CESNUR - Centro Studi sulle Nuove Religioni diretto da Massimo Introvigne

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Diritto, “estremismo” e religioni in Russia.
Dai Testimoni di Geova alla Chiesa di Scientology

di GERMANA CAROBENE
Dipartimento Scienze Politiche, Università di Napoli Federico II



Rapporti Stato - Chiesa ortodossa Russa

La storia russa  evidenzia un approccio particolare al fenomeno religioso, in senso profondamente diverso rispetto ai contesti dei vari Paesi europei 1. E' noto che la conversione al cristianesimo, prima dell'anno Mille, rappresentò per il primo Stato russo, la c.d. Rus' di Kiev, una svolta storica fondamentale poiché significò l'ingresso nell'ecumene cristiano-orientale e, più in generale, nel gruppo degli Stati europei. Il modello che si delineava era legato a quello teocratico di Costantinopoli e, in tal senso, la fede cristiana ortodossa ha modellato  l'ideologia russa più tradizionalista su un diverso rapporto tra religione, Stato e Nazione. Le idee dei c.d. slavofili, ancora in epoca attuale, percepiscono, infatti, “la Chiesa, la società e lo Stato come un tutt'uno e ritengono che la Chiesa, in quanto corpo mistico di Cristo, comprenda in sé la nazione, il popolo e la cultura, aventi al loro centro la missione cristiana”2 .

Nella tradizione bizantina e in quella delle origini era dunque già strutturata la visione “orientale” di una nazione cristiana come una singola comunità. Ciò ha connotato il pensiero teologico-filosofico russo, dando origine al concetto di Chiesa-Nazione e sviluppando la dottrina di Mosca come “Terza Roma” che ha condotto all'elevazione del seggio metropolitano al rango di patriarcato, rinforzando il prestigio della Chiesa.

Se tale connubio aveva conservato una sua importanza nel corso del tempo, nella fase iniziale del XXI secolo, a seguito degli avvenimenti rivoluzionari del 1905, si registrarono importanti conseguenze per la struttura interna della Chiesa sinodale e iniziò a farsi strada l'idea che la Chiesa russa dovesse definitivamente staccarsi dall'amministrazione statale. L'ascesa al potere dei bolscevichi ha mutato, tuttavia, radicalmente il corso degli eventi storici dal momento che l'ideologia marxista, su cui si fondava il nuovo potere politico, era assolutamente convinta della necessità di sradicare completamente il sentimento religioso nell'uomo. Secondo tale impostazione la scomparsa della religione si inquadrava perfettamente all'interno di un programma di radicale rinnovamento della società e di ristrutturazione delle coscienze. Il comunismo russo ha successivamente sviluppato fino alle estreme conseguenze tale visione e ha imposto un concetto di lotta di classe rivoluzionaria degenerata fatalmente nella vera e propria persecuzione religiosa.

Il programma marxista, infatti, non mirava soltanto al ridimensionamento del fenomeno religioso ma alla sua definitiva scomparsa, come condicio sine qua non della trasformazione della coscienza dell'uomo per l'edificazione della società comunista. In questo contesto la libertà di coscienza si identificava con la quella di propaganda antireligiosa, configurando così una particolare forma di ateismo concepito non come semplice abstinere ma come agere contra per liberare gli uomini dal c.d. “oppio dei popoli”. La pratica religiosa era consentita solo nell'ambito delle associazioni religiose, limitata di fatto ai soli cittadini maggiorenni, riuniti in collettività, sorvegliate dallo Stato3.

