CESNUR - Centro Studi sulle Nuove Religioni diretto da Massimo Introvigne

www.cesnur.org

«Ritratto di cavaliere» del Carpaccio. Un compendio della spiritualitą cavalleresca

di Massimo Introvigne

img
Nota: Per intendere il commento, suggerisco di tenere davanti un'immagine ad alta risoluzione del dipinto, che si trova per esempio all'indirizzo http://tinyurl.com/8u3exz4

A margine di un convegno legale a Madrid, ho potuto partecipare a una delle visite alle collezioni permanenti del Museo Thyssen-Bornemisza, organizzate con particolare cura in occasione del ventennale del museo , che fu aperto nel 1992. Ho avuto così occasione di riammirare una delle gemme di questo museo, il «Ritratto di cavaliere» del pittore veneziano Vittore Carpaccio (1465-1525 o 1526).

Il ritratto riconferma anzitutto l'arcaismo del Carpaccio, che non è tanto - come avevano bene inteso i Preraffaelliti inglesi - il primo pittore del Rinascimento ma l'ultimo del Medioevo, tanto che morì povero e quasi dimenticato perché il nuovo gusto rinascimentale non ne comprendeva più la grandezza, riscoperta solo dopo diversi secoli. L'opera è uno straordinario compendio dell'ethos cavalleresco medievale e del gusto del Medioevo per i simboli, in particolare quelli tratti dal regno animale e vegetale.

È dato ormai per assodato fra i critici che si tratta proprio del ritratto di un cavaliere, non di due cavalieri e nemmeno di un cavaliere e del suo scudiero. Le due immagini rappresentano lo stesso cavaliere, ma in due fasi diverse del suo cammino. Lo vediamo a cavallo mentre esce da una fortezza di stile veneziano, pronto alla battaglia. E lo vediamo in primo piano mentre ripone la spada nel fodero. Questa figura di primo piano - ritratta con straordinaria qualità, in quello che è considerato il primo ritratto  a figura intera nella storia dell'arte occidentale - potrebbe alludere, come qualcuno pensa, al fatto che il cavaliere è morto. Ripone la spada nel fodero e si congeda da questo mondo. In questo caso il motto dell'Ordine dell'Ermellino, l'ordine cavalleresco bretone «risvegliato» ai tempi del Carpaccio dal re di Napoli Ferrante I d'Aragona (1424-1494)  - «malo mori quam foedari», «preferisco morire che macchiare [il mio onore]» - che appare su un cartiglio vicino all'animale, all'ermellino, sarebbe riferito precisamente alla morte in battaglia del protagonista. Ma potrebbe anche darsi che egli riponga la spada nel fodero semplicemente perché la sua missione è compiuta.

Il dipinto è una grande allegoria della «militia» cristiana e della cavalleria. Il mare e lo stagno sono solo un una prima allusione alle mille prove e difficoltà che il milite cristiano deve sopportare per pervenire al traguardo. Si aggiunge la ricca simbologia degli animali e delle piante.

In alto a sinistra un airone, simbolo della sofferenza, è ferito - se si pensa che sia ucciso, vi si può vedere un ulteriore simbolo della morte del cavaliere - da un falco, che simboleggia le insidie del male. Un altro falco se ne sta appollaiato sull'albero, a destra, e minaccia i passeri, gli «uccelli del cielo» evocati dallo stesso Gesù Cristo e simbolo delle anime. Sì, il male è all'opera nella storia e insidia le anime. Insidia l'anima stessa del cavaliere che nel suo viaggio incontra un pavone, simbolo dell'orgoglio, che quasi penetra nell'intimo stesso del milite a cavallo, mentre ancora più a sinistra un cavallo senza cavaliere, appeso in guisa d'insegna di una locanda, simboleggia le passioni senza briglia e senza freno. A destra, in corrispondenza dei due alberi, un coniglio e una lepre scappano: è la tentazione della viltà e della fuga davanti al pericolo. L'avvoltoio che sta vicino all'acqua e al cervo rappresenta la decadenza e la morte; le rane e i rospi nascosti nell'erba vicino all'ermellino in basso a sinistra sono le tentazioni in quanto hanno di più basso e volgare.

Ma a poco a poco, nel confronto con i vizi e le tentazioni, il cavaliere conquista anche le virtù. L'ermellino è simbolo della purezza, e gli antichi ritenevano che preferisse farsi catturare e uccidere piuttosto che nascondersi dove avrebbe sporcato la sua pelliccia immacolata. Il cervo a destra del secondo albero rappresenta la mitezza e la tenacia di fronte alle avversità, la cicogna in volo tra i due alberi la «pietas» filiale - si riteneva all'epoca che, caso unico fra gli animali, la cicogna si prendesse cura dei genitori, e non solo dei piccoli -, l'anatra la serenità e la calma. Tutte queste non sono interpretazioni più o meno fantasiose, ma discendono dai bestiari medievali con cui Carpaccio aveva evidente familiarità.

Che il pittore ci chiami a una visione drammatica della storia è confermato dal contrasto fra i due cani, il cane buono di pelo bianco che accompagna il cavaliere e il cane rosso, aggressivo e laido, raffigurato più sulla destra. Queste sono vere e proprie icone dell'angelo buono e di quello cattivo, delle suggestioni divine e demoniche che sempre si confrontano nella storia. Il «gran cane» malvagio forse allude - com'è stato suggerito - anche al titolo «Gran Khan», attribuito dopo i mongoli ai sultani turchi, e in questo caso la battaglia che il milite combatte sarebbe specificamente la guerra di Venezia contro i turchi. Ma questa, a sua volta, è solo un episodio di un dramma sempre all'opera nella storia e che ne trascende i singoli eventi.

Ricca in modo unico - di un gusto, ancora, tipicamente medievale e ancor più difficile da capire oggi - è poi la simbologia delle piante. Non a caso, proprio questa in Carpaccio entusiasmerà i Preraffaelliti, che cercheranno di riprodurla in opere,  come l'«Ofelia» di John Everett Millais (1829-1896), che sono veri e propri trattati di botanica. Nell'opera di Carpaccio, però, il problema sta nel fatto che molti simboli botanici sono ambivalenti. Consideriamo per esempio un fiore molto visibile, l'anemone rosso vicino alle gambe del cavaliere. Questo, fin dalla mitologia classica, è un presagio di morte. Ma nello stesso tempo per i cristiani significa, come la porpora indossata dai cardinali, il sangue versato per la fede e la disponibilità al martirio. I gladioli significano morte violenta: ma anche le sofferenze della Madonna Addolorata. A destra, non lontano dal cane malvagio, vediamo i narcisi, nella mitologia greca fiore di Proserpina, regina degli inferi, e quindi fiore legato all'inferno. E vicino all'ermellino vediamo invece un giglio, simbolo di purezza per eccellenza, contrapposto ai rovi, che simboleggiano il disordine. Troviamo anche - e l'elenco non finirebbe qui - fiori di camomilla - la tranquillità -, e la pervinca azzurra,  che il Medioevo considera il fiore della fedeltà e del Cielo.

Così, in un unico dipinto, Carpaccio ci ha offerto un compendio della spiritualità cavalleresca, fondata su una visione drammatica e alternativa della storia. La vita è milizia, e quello del cavaliere è un viaggio, un itinerario irto di ostacoli e prove ma dove l'aiuto viene dalla virtù e dal Cielo stesso. Alla fine - dopo avere sconfitto il nemico, forse i turchi, e forse a prezzo della sua stessa vita - il cavaliere ripone la spada. Ha combattuto la buona battaglia, è stato di esempio al suo tempo - e al nostro. Ora attende il premio eterno.