CESNUR - Centro Studi sulle Nuove Religioni diretto da Massimo Introvigne

www.cesnur.org

La funzione dello stato nella religione politica del fascismo

by Lorenzo Santoro
A paper presented at the CESNUR 2010 conference in Torino.© Lorenzo Santoro, 2010. Please do not quote or reproduce without the consent of the author

Nell’introdurre il mio intervento vorrei cercare di mettere in evidenza come ogni approccio metodologico è sempre indirizzato a conseguire peculiari capacità analitiche. Non si sceglie mai un punto di analisi e di osservazione in quanto tale, ma in considerazione degli obbiettivi di analisi che ci si prefigge.

Se si intende analizzare il fascismo in quanto fenomeno culturale non si può ignorare il fatto che è difficile considerarlo come una ideologia coerente ed organica, quanto piuttosto un insieme di ideologie e di idee-guida, di segni e simboli, di riti e di miti le cui dinamiche sono strettamente legate alle vicende reali del regime.

In questo senso ritengo importante prendere in considerazione il fascismo in quanto religione politica, e studiare le articolazioni di consenso del fascismo e il suo impegno nella produzione e rielaborazione culturale in relazione a differenti strati e realtà sociali.

Per quanto potrà sembrare strano il concetto e il ruolo dello stato nella religione politica del fascismo e' stato di lenta e contorta definizione ed elaborazione. Questo e' molto interessante: perché un regime dittatoriale totalitario fa fatica a definire il suo concetto di stato? E quindi - si potrebbe aggiungere - ad identificarsi con lo stato? Ad indicare il suo ruolo nella vicenda statuale?

Ebbene il fascismo nasce da una pletora di movimenti culturali (socialismo interventista, nazionalismo, futurismo, radicalismo, sindacalismo rivoluzionario) i quali mantenevano negli anni precedenti al fascismo non solo una accesa polemica contro il giolittismo e il suo sistema di potere, ma anche contro lo stato liberale in quanto tale. Accenti anarchici non mancarono nel futurismo e nel sindacalismo rivoluzionario, in quest'ultimo -peraltro – la dimensione statuale era fortemente messa in discussione in quanto tale. In maniera molto diversa anche i nazionalisti rifiutavano lo stato liberale in quanto corrotto e reso debole tanto dalla borghesia che una relazione errata che il regime aveva con la burocrazia statale. Alfredo Rocco –ad esempio – riconosceva proprio nella burocrazia statale e nei ceti medi che si rifacevano ad essa puntelli fondamentali nella articolazione del consenso del nuovo stato italiano, anche e soprattutto nel momento elettorale.

In ogni modo con la fondazione dei fasci nel 1919 fino alla marcia su Roma del 1922 e alla cosiddetta svolta di regime del gennaio del 1925 la propaganda fascista si tenne alla larga da una coerente e omogenea definizione dello stato, piuttosto si insistette nella propaganda di partito a definire il partito fascista e il fascismo come ‘nazione che si fa stato’. Il singolare impegno politico dei fascisti costituito da violenze e prese del potere a livello locale rendeva la retorica della nazione che si fa stato particolarmente efficace. Molti fascisti durante i primi anni non esitarono a definirsi forze di polizia della nazione ed imporre il simbolo del fascismo in quanto nuovo simbolo dello stato stesso.

Ad ogni modo non era ben chiaro tra i fascisti stessi come dovesse essere organizzato il nuovo stato: quale sarebbe stato il ruolo del partito? Quale quello dei sindacati? Il ruolo di Mussolini doveva essere peculiare o meno? Tutti questi problemi ci interessano in questa sede non tanto per la storia del fascismo in quanto tale, ma piuttosto per comprendere che una definizione puntuale dello stato fascista ne avrebbe inevitabilmente compromesso la sua capacità di produzione culturale e il suo impegno nella ipertrofia istituzionale ed organizzativa (partiti, sindacati, enti, camere fasciste, ecc).

Vedremo come lo stato piuttosto che essere un concetto omogeneo ed esaustivo venne lasciato in una dimensione - si direbbe - simbolica, in quanto suscettibile di diverse ed anche opposte concezioni da parte dei fascisti.