La costituzione dello potere sovietico ha portato, nel 1918, alla promulgazione di un decreto sulla separazione della Chiesa dallo Stato che riconosceva a tutti i cittadini la libertà di coscienza, intesa sia come facoltà di professare una fede religiosa ma soprattutto di non professarne affatto e di fare propaganda ateistica. Lo Stato socialista non fu semplicemente separatista, quindi neutrale o indifferente, ma adottò un'esplicita politica discriminatoria e repressiva verso tutti i culti religiosi, compresi gli ortodossi. Se durante il periodo del secondo conflitto mondiale il governo aveva fatto riferimento al patriottismo della Chiesa ortodossa russa, nella fase postbellica degli anni 50-60 sono ricominciate le persecuzioni nei loro confronti sino ad arrivare a un totale controllo statale sulla vita religiosa del Paese. Ha avuto così inizio un periodo particolarmente difficile, che ha portato a molteplici tentativi di separazione delle varie chiese, favoriti dal governo del Soviet che, nella divisione delle Chiese ortodosse, intravedeva la possibilità di annientare la Chiesa Patriarcale.

La Costituzione del 1977, inoltre, stabilendo l’obbligo del rispetto delle ‘norme di convivenza socialista’, aveva trasformato “il diritto all’ateismo in un dovere del bonus civis sovietico, nel senso che questo deve attivamente contribuire a curare i credenti dalla malattia della fede religiosa”. L’identificazione totale Stato - partito comunista aveva, infatti, trasformato l’ideologia marxista facendole assumere i caratteri di una vera e propria Weltanshauung, che condizionava profondamente ogni settore della vita individuale.
           
Evoluzione legislativa degli anni Novanta

            L’adesione a nuovi modelli legislativi in tema di libertà di coscienza, si è avviata soltanto con l'apertura politica voluta da Gorbaciov, sin dal processo di distensione iniziato nel 1985, con sua la nomina a segretario del partito e, in particolare, nella fase della perestrojkca,  con l’approvazione di una legge, quella del 1990, che garantiva la perfetta uguaglianza di tutte le confessioni e il pieno esercizio del diritto di libertà di coscienza 4. Essa ha, quindi, rappresentato una sorta di rivoluzione copernicana, comportando il superamento dell’equazione Stato=partito= divinità. Si è passati così a un completo stravolgimento semantico che ha portato a definirla come la vera libertà dell’uomo, svincolata da qualsiasi influenza mistica o ideologica, esemplificazione di una concreta separazione politico-religiosa.

Tale norma definiva, dunque, la libertà come un diritto esercitabile individualmente o insieme ad altri; ampio spazio era dato alle organizzazioni religiose alle quali si concedeva legalmente il diritto di ottenere la personalità giuridica,  in una posizione di parità. Tuttavia, la fase successiva del c.d. ‘risveglio religioso’ non ha portato grandi stravolgimenti nella disciplina e garanzia di tale fenomeno, soprattutto per il particolare equilibrio dato dalla Chiesa ortodossa, all’interno della compagine politica e sociale.

Il principio di laicità, solennemente richiamato nell’art. 14 dell’attuale Costituzione del 1993 non è stato messo in discussione, così come l’ideale della separazione Stato – Chiesa 5. Si dichiarava, inoltre, che è il popolo e non il partito, il Soviet, il collettivo a essere titolare della sovranità e unica fonte del potere. L’implosione dell’ideologia comunista degli stessi anni, non ha più consentito, tuttavia, di identificare la laicità nell’esclusione dei fenomeni religiosi dalla vita sociale del Paese ma, almeno a livello tendenziale, come principio di neutralità/indifferenza del potere politico.

La riforma del 1997 e l'evoluzione legislativa

Nel 1996, con l'adesione al Consiglio di Europa la Russia si era impegnata, inter alia, ad adeguare la legge sulla libertà religiosa del 1990 agli standard europei.  La riforma è stata così approvata dalla Duma, il Parlamento russo, nel 1997, ma al contrario, è sembrata voler riportare la tutela della libertà religiosa al periodo della sottomissione della Chiesa al potere temporale 6. Appare subito evidente da una prima lettura del Preambolo, la posizione di privilegio che l’Ortodossia gode rispetto alle altre religioni. Oltre ad essere l’unica confessione designata con la lettera maiuscola in tutto il testo delle legge, le è stato riconosciuto il merito di aver formato e sviluppato la spiritualità e la cultura della Russia. In essa, inoltre, è stato affermato che potevano essere definite associazioni ‘russe’ solo quelle che avevano assunto veste legale sul territorio da almeno cinquanta anni – cioè durante la dittatura di Stalin, in un periodo in cui la stessa sopravvivenza delle chiese era legata all’accettazione della clandestinità.

