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L'islam anticristiano all'assalto in Mali

di Massimo Introvigne (Il Nostro Tempo, 13 maggio 2012)

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Le ultime notizie sugli attentati anti-cristiani in Kenya e in Nigeria hanno riportato l'attenzione su un tema spesso dimenticato: l'avanzata di un islam ultra-fondamentalista non solo nell'Africa del Nord ma anche in quella sub-sahariana. La chiave per comprendere il recente peggioramento della situazione è il Mali, che rischia di diventare l'Afghanistan dell'Africa. Su questo Paese – impegnato negli scorsi mesi di febbraio e marzo in uno studio delle elezioni presidenziali in Senegal che mi ha portato appunto alla frontiera con il Mali – ho potuto raccogliere diverse testimonianze dirette. Il Mali è da anni in balia di una ribellione separatista nel Nord del Paese, dove l'etnia di maggioranza è quella tuareg. Tradizionalmente questa ribellione è stata guidata dal Movimento nazionale per la liberazione dell'Azawad (MNLA) di Mohamed Ag Najim. Tuttavia questo gruppo, d'idee laiche e nazionaliste, pesa oggi sul terreno assai meno del rivale Ansar Eddin, guidato da Iyad Ag Ghali e di matrice islamica fondamentalista.

Ma ancora più inquietante è il confluire dall'Algeria, dalla Libia e dalla Mauritania nel Nord del Mali – sostanzialmente controllati dai separatisti – delle truppe di Al Qa'ida nel Maghreb Islamico (AQMI). I tre leader algerini di AQMI – Moktar Belokhtar, Abou Zeid e Yahya Abou Hammam – si trovano oggi tutti nel Nord del Mali. Ricercati dalle polizie di mezzo mondo, si mostrano apertamente nella Grande Moschea di Timbuctù. Yahya Abou Hammam opera addirittura come una sorta di «governatore» della città. Le frustrazioni per le sconfitte al Nord hanno determinato in Mali il colpo di Stato dell'esercito del 21 marzo, e – dopo la condanna unanime dell'Occidente e dell'Africa – il passaggio dei poteri da una riluttante giunta militare a un governo civile provvisorio, che non riesce a riorganizzare un'offensiva contro i ribelli e ha avviato il 15 aprile in Mauritania una trattativa con i separatisti laici del MNLA, sperando di farsi aiutare da loro contro gli islamici di Ansar Eddin e di AQMI. Lo stesso Ansar Eddin il 13 aprile ha liberato 176 soldati maliani che aveva catturato, segnalando la sua disponibilità a essere incluso in una trattativa.

Ma nel frattempo il Nord del Mali e in particolare Timbuctù – con tutte le suggestioni che questa città si porta dietro nella storia dell'islam africano – stanno diventando come l'Afghanistan dei Talebani: una zona dove Al Qa'ida può mostrarsi a viso aperto, mantenere aperta una sede, reclutare militanti, offrire consigli e armi agli ultra-fondamentalisti e – per chiamarli con il loro nome – ai terroristi di numerosi Paesi africani. Le armi non mancano. Vengono dalla Libia, dove buona parte dell'arsenale di Muammar Gheddafi (1942-2011) è sparito. E non bisogna cercarlo troppo lontano: Abdelhakim Belhadj, capo del Gruppo islamico combattente libico (GICL), è un buon amico di AQMI ed è oggi uno dei capi militari del nuovo esercito di Tripoli, il che induce ancora una volta a farsi qualche domanda su che cosa esattamente è successo – e può succedere – in Libia.

