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La circolare Buffarini-Guidi e le scuse del Papa ai Pentecostali

Massimo Introvigne

 

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Papa Francesco ha voluto includere nella visita alla comunità pentecostale del pastore Giovanni Traettino a Caserta, del 28 luglio 2014, un gesto forte di riconciliazione della memoria: ha chiesto perdono per il sostegno che alcuni cattolici italiani diedero alle leggi contro i pentecostali degli anni 1930. Papa Francesco aveva già espresso questo concetto in precedenti incontri privati con esponenti pentecostali, non senza destare qualche perplessità. Il riferimento è alla circolare del 9 aprile 1935 del sottosegretario all'Interno Guido Buffarini-Guidi (1895-1945), oggetto frequente di polemiche protestanti per i suoi accenni a presunti pericoli per «l'integrità fisica e psichica della razza» del modo di pregare pentecostale. Lo stile non stupisce in Buffarini-Guidi, che sarà poi uno dei teorici del razzismo italiano. Ma stupisce - e la storiografia lo ha purtroppo messo in luce in modo inconfutabile - il sostegno alla circolare del 1935 di vescovi cattolici italiani, alcuni dei quali ebbero un ruolo anche nella sua genesi. In effetti, nel 1934 la Segreteria di Stato vaticana trasmise al governo italiano una nota, sembra redatta da vescovi diocesani italiani, dove si leggeva tra l’altro:«Particolare segnalazione meritano i pentecostali o tremolanti. Nelle loro adunanze, gli adepti sono eccitati fino al parossismo, con grande pericolo soprattutto per le donne e i bambini. Per accertarsi basterà inviare un medico psichiatra a fare, senza preavviso e cautamente, un sopralluogo nella loro sede di via Adige 20, in Roma. Gli stessi protestanti non approvano il loro sistema (…). È bene tenere presente che la legge italiana ammette culti diversi dalla religione cattolica, ‘purché non professino principi e non seguano riti contrari all’ordine pubblico e al buon costume’. Quindi non si comprende come il culto pentecostale continui ad essere ammesso in Italia. (...) Sua Eccellenza il capo del governo, nel gran discorso alla seconda assemblea quinquennale del regime del 18 Marzo ultimo scorso, ha dichiarato: ‘L’unità religiosa è una delle grandi forze di un popolo. Comprometterla e anche soltanto incrinarla è commettere un delitto di lesa nazione’. Questa categorica affermazione, che vuol essere un programma di condotta per tutte le autorità dello stato, resterebbe sterile se ad un delitto così grave e così autorevolmente qualificato non corrispondessero nella legislazione misure convenienti a prevenirlo e a reprimerlo. Per tutti gli altri delitti di lesa maestà, di leso regime, di lesa nazione, la legge italiana ha proporzionati rimedi» (Giorgio Rochat, Regime Fascista e Chiese evangeliche, Claudiana, Torre Pellice, 1990, pag. 37). È interessante il riferimento ai «protestanti» ostili ai pentecostali. In effetti, non solo da parte cattolica ma anche da parte valdese arrivarono al governo segnalazioni ostili ai pentecostali.

Sono vicende che vanno certamente inquadrate nel contesto di un'epoca diversa dalla nostra, in cui altrove non pochi protestanti di varie denominazioni collaboravano a loro volta alla repressione e alla discriminazione dei cattolici. Tuttavia, la vicenda della circolare Buffarini-Guidi non è una pagina luminosa della storia della Chiesa italiana, e il gesto del Papa s'inquadra in quella ricerca di una memoria purificata dove la Chiesa, in persona del Pontefice, «implora il perdono per i peccati passati e presenti dei suoi figli», inaugurata da san Giovanni Paolo II (1920-2005) con la la bolla d'indizione dell'Anno Santo «Incarnationis Mysterium» del 1998.