Vorrei inoltre proporre una declinazione delle diverse articolazioni di significato dello stato in una prospettiva che si propone di riprendere alcuni spunti dalla teoria sociologica struttural-funzionale di Niklas Luhmann.

In ogni caso e' opportuno prendere le fila del discorso puntando l'attenzione su Benito Mussolini, capo tutt'altro che indiscusso del fascismo fino alla fine del 1925. Proprio nell'ottobre del 1925 – uno dei momenti di minore prestigio di Mussolini nel fascismo – nel discorso di Milano Mussolini introdusse la famosa formula”tutto nello stato, niente al di fuori dello stato, nulla contro lo stato'. In questo modo Mussolini esortava I fascisti delle province a guardare allo stato centrale, alla burocrazia, ai ministeri, al parlamento come obbiettivo di conquista. Il fascismo doveva abbandonare una volta per tutte la violenza contro la chiesa e gli avversari politici a livello locale ed elaborare una strategia di riforme istituzionali in grado di inserire il partito e i sindacati fascisti nello stato liberale e monarchico.1

La vicenda della commissione dei 18 e il tema delle riforme istituzionali tennero impegnato il fascismo dal 1925 al 1932, un periodo di tempo lunghissimo, in cui peraltro Mussolini firmò i Patti lateranensi grazie a trattative segrete che presero di sorpresa i fascisti impegnati nel partito e gli stessi capi del fascismo.

Tanto nella commissione del 1925 che nella elaborazione della dottrina del fascismo del 1932 Mussolini decise di assegnare un ruolo di primissimo piano al filosofo Giovanni Gentile. Fin dalla partecipazione del filosofo alla commissione dei 18 incaricata di preparare le riforme fasciste nel 1925 fino all'instaurazione delle camere corporative nel 1930 non mancarono critiche e puntuali rifiuti da parte dell'intellighenzia del fascismo alle tesi gentiliane. Il recente ed esaustivo studio di Alessandra Tarquini ha investigato con grande acume questo peculiare aspetto della politica culturale del fascismo. Per quale motivo Gentile fu oggetto di critiche cosi feroci e perché il suo impegno politico non raggiunse i risultati sperati?

Tra il 1930 e il 1932 con l'intervento sul corporativismo e la scrittura con Mussolini della dottrina dello stato Gentile propose non solo l'identificazione dell'individuo nello stato, ma anche e soprattutto la coincidenza della sfera economica e della sfera giuridica nello stato stesso.

Oltre che la coincidenza della sfera privata e quella pubblica propugnata dall'intervento di Gentile, altri settori funzionali della vita sociale come la sfera sindacale, il mercato, il diritto sindacale, il diritto pubblico erano ridotti a catena di endiadi tra individuo e stato, secondo le pretese del sistema filosofico gentiliano.

L'identificazione di politica e filosofia proposta da Gentile tendeva ad uniformare nella filosofia qualsiasi discorso politico. Secondo il filosofo un sistema filosofico avrebbe informato inevitabilmente persino i saperi specialistici a cui corrispondevano le diverse strutturazioni funzionali in cui si articolava e si articola tuttora la società moderna. Il Discorso sulla tecnica Die Frage nach der Technik di Martin Heidegger offre un esempio puntualissimo della riconosciuta e esplicita differenza e inconciliabilità del pensiero filosofico con i saperi specialistici.

Non è una sorpresa quindi prendere atto che la proposta di Gentile, nonostante il prestigiosissimo avallo del duce, non incontro il successo sperato. Il fascismo non divenne la incarnazione di un sistema filosofico, ma un regime politico che rifiutava esplicitamente il modello liberale e democratico, come pure teneva a distinguersi – come la Dottrina del fascismo affermava - dal bolscevismo e dalle dittature a sfondo reazionario. Diversi intellettuali proposero una visione del regime alternativa a quella di Gentile proprio nel ruolo che il contributo della cultura avrebbe giocato nel regime, propugnando culture politiche in grado di elaborare e intercettare saperi specialistici. Per questo motivo diverse frangie del fascismo e numerosi intellettuali orbitanti nelle sue istituzioni si impegnarono in una lotta senza quartiere alle tesi gentiliane e alle pretese del filosofo nel regime.

