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La bellezza porta luce nel buio del mondo

di Massimo Introvigne

imgNella preghiera «dobbiamo non solo richiedere, ma anche lodare e ringraziare: solo così la nostra preghiera è completa». Lo ha affermato Benedetto XVI nella catechesi di mercoledì 20 giugno, continuando nella «scuola della preghiera» dedicata alle lettere di san Paolo e soffermandosi sul primo capitolo della Lettera agli Efesini, un brano profondamente trinitario e insieme dedicato alla bellezza che brilla nel buio del mondo. Questo capitolo inizia proprio con una preghiera di ringraziamento, a Dio che in Gesù Cristo ci ha fatto «conoscere il mistero della sua volontà» (Ef 1,9). E «realmente c’è motivo di ringraziare se Dio ci fa conoscere quanto è nascosto: la sua volontà con noi, per noi; “il mistero della sua volontà”». «Mysterion», «Mistero» è un termine che ricorre spesso nella Sacra Scrittura e che nel linguaggio comune «indica quanto non si può conoscere, una realtà che non possiamo afferrare con la nostra propria intelligenza». Ma la Lettera agli Efesini ci svela un altro senso della parola. «Per i credenti “mistero” non è tanto l’ignoto, ma piuttosto la volontà misericordiosa di Dio, il suo disegno di amore che in Gesù Cristo si è rivelato pienamente». Ora davvero, afferma san Paolo, possiamo «comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e di conoscere l’amore di Cristo» (Ef 3,18-19). «Il “mistero ignoto” di Dio è rivelato ed è che Dio ci ama, e ci ama dall’inizio, dall’eternità».

Ne nasce un inno di benedizione: «Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo» (Ef 1,3). che «ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo». San Paolo, nota il Papa, qui  «usa il verbo euloghein, che generalmente traduce il termine ebraico barak: è il lodare, glorificare, ringraziare Dio Padre come la sorgente dei beni della salvezza».

Ma perché dobbiamo benedire il Signore? Risponde san Paolo che Egli «ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità» (v. 4). Dunque «Dio ci ha chiamati all’esistenza, alla santità. E questa scelta precede persino la creazione del mondo». La nostra vocazione alla santità corrisponde «al disegno eterno di questo Dio, un disegno che si estende nella storia e comprende tutti gli uomini e le donne del mondo, perché è una chiamata universale».

San Paolo continua: Dio ci ha chiamati a essere «figli adottivi, mediante Gesù Cristo». Ma, affinché non ci inorgogliamo, è sempre bene ricordare che «Dio ci sceglie non perché siamo buoni noi, ma perché è buono Lui. E l’antichità aveva sulla bontà una parola: bonum est diffusivum sui; il bene si comunica, fa parte dell’essenza del bene che si comunichi, si estenda. E così poiché Dio è la bontà, è comunicazione di bontà, vuole comunicare; Egli crea perché vuole comunicare la sua bontà a noi e farci buoni e santi».

Per la Lettera agli Efesini al centro della benedizione sta Gesù Cristo: «mediante il suo sangue, abbiamo la redenzione, il perdono delle colpe, secondo la ricchezza della sua grazia» (Ef 1,7). Qui ci viene svelato, per così dire, il centro stesso della storia. «Il sacrificio della croce di Cristo è l’evento unico e irripetibile con cui il Padre ha mostrato in modo luminoso il suo amore per noi, non soltanto a parole, ma in modo concreto. Dio è così concreto e il suo amore è così concreto che entra nella storia, si fa uomo per sentire che cosa è, come è vivere in questo mondo creato, e accetta il cammino di sofferenza della passione, subendo anche la morte. Così concreto è l’amore di Dio, che partecipa non solo al nostro essere, ma al nostro soffrire e morire».  Il Pontefice paragona questo brano con quello famoso della Lettera ai Romani: «Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui?... Io sono infatti persuaso che né morte, né vita, né angeli, né principati, né presente, né avvenire, né potenze, né altezza, né profondità, né alcun’altra creatura, potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore» (Rm 8,31-32.38-39).

Nella benedizione trinitaria della Lettera agli Efesini, con il Padre e il Figlio è naturalmente ben presente anche lo Spirito Santo: «Egli è caparra della nostra eredità, in attesa della completa redenzione di coloro che Dio si è acquistato a lode della sua gloria» (Ef 1,14). Il Papa cita san Giovanni Crisostomo (tra 344 e 354-407), il quale così commenta questo passaggio: «Dio ci ha eletti per la fede ed ha impresso in noi il sigillo per l’eredità della gloria futura» (Omelie sulla  Lettera agli Efesini 2,11-14). La strada della redenzione è «anche un cammino nostro, perché Dio vuole creature libere, che dicano liberamente sì; ma è soprattutto e prima un cammino Suo. Siamo nelle Sue mani e adesso è nostra libertà andare sulla strada aperta da Lui».

Abbiamo dunque nella Lettera agli Efesini tutta la Trinità in azione: «il Padre, che ci ha scelti prima della creazione del mondo, ci ha pensato e creato; il Figlio che ci ha redenti mediante il suo sangue e lo Spirito Santo caparra della nostra redenzione e della gloria futura». Da san Paolo possiamo imparare a scorgere l’impronta della Trinità nel mondo, «la bellezza del Creatore che emerge dalle sue creature». Citando l’esempio di san Francesco d’Assisi (1182-1226), e tornando sul tema che gli è caro della via pulchritudinis, la via della bellezza, il Papa nota che «importante è essere attenti proprio adesso, anche nel periodo delle vacanze, alla bellezza  della creazione e vedere trasparire in questa bellezza il volto di Dio». E naturalmente anche nella bellezza dei santi, «affinché la Santissima Trinità venga ad abitare in noi, illumini, riscaldi, guidi la nostra esistenza». «Sant’Ireneo [130-202] ha detto una volta che nell’Incarnazione  lo Spirito Santo si è abituato a essere nell’uomo. Nella preghiera dobbiamo noi abituarci a essere con Dio».

La preghiera ci trasforma, ci aiuta a vedere il mondo e la bellezza con colori nuovi. «La preghiera come modo dell’“abituarsi” all’essere insieme con Dio, genera uomini e donne animati non dall’egoismo, dal desiderio di possedere, dalla sete di potere, ma dalla gratuità, dal desiderio di amare, dalla sete di servire, animati cioè da Dio; e solo così si può portare luce nel buio del mondo».