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Millenarismo e astrologia nel quadro “Esaltazione dell’Eucarestia” di  Ventura Salimbeni (1600)

di Antonio Soro

imgL’articolo spiega come il quadro Esaltazione dell’Eucaristia di Ventura di Arcangelo Salimbeni associ le teorie gioachimite sulla Trinità alla precessione degli equinozi. La redenzione appare dunque strettamente connessa ai moti astronomici.

Poche persone, forse, conoscono la Chiesa di San Lorenzo in San Pietro, situata nel comune di Montalcino, in provincia di Siena. La chiesa appartenne in origine, nel XIV secolo, all’abbazia di Sant’Antimo. Nel XVII secolo, tuttavia, essa venne modificata. Come la si può contemplare oggi, essa appare esteriormente nella sua essenzialità, con facciata in pietre e tetto a capanna. La piccola chiesa è resa celebre da tre opere del manierista Ventura di Arcangelo Salimbeni (1568-1613); si tratta del Cristo che consegna le chiavi a San Pietro, del 1599, del Cristo inchiodato alla Croce, del 1604, e di un affresco del 1600, la Disputa dell’Eucaristia. E’ su quest’ultima opera che vorrei soffermarmi, perché essa ha suscitato, soprattutto in epoca moderna, numerosi interrogativi. Nella raffigurazione, al centro, in un ostensorio su di un altare, si trova l’ostia consacrata. In basso, in primo piano, vi sono i dottori della Chiesa che dissertano sul Sacramento. Nella parte superiore – e l’attrattiva è dovuta a quanto è raffigurato in tale sezione – sta la Santissima Trinità. Sulla verticale dell’Eucarestia si trova, nell’immagine di una colomba, lo Spirito Santo. Alla destra della Terza Persona sta il Figlio; alla sua sinistra il Padre. Tra la gamba sinistra del Figlio e la gamba destra del Padre è collocato un globo azzurro, che simboleggia la volta celeste, il cui centro passa per la linea ideale che unisce l’Eucaristia e lo Spirito Santo. Il globo, sulla cui superficie appaiono un’altra piccola sfera dello stesso colore (la luna) e una terza sferetta luminosa (il sole), ha due terminazioni (gli “scettri”, tenuti ad un’estremità dalle prime due Persone divine), che partono dalla sfera e proseguono radialmente e per un tratto. I due scettri, prolungati idealmente fino al centro della sfera, individuano un angolo acuto di poco più di venti gradi, corrispondente, in un orologio, più o meno alle 11.05; le loro estremità arrivano sino all’altezza delle ali dello Spirito Santo, e da esse poco si discostano.

E’ naturale che gli uomini, nel tempo, attribuiscano significati spesso troppo anacronistici a particolari che non riescono a spiegare. A mio avviso, questo errore può essere compreso, quando a commetterlo  sono persone non di particolare competenza artistica o scientifica. Ed è così che la sfera coi due scettri, dal tempo delle prime imprese astronautiche, venne associata, perché effettivamente un po’ somigliante, al primo satellite artificiale che, nel 1957, entrò in orbita attorno alla Terra: lo Sputnik. Gli scettri ricordano infatti le antenne, mentre il globo rimanda allo scafo d’alluminio della sonda sovietica. Le teorie più serie, ovviamente, forniscono ben altra interpretazione.  Le ipotesi fantasiose e colme di mistero, in verità, sfumano completamente una volta che si individua con esattezza l’identità degli scettri che si diramano dal globo.

Per avere una chiara idea della loro natura, infatti, è sufficiente misurare l’angolo tra di essi avente come vertice il centro del globo. Una stima goniometrica anche approssimata indica questo angolo pari a poco più di 20 gradi. Tale ampiezza, invero, ha un significato riconducibile al moto di precessione terrestre. Infatti, come è noto, la terra, fra i suoi moti, ne ha anche uno che fa spostare di continuo il suo asse di rotazione, il quale approssimativamente descrive un cerchio nella volta celeste sovrastante i poli. Si tratta di un moto lentissimo: l’asse descrive una traiettoria circolare in circa 26.000 anni. Il risultato di questo spostamento è che, se oggi l’asse terrestre è diretto verso la Stella Polare, fra un semiperiodo, cioè fra 13.000 anni, esso sarà volto verso la stella che si trova all’altra estremità del cerchio ideale, ossia verso la stella Vega. Il moto di precessione era già noto anticamente: Platone stimava questo periodo, chiamato Grande Anno, in circa trentamila anni. L’elemento pagano, presente nei latini Servio, Cicerone, Virgilio, fu accolto da alcuni ambienti cristiani, anche forse con l’autorità di alcuni passi biblici. Del resto, i Magi giunsero a Betlemme leggendo nella apparizione di una stella la premonizione della nascita del Salvatore. Per loro, la storia della salvezza era legata ai moti delle astri. Chi scrive ha mostrato che Dante, che nel Convivio considerava come Grande Anno quello stimato grossolanamente da Platone, nella posteriore Divina Commedia aveva invece presente il più preciso valore di ventiseimila anni, e considerava importante  il suo semiperiodo, cioè tredicimila anni. Il grande poeta, infatti,  credeva che l’anno giubilare 1300 fosse esattamente a metà tra la creazione di Adamo (5200 a. C.) e il Giudizio finale (7800 d. C.). A Princeton, il professor Robert Hollander ha avallato l’ipotesi dello scrivente, affermando che «the poem’s first takes on a fuller meaning, representing the midpoint in the arc of all human time, Nel mezzo del cammin di nostra vita”. In such a view, that verse refers to two distinct life-spans at once, the poet’s and humanity’s». La terra, ogni tredicimila anni, sposta il suo asse da Vega alla Polare; dopo altri tredicimila il nord indicherà di nuovo Vega, e così via.