Si era stabilito, inoltre, che il diritto di costituzione di una comunità per motivi religiosi, era legato alla presenza fisica dei credenti sul territorio e così un gruppo formatosi in un certo ambito territoriale non poteva svolgere, al di fuori dello stesso, la sua opera di missione. Un’associazione straniera poteva avere il diritto a una propria rappresentanza, ma non poteva svolgere alcun tipo di attività religiosa. Le associazioni locali, a qualsiasi religione appartenessero, dovevano attestare la loro presenza sul territorio da almeno quindici anni, cioè dai tempi di Breznev. In mancanza di tale riconoscimento non potevano svolgere nessun tipo di attività e, se non ottenevano una nuova registrazione, erano destinate a essere “liquidate per via penale”.

L’approvazione di questa legge, e l’avallo da parte delle più alte gerarchie della Chiesa ortodossa, ha evidenziato, dunque, la volontà della stessa di porsi in posizione di supremazia rispetto a tutte le altre confessioni esistenti nel Paese che, dopo il crollo del regime, avevano acquistato maggiore forza di penetrazione, senza preoccuparsi, tuttavia, della situazione di asservimento al potere temporale che ne derivava e che portava il ruolo della Chiesa indietro di secoli nella storia. Risultavano così fortemente  limitati i diritti degli ortodossi che non riconoscevano il Patriarcato di Mosca, dei cristiani non ortodossi e degli appartenenti alle ‘nuove confessioni religiose’.      Detta legge ha comunque assicurato, in forma evidente, innumerevoli vantaggi al Patriarcato di Mosca, desideroso di rinsaldare i legami con il potere politico, rafforzando la propria posizione di predominio ed evitando un’apertura verso le minoranze religiose, diversamente da quanto previsto nel precedente documento legislativo. Ha favorito, inoltre, i rappresentanti del potere che vagheggiavano un’ideologia nazionale unica di tipo “slavofilo”, in grado di riunire insieme ‘ortodossia’, ‘spirito nazionale’, e ‘autocrazia’, compiendo un pericoloso passo indietro nel tempo.

Sono previsti limiti alla libertà di religione quando necessari, tra l'altro, al fine di “garantire la difesa e la sicurezza dello Stato”, in evidente contrasto con la specifica dizione dell'art.9.2 della CEDU. Occorre, inoltre considerare che accanto a tale normativa si registra la coesistenza di una pluralità di norme poiché vi sono più di ottanta leggi federali e trenta nazionali che disciplinano le attività delle associazioni religiose7.

La Corte costituzionale ha sancito nel 1999 che lo Stato ha il diritto di prevedere barriere al fine di non attribuire automaticamente lo status di organizzazioni religiose e di non permettere la legalizzazione di sette che violano i diritti umani o commettono azioni illegali e delittuose oltre al potere di ostacolare l'attività missionaria8.