Perplessi di fronte al gesto del Papa, alcuni hanno voluto attribuire la responsabilità per la circolare Buffarini-Guidi al solo regime fascista – mentre nella sua genesi pesarono certamente le segnalazioni cattoliche e anche di gruppi protestanti storici – e non è mancato, nel mondo variopinto che si esprime soprattutto su Internet, chi addirittura ne ha negato l’esistenza, quasi fosse un’invenzione recente. Tanto poco è un’invenzione la circolare Buffarini-Guidi che gli archivi delle Assemblee di Dio in Italia conservano un’ampia documentazione giuridica sui ricorsi presentati dopo la Seconda guerra mondiale per ottenere faticosamente la sua abrogazione. La stessa Corte di Cassazione si occupò della vicenda con la sentenza del 30 novembre 1953, che trascriviamo in calce, dove dichiarava la circolare del 9 aprile 1935, cioè la Buffarini-Guidi, che le autorità di polizia continuavano ad applicare, di fatto non più applicabile per il contrasto con la nuova Costituzione. La sentenza fu pubblicata sul periodico Risveglio pentecostale del maggio 1954, ma è facilmente reperibile nei repertori della Cassazione. Su Internet si pubblica, come si dice, la qualunque, ma qualcuno dovrebbe spiegare perché la Cassazione – e così i tribunali e il Consiglio di Stato – dibattevano negli anni 1950 della vigenza di una circolare che, secondo qualcuno sarebbe stata inventata a beneficio di Papa Francesco nel XXI secolo...

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REPUBBLICA ITALIANA - IN NOME DEL POPOLO ITALIANO la Corte Suprema di Cassazione, Sezione III Penale ha pronunciato la seguente SENTENZA:

Sul ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di S. Maria Capua Vetere, contro CONSOLI FIORAVANTI di Francesco ed altri, avverso la sentenza 23 gennaio 1953 del Pretore di Teano che li assolveva perchè il fatto non costituisce reato della contravvenzione di cui all'art. 650 codice penale.

Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso;

Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere applicato Rosso;

Udito il difensore avv.to Rosapepe che ha concluso per il rigetto del ricorso;

Udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. D'Errico, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

Osserva in fatto:

In seguito a denunzia del comandante la stazione carabinieri di Riardo, Consoli Fioravanti, Occhicone Vito Antonio, Masiello Antonio, Di Nuzzo Alfredo, Jannucci Giovanni, Masiello Salvatore, Zappatella Nicolina, Massi Angela, tutti sorpresi nella casa rurale del terzo dei denunziati (Masiello Antonino) intenti al canto di inni religiosi di rito pentecostale, dopo la chiusura del tempio di tale setta adottata in via amministrativa il 10 ottobre precedente, venivano rinviati a giudizio dinanzi il Pretore di Teano per rispondere della contravvenzione di cui all'art. 650 cod. pen. per violazione della circolare del Ministero degli Interni in data 9 aprile 1935, n. 600, 159, diretta ai Prefetti, con la quale si ordinava lo scioglimento delle associazioni della setta, definita contraria all'ordine sociale.

Procedutosi al dibattimento, il Pretore di Teano con sentenza 16 febbraio 1953 proscioglieva tutti gli imputati dal reato loro ascritto perché il fatto non costituiva reato. A sostegno della decisione rilevava il pretore non essere applicabile le sanzioni di cui all'art. 650 cod. pen. per la violazione di detta circolare del Ministero degli Interni, poichè questa non rientrerebbe fra i provvedimenti emessi per ragioni di ordine pubblico, giustizia, sicurezza pubblica e igiene, alla cui violazione soltanto si riferirebbero le sanzioni comminate dall'articolo comunque citato, e perché alla circolare non era stata data alcuna forma di pubblicità nei confronti della generalità dei cittadini, trattandosi di provvedimento di carattere amministrativo interno, di direttive agli uffici dipendenti. Aggiungeva, poi, il pretore che il fatto accertato non poteva considerarsi sanzionato penalmente neanche sotto altri riflessi, in quanto era risultato trattarsi di riunione di nove persone in un'abitazione privata. Concludeva quindi il Pretore che neppure erano applicabili le sanzioni di cui all'art. 18 L.P.S., che richiede il preavviso all'autorità di P. S. per determinate riunioni, anche perchè tale articolo era stato modificato per effetto dell'art. 17 della Costituzione, norma precettiva di immediata applicazione, che limitava tale obbligo di preavviso alle riunioni in luogo pubblico.