Non è difficile dedurre, a questo punto, che i due scettri del globo azzurro, che individuano un angolo di poco maggiore ai 20 gradi, rappresentano due diverse inclinazioni dell’asse terrestre, che nel moto di precessione individuano un angolo di 23 gradi e mezzo circa. Se dunque la grande sfera rappresenta la volta celeste, il piccolo globo disegnato sulla sua superficie è effettivamente la luna, e quello luminoso è il sole, ovviamente assai sottostimato nelle sue dimensioni.

Ora ci chiediamo: che cosa può aver voluto dire Salimbeni rappresentando il Padre e il Figlio con in mano, nell’immagine degli scettri, lo stesso asse terrestre inclinato verso due opposte direzioni?

Indubbiamente, la mano ferma di Dio sembra suggerire che quel moto astronomico è guidato dall’alto, sicché ad un estremo l’asse terrestre obbedisce al Padre; all’altro obbedisce al Figlio. Nel mezzo, esso si trova esattamente sulla verticale dello Spirito Santo. E’ immediata così l’associazione dell’immagine alla teoria escatologica dell’abate teologo Gioacchino da Fiore (1130-1202), per il quale esistono tre epoche nella storia della salvezza: quella del Padre, la più dura, la più oscura, racchiusa dai testi dell’Antico Testamento; quella del Figlio, connessa al Nuovo Testamento, l’età della grazia redentrice; l’ultima è quella che comincia con la Resurrezione, l’età dello Spirito Santo, l’età del giudizio e della salvezza. Tuttavia, nel quadro di Salimbeni vi è molto di più. Le tre epoche non sono infatti connesse strettamente alla rivelazione biblica, ma in primo luogo esse sono segnate dai cicli astronomici; o meglio, tali periodi sono stabiliti dalla divinità per scandire le tappe della rivelazione. Ecco dunque che i cieli divengono un libro di salvezza, una bibbia sempiterna che, dopo la Parola rivelata, è carica di significato e insegna all’uomo a riconoscere i segni dei tempi. Si è ricordata l’importanza dell’astronomia per i Magi. Ma anche Gesù invitava ad alzare lo sguardo per riconoscere il Messia ed accogliere la buona novella (cfr. Mt 16,2-3: «Quando si fa sera voi dite: “Bel tempo, perché il cielo rosseggia”; e al mattino: “Oggi burrasca, perché il cielo è rosso cupo”. Sapete dunque interpretare l’aspetto del cielo e non sapete distinguere i segni dei tempi?»). L’esortazione del Maestro poteva esser dunque interpretata dai cristiani come un invito a riconoscere nel cielo i tempi scanditi dalla salvezza.

Ora però, proprio i cristiani non potevano che porre al centro di tutto il memoriale eucaristico. E’ nel rinnovarsi di quel sacrificio, in quell’attimo eterno celebrato sull’altare, che viene sintetizzata tutta l’azione salvifica del Cristo, dalla sua morte alla fine dei tempi. L’Eucaristia istituita da Gesù fu, è e sarà sempre il centro della vita e dell’orazione cristiana, perché essa ha in sé racchiuso tutto il passato e tutto il futuro.

Ed è perciò che essa, proprio perché racchiude in sé l’intera dimensione escatologica, non può che essere vista come segno visibile e tangibile di una realtà superiore. I dotti della Chiesa, nell’affresco, contemplano il mistero, riconoscendo in esso non solo una fonte di fede, ma anche di razionalità, e intravedendone, per così dire, sulla verticale teologica, lo Spirito Santo effuso dal Padre, il quale santifica nelle mani del sacerdote il Dono di salvezza; è nella Sua era che l’Eucarestia conduce gli uomini a Dio. La rivelazione, nel quadro di Salimbeni, è segnata come da un orologio dal moto di precessione degli equinozi. Anche il cosmo dunque, nella pittura del Salimbeni, partecipa della salvezza, governato da rigide leggi matematiche. La matematica, osservava Galileo, contemporaneo di Salimbeni, è l’alfabeto nel quale Dio ha scritto l’universo. Ciò equivale a dire che la matematica è essa stessa logos divino, e tale concezione ben spiega, in definitiva, la rappresentazione astronomica di Ventura Salimbeni (che pure conserva una concezione tolemaica del cosmo).  Come scriveva San Paolo (Rm 8,22-23),  «sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo». Lo scienziato diviene così per certi aspetti simile al sacerdote; nei meandri della matematica e nello studio dell’astronomia egli coglie qualcosa della la realtà trascendente dell’Eucaristia, presenza e condivisione dell’amore divino che redime.