Gli emendamenti a tale norma, introdotti con la legge federale del 25 luglio 2002 hanno stabilito altre ipotesi in cui, attraverso una procedura giudiziaria, sia possibile disporre il divieto di attività religiose se non addirittura lo scioglimento delle organizzazioni stesse, in ipotesi di:  violazione della sicurezza o dell'ordine pubblico, offesa alla moralità, pericolo per la salute, tendenza al suicidio, ostacoli all'istruzione dei minori, rifiuto di cure mediche, istigazione alla vendita di propri beni, difficoltà nella fuoriuscita dall'organizzazione. Cambiamenti inerenti alle organizzazioni e gruppi religiosi sono entrati in vigore, inoltre, nel luglio del 2015. Se in precedenza un’organizzazione religiosa per potersi registrare permanentemente come tale ed ottenere i diritti che le spettavano doveva certificare la sua presenza in Russia per almeno una quindicina d’anni alle autorità competenti, le recenti modifiche firmate dal presidente Putin hanno eliminato, per le organizzazioni religiose che si vogliono registrare per la prima volta, l’obbligo di ripetere l’atto annualmente. Tuttavia, questi emendamenti aumentano le restrizioni a cui devono sottostare i gruppi religiosi ed, inoltre, a partire da questo momento, tutte le comunità religiose prive di uno status giuridico hanno dovuto informare lo Stato circa la loro esistenza e le loro attività.

Dal punto di vista formale, dunque, in Russia la libertà religiosa è ancora attualmente in vigore. Vale per le quattro religioni che la legge del 1997 ha definito come “rispettate/tradizionali” (Cristianesimo non ortodosso, Islam, Buddismo e Ebraismo) e vale anche per le altre “organizzazioni religiose” che si registrano presso le autorità.

Legislazione antiestremistica 2012- 2016

Dal 2012, tuttavia, la Russia ha intensificato la lotta all'estremismo, con una serie di interventi volti a sopprimere le opposizioni politiche e, in misura progressiva, anche i gruppi religiosi non tradizionali. Tale situazione è stata avvertita anche in Europa e, infatti, nello stesso anno l'Assemblea Parlamentare del Consiglio europeo ha adottato un'ulteriore risoluzione per violazione dei diritti umani fondamentali in Russia, tale da impedire il normale sviluppo della società civile9. Tale documento è stato, tuttavia, assolutamente ignorato10.

Nel 2013 una legge ha introdotto modifiche sostanziali all'art. 148 del codice penale  e all'art. 5.26 del codice dei reati amministrativi che, sia pure con formulazioni leggermente diverse, includono la responsabilità, e la punibilità fino a sei anni,  per azioni pubbliche che esprimano evidente mancanza di rispetto per la società e attuate con l'intenzione di insultare i sentimenti religiosi dei credenti. Non si può, inoltre, non sottolineare l'ambiguità di tali formulazioni normative, indubbiamente anomale in uno Stato secolare. Sempre nel 2013 è stata oggetto di emendamento la legge federale sulla libertà di coscienza e delle organizzazioni religiose, prevedendo l'indisponibilità del soggiorno,  residenza nella Federazione russa per cittadini o stranieri impegnati in attività sovversive12, non definite, tuttavia, con sufficiente chiarezza e quindi tali da consentire facili arbitri e discriminazioni.

Anche la legislazione antiestremistica e antiterrorismo del 2014, pur  essendo stata formalmente dettata  per l'esigenza di contrastare il fenomeno del terrorismo, ha consentito pericolose ingerenze nella sfera delle pratiche religiose13. Essa ha, infatti, introdotto agli artt. 282.1 e 282.2 la responsabilità penale per aver indotto, reclutato o in altro modo aver coinvolto una persona in organizzazioni estremistiche. Si inserisce così il concetto, assolutamente indefinibile a livello giuridico, dell'induttore alla partecipazione, distinto dal semplice membro/adepto14. La legge definisce come attività estremistica  la propaganda dell'esclusività, superiorità o inferiorità di una persona sulla base della sua affiliazione religiosa o la sua attitudine rispetto alla religione. Si osserva, inoltre, che le autorità governative guardano con estremo sospetto pratiche religiose  che possano sembrare incompatibili con l'ordinamento: basti pensare al rifiuto di prestare servizio militare. Talvolta la natura sconosciuta di alcune confessioni o i loro legami con ordinamenti stranieri potrebbero essere arbitrariamente collegati a presunte attività terroristiche o sovversive. Il problema è sicuramente retrodatabile nel tempo ma solo nella fase storica più recente si è assistito a un aumento dell'opposizione nei confronti dei culti definiti “non tradizionali”, attuato con l'ausilio di una compiacente Chiesa ortodossa, desiderosa di legittimare la propria egemonia politica per assumere un ruolo da “Chiesa di Stato”.