I diversi intellettuali che contribuirono alla elaborazione dell'idea di stato nel regime si impegnarono – al contrario di Gentile – in una puntuale delimitazione funzionale dell'arena in cui lo stato fascista avrebbe sviluppato le sue caratteristiche più proprie.

L'economia, il diritto pubblico, e il diritto corporativo furono oggetto di precise elaborazioni teoriche intese al fine di proporre nuovi sbocchi alla rivoluzione fascista. Se fino al 1925 il fascismo aveva imposto il suo progetto politico in sede locale grazie alla vittoria nelle elezioni comunali e provinciali, e con la costituzione di potentati a livello locale dei diversi ras, con la legge sul podestà – che rendeva il sindaco non eletto e di nomina prefettizia – le dinamiche del fascismo sarebbero dovute cambiare notevolmente.

La grande attenzione che Mussolini diede alle tesi filosofiche e sostanzialmente impolitiche di Giovanni Gentile gli permise di mantenere nel regime una grande libertà riguardo la concezione dello stato. I fascisti che credevano nel partito, quelli che lavoravano nei ministeri, nelle prefetture, negli enti, nel governo e nel parlamento, poterono operare nel regime convinti che la loro istituzione di appartenenza avrebbe maturato un ruolo di primissimo piano nel regime e che anzi lo stato fascista si sarebbe realizzato grazie al loro impegno personale.

La crisi economica del 1929 rese peraltro di grande attualità e urgenza la definizione delle corporazioni come istituto giuridico inteso a ottenere un inedito equilibrio tra capitale e lavoro.

Tutte le elaborazioni teoriche e propagandistiche del regime presero in considerazione i temi corporativi ma diedero diverse declinazioni dello stato fascista anche in considerazione del partito fascista stesso.

In questa sede vorrei prendere in considerazione quattro intellettuali fascisti che proposero altrettante diverse declinazioni dello stato fascista: Ugo Spirito, stato fascista come nazione-stato, Filippo Carli, stato corporativo, Alfredo Rocco, come stato-nazione e Sergio Panunzio come stato-partito.

Alfredo Rocco fu una importante figura nel regime in quanto ministro e principale responsabile del nuovo codice penale. Figura di spicco del nazionalismo aderì al fascismo portando in dote la sua interpretazione della storia imperiale la quale delineava dall'impero romano al fascismo la decadenza della civiltà europea in seguito alla fine del potere imperiale e al dissolvimento dell'impero romano. Il fascismo si proponeva di conseguire una nuova forma di sovranità in grado di superare la fragilità e la debolezza dello stato nel medioevo, l'assolutismo e la rivoluzione francese. L'organicismo dello stato di Rocco tendeva ad includere la nazione in una nuova sintesi in cui il richiamo al modello romano non veniva declinato in senso antiborghese. Il richiamo all'ordine e gli scarsi accenni a questioni sociali costituivano nella dottrina di Rocco gli elementi di una interpretazione autoritaria e reazionaria dello stato fascista. Le pretese del fascismo sulla nazione si basavano – a giudizio di Rocco – proprio sulla elaborazione di un nuovo stato piuttosto che sulla riscoperta di una nuova nazione.

Queste precise caratteristiche delle tesi di Rocco permisero al diritto penale e al diritto pubblico di venire informati di una visione reazionaria e conservatrice del fascismo stesso, in cui la polemica antiborghese, la questione sociale e il messianismo tipico del regime veniva messo in secondo piano.

Molto diversa fu la visione dello stato fascista di Ugo Spirito. Già allievo di Gentile, entrò presto in conflitto con questi e propose una identificazione tra stato e individuo basata sul superamento del liberalismo. Il nuovo stato fascista non basava la sua identificazione con l'individuo su spunti etici o volontaristici, ma sull'effettiva modificazione della sfera sociale ed economica prodotta dallo stato fascista. La nuova dimensione del lavoro e del capitale dello stato corporativo fascista rendeva necessario elaborare una nuova dottrina economica in grado di tenere conto delle novità introdotte dal regime nella produzione, nella distribuzione, nelle attese dei consumatori, nella formazione dei prezzi e nel benessere degli individui. Spirito riconosceva che il nuovo stato fascista non si basava sulla burocrazia statale, già oggetto degli strali dei futuristi prima del fascismo, ma da una identificazione tra nazione reale e stato corporativo. Per Spirito lo stato fascista corrispondeva 'alle forze individuali nella loro vita solidale’