Contro tale sentenza di proscioglimento ricorreva per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di S. Maria Capua Vetere. Il ricorrente non disconosceva l'esattezza delle affermazioni del Pretore di Teano, nel senso che la circolare del 1935 del Ministro degli Interni del tempo, non costituisca provvedimento, la cui violazione sia punita ai sensi dell'art. 650 cod. pen. Assumeva, però, che il Pretore non aveva tenuto presente che gli imputati avevano continuato a esercitare il culto pentecostale senza autorizzazione, e anzi dopo che era intervenuta la chiusura del tempio già esistente in Riardo, con conseguente diffida da parte dei carabinieri.
Esercizio siffatto costituiva, secondo il ricorrente, violazione dell'art. 2 del decreto legge 28 febbraio 1930, n. 289, e dei susseguenti provvedimenti di chiusura del tempio e di diffida, e a dette violazioni era applicabile la sanzione del surriferito art. 650. codice penale.

Osserva in diritto:

Come si è precisato nella parte enunciativa, il Pubblico Ministero ricorrente non si duole che sia stata dal Pretore esclusa l'applicabilità della sanzione di cui all'art. 650 codice penale in relazione alla circolare del Ministero degli Interni del 9 aprile 1935, n. 600/158, con la quale circolare, diretta ai Prefetti del Regno, si ordinava lo scioglimento dell'associazione religiosa dei Pentecostali e la chiusura dei relativi templi ed oratori per l'affermato motivo che il culto da essi professato «si estrinseca e concreta in pratiche religiose contrarie all'ordine sociale e nocive alla integrità fisica e psichica della razza».

A tale uopo, basta brevemente osservare che, a prescindere da una qualsiasi indagine sulla legittimità di tale circolare in relazione all'organo emanante (Ministero dell'Interno) e sulla natura delle ragioni che la giustificano in relazione a quelle considerate dall'art. 650 cod. pen., mai per la sua violazione, quest'ultima norma sarebbe applicabile. Tale provvedimento, in conformità del resto alla natura degli altri provvedimenti del genere (circolari), è rimasto un ordine puramente interno, di direttiva agli organi dipendenti, senza qualsiasi pubblicità nei confronti dei cittadini, i quali, come questo Collegio costantemente ha deciso, non potevano pertanto incorrere in sanzioni penali in caso di inosservanza.

Ciò premesso, va considerato che il P. M. ricorrente si duole invece della mancata applicazione da parte del Pretore di Teano della sanzione dell'art. 650 cod. pen., in relazione ed altri divieti, e precisamente a quello generale dell'art. 2 del r.d.l. 28 febbraio 1930, n. 289, che assoggetta ad autorizzazione ministeriale i luoghi di esercizio dei culti non cattolici, e a quello specifico relativo alla precedente chiusura, da parte dei carabinieri in data 16 ottobre 1952, del preesistente tempio pentecostale di Riardo, dove in precedenza pubblicamente si riunivano quei fedeli, e alla conseguente diffida della stessa autorità.

Sul primo punto, la difesa degli imputati espressamente risolleva, con apposita memoria, la questione giuridica se le surriferite norme del citato r.d.l. del 1930 siano compatibili con i nuovi principii affermati dalla Costituzione sulla piena libertà di culto, ovvero siano stati abrogati immediatamente, per effetto dei su riferiti nuovi principii costituzionali (in particolare art. 8 e 19).

La questione è stata già risolta nel primo senso da questa Sezione con la sentenza 7 maggio 1953 n. 1522 P.M. c. Somamni, e nessun nuovo argomento a favore della contraria tesi è stato apportato in questo giudizio che determini una diversa decisione. D'altra parte, un approfondito riesame della questione stessa, è superfluo per il rilievo assorbente che comunque in relazione a detto art. 2 del r.d.l. del 1930 mai sarebbe applicabile nel caso in ispecie la sanzione di cui all'art. 650 cod. pen.

È pacifica eccezione dottrinale e giurisprudenziale che nei provvedimenti la cui violazione è sanzionata ai sensi dell'art. 650 cod. pen. non rientrano quelli di carattere legislativo o regolamentare, eccetto che in essi l'art. 650 predetto sia espressamente richiamato quoad poenam, in caso diverso, se eventualmente un precetto o un divieto, formulato in una legge o in un regolamento, non fosse sanzionato, dovrebbe rispettarsi il principio generale per cui siffatto precetto non importa sanzione.

