamare un’“identità buddhista forte”, nel senso che non solo si dichiara buddhista, ma ha anche un plesso di credenze e pratiche – almeno alla luce di alcuni primi indicatori – che sono tipiche dei buddhisti. Il rimanente 73,8% che si dichiara buddhista va più correttamente ascritto a una “religione cinese” con una dominante buddhista.

L’atteggiamento religioso che classifichiamo qui come “religione cinese” corrisponde a circa un quarto del campione e deriva dal risultato della sottrazione – dal totale di coloro che rispondono “sì” alla domanda cruciale sulla consultazione regolare di metodi di divinazione – anzitutto di chi ha appunto risposto “sì” a questa domanda ma nel contempo si dichiara cattolico, protestante o Testimone di Geova, quindi anche di chi è già stato ascritto all’“identità buddhista forte”. Non abbiamo invece trovato ragioni sufficienti per identificare una specifica identità taoista – in effetti, solo tre intervistati si sono dichiarati esplicitamente taoisti –, e preferiamo considerare il taoismo come un affluente della “religione cinese”.

Tutte queste considerazioni non significano che non vi siano molti cinesi che mantengono un’identità secolare e non sono in nessun modo “religiosi”. Anche a Torino il 39,9% che congiuntamente si dichiara non religioso, non crede in Dio o in un potere superiore, non crede in una vita dopo la morte, né pratica la divinazione, può essere ascritto a questa identità secolare.

In conclusione il risultato dell’indagine, per quanto riguarda l’atteggiamento religioso dei cinesi a Torino, sembra essere così descritto: l’identità secolare – 39,9% – ricomprende poco meno della metà della popolazione. Il resto ha qualche forma di credenza o di pratica religiosa. Circa la metà di costoro può essere inserito nella categoria della “religione cinese”, all’interno della quale predomina il riferimento buddhista. L’“identità buddhista forte” interessa il 13,7% del campione, mentre il 3,6% è cattolico, il 3,3% protestante e l’1,1% Testimone di Geova.

Notiamo infine che non ci sono apparse come particolarmente indicative delle diverse identità né la celebrazione di feste “religiose” né la “partecipazione” ai “riti della propria tradizione religiosa” – dichiarata come quotidiana dallo 0,9%, settimanale dall’8,2% e mensile dal 10%. Anche la nozione di riti (li) ha infatti un significato piuttosto fluido all’interno della “religione cinese”, e delimitare la sfera dei comportamenti “rituali” da quelli “non rituali” appare difficile perfino per lo specialista. Di seguito i risultati dei relativi quesiti dell’intervista, senza dimenticare di precisare che la prima domanda – e di conseguenza quella della Tab. 6 – è stata rivolta solo a quanti hanno precedentemente risposto di riconoscersi in una tradizione religiosa (cfr. Tab. 2).

Tab. 5 – I cinesi e la pratica religiosa.

Ogni giorno Ogni settimana Una volta al mese Mai Casi validi
Con quale frequenza partecipa ai riti della sua tradizione religiosa? 0,9% 8,2% 10,0% 80,9% 110
Con quale frequenza frequenta una comunità religiosa? 0,7% 5,8% 2,5% 84,4% 276

Tab. 6 – I cinesi e la pratica.

Familiari o altri parenti Con altri connazionali Con italiani Con altri stranieri
Con chi svolge, più di frequente, attività religiose? 8,3% 66,7% 16,7% 8,3%

Casi validi: 36.

4. Prime conclusioni

I dati dell’indagine di Torino non sono sostanzialmente diversi da quelli delle ricerche più autorevoli condotte in Cina, nonostante le difficoltà e i dibattiti che circondano queste ultime.

Paragonando le due indagini del 1995 e del 2005 recensite da Yao (2007) con la nostra, si deve anzitutto rilevare che le inchieste cinesi hanno riguardato solo zone amministrativamente considerate come parte integrante delle maggiori città – mentre la maggioranza dei cinesi a Torino viene da aree periferiche o rurali – e che le domande non sono identiche. Tuttavia, qualche paragone è possibile assimilando, per esempio, il quesito sulla venerazione di immagini di Gesù della ricerca cinese del 2005 al nostro sulla presenza di un’immagine di Gesù nella propria casa (ovviamente, le due domande non sono identiche). Quanto alla divinazione il dato cinese del 2005 è diverso a secondo se si considera il feng shui (38,5%) o la scelta dei giorni fausti (45,2%).