Sebbene le tesi di Spirito non furono accolte con benevolenza dagli economisti di professione né dai giuristi, esse erano indirizzate tanto che alla formazione di una teoria del diritto aperto alle istanza degli istituti della magistratura del lavoro del fascismo, che alla educazione delle nuove generazioni che avrebbero intrapreso studi universitari. In questo modo le pretese di equità sociale del fascismo avrebbero avuto una effettiva legittimazione nella nuova economia e nel nuovo concetto di diritto che lo stato corporativo esigeva.

Non diversa dalla formulazione di Spirito fu quella di un Filippo Carli, già sociologo ed economista nazionalista che – come Rocco - aderì fin dalla prima ora al fascismo. Anche Carli puntava l'attenzione sulla nazione, infatti indicava tra gli elementi dello stato il popolo e il territorio. A prescindere dal ruolo giocato dallo stato burocratico e dal monopolio della forza da esso reclamato, per Carli solo quando la nazione coincideva con lo stato la sovranità poteva dirsi effettiva. Il fascismo era riuscito a affermare una nuova nazione in quanto 'formazione naturale e storica che, mentre è la realizzazione vivente di un complesso di ritmi spirituali (lingua e tradizione), è insieme la condizionante iniziale di ogni ultima dinamismo sociale, compreso quello economico’. In presenza dello stato fascista l'economia aveva acquistato nuove qualità in quanto la presenza delle corporazioni assicurava il massimo di libertà economica e di razionalità degli atti economici, come la massima riduzione dei costi e degli sprechi nella distribuzione di beni e servizi. Per Carli il soggetto puro dell'economia corporativa – che necessitava di una nuova scienza economica - era realizzato grazie alla identità di individuo e stato ottenuta mediante l’introduzione del contratto collettivo e delle magistrature del lavoro. Questo istituto giuridico permetteva al fascismo il corretto equilibrio tra capitale e lavoro, in grado tanto di favorire forme razionali di comportamenti economici che di sviluppare elementi etici. Anche gli sforzi intellettuali di Carli avevano come obiettivo di offrire un background teorico alla educazione universitaria e al diritto delle nuove istituzioni del fascismo. Come è noto le pretese del sistema corporativo di intervento nella economia e nella contrattazione non ebbero la fortuna sperata da molti fascisti, ma allo stesso modo sarebbe ingeneroso ed errato ridurre il corporativismo alla dimensione del mito, senza prendere in considerazione il ruolo che la formazione di nuove burocrazie, nuovi saperi e la frammentazione del mercato del lavoro produsse nelle dinamiche del consenso.

In ultimo è necessario prendere in considerazione le tesi di Sergio Panunzio sullo stato-partito. Anche la formazione di Panunzio è esemplare in quanto egli fu un importante animatore del socialismo rivoluzionario e trai primi estimatori di Georges Sorel e della sua esaltazione della violenza come antidoto al pacifismo della società borghese e capitalista. Fin dai primi anni del fascismo Panunzio si impegno a evidenziare il ruolo del partito nello stato fascista nel tentativo di riaffermare tanto nel diritto pubblico che nella pratica del diritto corporativo il peso del partito. Sebbene il partito dopo la segreteria Farinacci del 1925-1926 rinunciò ad una diarchia tra segretario e capo del fascismo, ebbene a giudizio di Panunzio il partito era il supremo garante del carattere di novità del regime fascista. Per Panunzio il partito era ‘promotore dell’unità’, era una sorta di stato invisibile rispetto allo stato visibile. Oltre la peculiare dimensione istituzionale del partito fascista come ente, Panunzio considerava il partito come l'anima del regime. Egli riusciva a dare la formula politica che informava tutto lo stato e il suo ordinamento giuridico, un potere che a giudizio di Panunzio era anche superiore al potere legislativo delle camere. Le tesi di Panunzio avevano una grande utilità a sostegno della attività sociale del partito, nel funzionamento della sua organizzazione, nella propaganda delle associazioni collaterali del partito.