Peraltro, per quanto si riferisce al divieto contenuto nell'art. 2 del r.d.l. del 1930, non sarebbe esatto ritenere che nella norma manchi la sanzione alla sua violazione. E' duopo considerare che il legislatore dopo avere, nella prima parte dell'articolo in esame, riconosciuto la piena libertà delle cerimonie religiose di culti diversi dal cattolico se celebrate in luogo autorizzato al culto, alla presenza di ministro pure autorizzato, nell'ultima parte dello stesso articolo aggiunge: in caso diverso si applicano le norme per le riunioni pubbliche. E' inequivocabile pertanto il pensiero del legislatore, quanto chiara ne è la lettera della legge, nel senso che, per effetto della norma predetta, in caso di riunioni religiose in luogo non autorizzato si applica il sistema disposto per le riunioni pubbliche secondo le norme vigenti (art. 18 L.P.S.) con le conseguenti sanzioni in caso di inosservanza (pure art. 18 citato). Il richiamo a questo ultimo articolo era peraltro quod substantiam e non quoad poenam, sicchè anche per le riunioni religiose in luoghi non autorizzati doveva caso per caso accertarsi un carattere di pubblicità che richiedesse preventivo avviso. Sotto questo riflesso, può attualmente riconoscersi la sostanziale esattezza di quanto ha affermato il Pretore con la sentenza impugnata, rilevando che l'art. 18 L.P.S., il quale richiedeva il preavviso per riunioni in luogo sia pubblico che aperto al pubblico, ha subito radicale modifica per effetto dell'art. 17 della Costituzione, del quale questo Collegio ha con numerose sentenze riconosciuto la natura di norma precettiva di immediata applicazione. Infatti l'art. 17 della Costituzione ha sancito la necessità del preavviso solo per le riunioni in luogo pubblico, prescindendone per quelle in luogo aperto al pubblico.

Devesi, però, aggiungere che la libertà di riunione senza preavviso, ora più ampiamente riconosciuta dalla Costituzione, deve coordinarsi non soltanto con i limiti posti dal primo comma del citato articolo, e cioè che la riunione si svolga «pacificamente e senz'armi» (come questo Collegio non ha mancato di precisare colla sentenza Sezioni Unite 31 marzo 1951, n. 8, Guardigli), ma anche per quanto si riferisce alla materia religiosa, con la norma del successivo art. 19, che subordina la libertà dell'esercizio del culto, anche se in privato, alla condizione che non si tratti di atti contrari al buon costume. Nella specie, però, è da considerarsi che, se pur il Pubblico Ministero ricorrente accenna a particolari pratiche del rito dei Pentecostali che sarebbero contrarie al buon costume (ad es. baci tra i fedeli a l'inizio ed alla fine della cerimonia), tuttavia nè dalla sentenza impugnata nè dal verbale di sopraluogo dei carabinieri, i quali sorpresero nove persone intente al canto di inni, risulta che si compissero pratiche del genere.

In relazione alle precise modalità di fatto accertate dal Pretore anche circa la natura privata del luogo dove gli imputati si riunivano e alle pratiche ivi svolte, la esclusione di qualsiasi reato da parte del Pretore di Teano, nella fattispecie decisa, non merita alcuna censura.

Neanche, infatti, sempre in relazione a tali modalità accertate, potevasi riscontrare una violazione dell'art. 650 cod. pen. con riferimento ai precedenti provvedimenti amministrativi di chiusura del tempio pentecostale di Riardo.

A prescindere dall'indagine sulla legalità dei provvedimenti stessi e dalle sanzioni applicabili in caso di loro violazione, non è contestato che l'ordine di chiusura e così la conseguente diffida si riferissero all'esercizio del culto in quel tempio e, pertanto, nessuna influenza potevano avere per l'esercizio in privato del culto in diversa località (casa di rurale abitazione).

Per questi motivi, la Corte di Cassazione, letti ed applicati gli artt. 525 e seguenti codice procedura penale, rigetta il ricorso del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di S. Maria Capua Vetere contro la sentenza 23 gennaio 1953 del Pretore di Teano.

Così deciso in Roma 30 novembre 1953