Fra i commessi viaggiatori dell'ultra-fondamentalismo che vanno a raccogliere il verbo – e forse le armi – di Al Qa'ida a Timbuctù ci sono certamente nigeriani legati al cosiddetto Boko Haram e kenyoti, e tra loro vanno cercati i responsabili delle stragi di cristiani. Boko Haram significa «la cultura occidentale è impura» ed è lo slogan del Popolo consacrato alla propagazione degli insegnamenti del Profeta e al Jihad, gruppo fondato in Nigeria nel 2001 da Mohammed Yusuf (1970-2009). Paradossalmente, Yusuf aveva ricevuto un'educazione universitaria di stile occidentale, ma in seguito la sua adesione all'ultra-fondamentalismo islamico lo aveva portato a denunciare ogni insegnamento non esplicitamente sostenuto dal Corano, compresa l'idea che la Terra sia rotonda (per Yusuf era piatta). Nei primi otto anni di esistenza Boko Haram persegue i suoi scopi in modo relativamente pacifico, ma nel 2009 inizia una stagione di violenti scontri con la polizia. Yusuf è arrestato. Muore in carcere in circostanze sospette, per i seguaci assassinato. Da qui un crescendo di violenze, che prendono di mira soprattutto le comunità cristiane e che sono alimentate dal mito del Califfato di Sokoto, ultra-tradizionalista e intollerante, fondato nel 1809 in Nigeria da Usman Dan Fodio (1754-1817).

In Kenya l'islam rappresenta circa l'11% della popolazione. Il fondamentalismo neo-tradizionalista dei Fratelli Musulmani ha sempre avuto una buona presenza, ma anche Al Qa'ida ha reclutato qui alcuni dei terroristi più feroci, tra cui Fazul Abdullah Mohammed (1972-2011), leader del movimento terroristico in Somalia e – fino alla sua uccisione nel 2011 nelle convulse vicende della guerra civile somala – «ufficiale di collegamento» fra Al Qa'ida e l'ala più estremista delle Corti Islamiche che cercano di dominare il Paese. Benché una fazione delle Corti Islamiche cerchi oggi di rendersi presentabile e di dialogare con l'Occidente, un'altra continua la caccia all'uomo contro i cristiani.

La minoranza cristiana in Somalia, un tempo fiorente grazie alle missioni francescane italiane e ad alcune protestanti, si era già ridotta allo 0,5% della popolazione durante la sanguinosa persecuzione anticristiana condotta dal dittatore comunista Siad Barre (1919-1995) nei suoi ventidue anni di governo, dal 1969 al 1991, nel corso dei quali ogni attività missionaria fu vietata, centinaia di chiese distrutte e migliaia di cristiani uccisi.

Dopo la caduta di Barre la situazione era migliorata, ma una delle attività che le Corti Islamiche, autoproclamatesi unico potere legittimo in Somalia, hanno condotto con maggiore zelo è stata la condanna a morte dei convertiti al cristianesimo per apostasia: almeno un migliaio è stato giustiziato nell'ultimo decennio. Il programma della fazione più estremista delle Corti comprende, molto semplicemente, lo sterminio di tutti i cristiani somali. Uno dei loro ideologi, Nur Barud, ha spiegato che «non ci sono cristiani in Somalia, ci sono solo apostati. Un musulmano non può diventare cristiano: può solo diventare apostata. Non c'è posto per gli apostati in Somalia: non riconosciamo loro il diritto di esistere, solo quello di morire, e li uccideremo tutti».

Se questo quadro è molto allarmante – e richiede una risposta convincente anche sul piano strettamente militare, dal Mali alla Somalia – non si deve però dimenticare che in Africa ci sono anche situazioni dove cristiani e musulmani convivono pacificamente. Proprio il mio soggiorno in Senegal per le elezioni mi ha fatto incontrare vescovi e parroci cattolici che hanno definito «esemplare» la coesistenza fra i cristiani e l'islam locale dominato dalle confraternite sufi. Ma anche in Senegal, proprio profittando dei torbidi pre-elettorali, ci sono stati tentativi d'infiltrazione dai Paesi vicini di un islam ultra-fondamentalista. Questi tentativi sono sostanzialmente falliti. Ma tutta l'Africa rimane inquieta.