L'impegno a tradurre la dimensione di novità dello stato fascista in un preciso e coerente ambiente funzionale di riferimento (il diritto, l'educazione, la propaganda, la burocrazia) giunse al culmine proprio alla fine della segreteria di Augusto Turati, quando la conflittualità tra federali e prefetti divenne evidente e conclamata agli occhi dei gerarchi del regime e del duce.

Il canale di strutturazione delle nuove articolazioni funzionali del regime si articolò proprio in questo senso; la strategia del fascismo -del resto- presenta uno straordinario campo di verifica e di analisi riguardo la teoria sociologica di Niklas Luhmann. Proprio a proposito della produzione di senso Luhmann ammonisce come il senso stesso sia 'forma del mondo' ed 'incorpori la differenza tra sistema ed ambiente'. Anche l'ambiente con cui il sistema si correla – infatti - si presenta nella forma del senso ed i confini ambientali diventano confini di senso. Proprio la differenziazione funzionale tipica della società moderna implica la necessità del sistema sociale e politico di stabilire i suoi confini, di indicare il suo ambiente di riferimento, esso sia l'economia, il diritto o lo stato stesso nel caso del partito.

Il fascismo offre un peculiare esempio della molteplice costruzione di senso legata al concetto dello stato. Del resto teorie e le dottrine di studiosi fascisti come Spirito, Rocco, Carli e Panunzio erano intese a rendere effettivo anche un legame strettissimo con le cerimonie di massa, con l'apparato simbolico e rituale dello stato fascista.

Se i riti rivendicavano la novità delle partecipazione delle masse alla vita dello stato nazionale, anche le dottrine settoriali del regime dovevano maturare da un contesto diverso da quello liberale. Tanto l'economia che il diritto erano indirizzate ad elaborare nuovi paradigmi in grado di distinguere l’esperienza del corporativismo fascista dalla tradizione delle scienze borghesi tipiche delle democrazie liberali. Accanto alle nuove istituzioni del regime era necessario favorire lo sviluppo di nuove dottrine, nuove classi di intellettuali di riferimento, impegnati tanto nella educazione che nel lavoro nello stato fascista.

Il fatto che il concetto di stato sia stato introdotto relativamente tardi nella esperienza del fascismo non deve trarre in inganno. La produzione ideologica e simbolica del fascismo è stata sempre indirizzata a peculiari strati sociali e a forme di mobilitazione e di mobilità sociale. L'attenzione per lo stato e per l'acculturazione dei giovani e della nuova burocrazia statale attraverso nuove dottrine settoriali sono elementi di grande interesse nella comprensione delle dinamiche di consenso e di spazializzazione della religione politica del fascismo.

Proprio l'attenzione alla dimensione funzionale e sistemica della macchina politica del regime fascista può aprire nuovi approcci di analisi in grado di approfondire la nostra conoscenza del fascismo e della sua capacità di relazionarsi con settori della burocrazia statale e della partito con particolare attenzione alla educazione dei giovani e all’inserimento delle donne nella burocrazia dello stato e nelle associazioni del partito.

La religione politica del fascismo ha manifestato una peculiare sintesi di simbolismo e riti di massa, come pure di elaborazione intellettuale e di elaborazione mitica. Proprio lo stato e la sua definizione presenta peculiari caratteri simbolici, capaci di offrire molteplici piani semantici nella strutturazione di senso imposta dal regime alla sfera pubblica.

Bibliografia essenziale

Rocco D'Alfonso, Costruire lo Stato forte. Politica, diritto, economia in Alfredo Rocco, 2004.

Emilio Gentile, Il Culto del Littorio. La sacralizzazione della politica nell'Italia fascista, 1995.

Niklas Luhmann Sistemi sociali (Soziale Systeme - 1984)

Lorenzo Santoro, Roberto Farinacci e il PNF 1923-1926, 2008.

Alessandra Tarquini, Il Gentile dei fascisti. Gentiliani e antigentiliani nel regime fascista, 2008.