Tab. 7 – Cinesi nelle grandi aree urbane della Cina (Yao 2007) e cinesi a Torino.

Cina 1995 Cina 2005 Torino 2007
Crede in Dio 2,2% 5,8% 11,0%
Crede in un potere superiore 3,8% 26,7% 39,7%
Si dichiara buddhista - 23,1% 31,6%
Ha in casa/venera immagini di Buddha 7,3% 23,1% 12,1%
Ha in casa/venera immagini di Gesù - 4,2% 4,6%
Pratica la divinazione 26,2% 38,5 - 45,2% 45,1%

Il parallelo va preso con beneficio d’inventario, per le ragioni indicate e anche perché nel 1995 le risposte in Cina erano forse meno libere che nel 2005. Il dato relativo alla divinazione, cruciale per la “religione cinese”, appare simile fra le aree urbane cinesi nel 2005 e Torino nel 2007, e così quello sulle immagini di Gesù, mentre le immagini di Buddha sembrano assai più presenti nelle case in Cina. Quanto alla dichiarazione d’identità e credenze – in Dio, in un potere superiore, nel buddhismo – le cifre sono più alte a Torino. Ma questo, a nostro parere, non significa che i cinesi a Torino siano più religiosi dei cinesi in patria. Né, per la verità, che lo siano meno. L’ambiente italiano spinge semplicemente alcuni a concettualizzare un atteggiamento religioso che rimane assai simile a quello diffuso in Cina in modo più definito, con più frequenti riferimenti a Dio, a un potere superiore o anche al “buddhismo” – come identità affermata, in relazione alla quale le credenze e le pratiche sono però, come si è visto, talora contraddittorie.

Come in Cina, anche a Torino circa la metà della popolazione cinese ha un’identità secolare e non religiosa. Nell’altra metà della popolazione – che può essere definita in senso lato “religiosa”, una volta che si riferisca questo aggettivo a tutte le forme di religiosità e non solo alle religioni istituzionali – predomina la “religione cinese”, che comprende un’identità buddhista debole e s’intreccia con una pratica più “forte” e consapevole del buddhismo che appare però minoritaria. I cristiani rappresentano una minoranza qualificata e probabilmente in crescita. I dati generali sui cristiani tra i cinesi di Torino sono paragonabili a quelli che risultano dalle indagini sociologiche condotte su alcune porzioni del territorio della Cina. Altri dati – che provengono dalle organizzazioni missionarie protestanti – forniscono cifre molto superiori per la presenza protestante in Cina, ma la loro attendibilità rimane controversa. Sembra comunque di poter dire che, rispetto alla madrepatria dove tra i cristiani i protestanti sono in netta maggioranza, c’è fra i cristiani cinesi di Torino una più equilibrata distribuzione fra protestanti e cattolici – anzi, i cattolici sono lievemente maggioritari – e si affaccia, anche se per ora ridotta all’1,1% della popolazione cinese, la presenza nuova dei Testimoni di Geova.

Bibliografia

Davie, Grace. 1994. Religion in Britain since 1945: Believing Without Belonging. Oxford: Blackwell.

MacInnis, Donald E. 1994. Religion in China Today. Policy and Practice. Maryknoll (New York): Orbis Books.

Rava, Antonella. 2007. Dati statistici sull’immigrazione straniera a Torino nel 2006. In Osservatorio Interistituzionale sugli stranieri in provincia di Torino. Torino: Comune di Torino, Divisione Funzioni Istituzionali, Direzione Servizi Civici, pp. 77-121.

Yang, Fenggang. 2004. “Between Secularist Ideology and Desecularizing Reality: The Birth and Growth of Religious Research in Communist China”. Sociology of Religion, 65:2 (Summer 2004): 101-119.

Yao, Xinzhong. 2007. “Religious Belief and Practice in Urban China 1995-2005”. Journal of Contemporary Religion, 22:2 (May 2007): 169-185.