L'ambigua nozione di “estremista”, usata dal legislatore russo, consente alle autorità il diritto di interferire nell'osservanza delle regole religiose e perseguire i credenti.  La politica del governo nella sfera religiosa è perfettamente inserita in un processo di controllo ideologico della società, anche se in senso diverso rispetto a quello esercitato durante il periodo comunista.

La più recente legge anti-terrorismo, approvata nel 2016, ha ulteriormente  aggravato la situazione delle Chiese cristiane non ortodosse e delle altre fedi. In essa, infatti, si è proibita qualsiasi attività pastorale o missionaria per chi possiede solo un visto turistico, per le organizzazioni non registrate, per fondazioni che non abbiano uno scopo immediatamente religioso. Inoltre, si è vietata l’attività di propaganda (catechesi, formazione, celebrazioni liturgiche) svolta in appartamenti privati. Gli ortodossi continuano a conservare una posizione di privilegio ma solo nell’ottica della Chiesa-istituzione, funzionale e asservita al potere politico. Per la ong Human Rights Watch la legge anti terrorismo, la c.d. legge  Yarovaya, è “un attacco alla libertà di espressione, libertà di coscienza e diritto alla privacy”; è stata definita “incostituzionale” e si teme che tali nuove misure creino “la base per la persecuzione di massa dei credenti”, come in tempo sovietico.

L'istituzione di un sistema confessionista e ierocratico, pur se non diretto a favorire  una sola religione, e di un correlato regime giurisdizionalista, nel quale alcune religioni cercano di assumere status privilegiati (Chiesa Ortodossa Russa in primis), trovano la loro ragion di essere nella necessità dello Stato post-comunista di trovare una legittimazione superiore e storicamente fondata della propria sovranità, al fine di garantire la stabilità politica cui si somma l'aspirazione delle religione privilegiate a ricevere, in cambio dell'appoggio al sistema politico uno speciale ius protectionis.

Nel Rapporto 2017 della Commissione USA per la libertà religiosa, inoltre, si cita il caso della Russia fra quelli “di particolare preoccupazione”, entrando nell’elenco dei Paesi di maggior pericolo per le fedi. Basti pensare agli interventi giurisprudenziali della Corte Europea contro la Russia in tema di discriminazioni, subite dai TdG e dagli scientologist, dovute al mancato riconoscimento delle Chiese dello status di organizzazioni religiose, ex legge 1997. Tale tematica, oltre agli interessanti rilievi giuridici, presenta rilevanti profili di natura politica che condizionano fortemente i rapporti della Russia con l'Europa.

Corte Europea dei diritti del'uomo, Testimoni di Geova c. Russia

È noto che i Testimoni di Geova sono presenti in Russia dal 1891 ma, come tutte le confessioni religiose, erano stati messi al bando subito dopo la Rivoluzione Russa del 1917 e perseguitati nell’Unione Sovietica. A seguito dell’entrata in vigore, nel 1990, della Legge URSS sulla Libertà di Coscienza e sulle Organizzazioni Religiose, il Ministero della Giustizia aveva poututo registrarne lo Statuto.

Tuttavia, a partire dal 1995 il Comitato per la Salvezza dei Giovani dai Culti Totalitari, un’organizzazione non governativa allineata con la Chiesa Ortodossa Russa, ha cominciato a denunciare i dirigenti della comunità, sostenendo, in particolare che  opprimessero gli adepti con esorbitanti richieste, mettendo le loro famiglie in una situazione economicamente precaria, e che fomentassero l'odio verso le religioni “tradizionali”.  Tali richieste, rigettate per cinque volte, sono state accolte nel 1998  e si sono concluse rilevando che, se pure la comunità agiva in violazione della legge russa e internazionale, non si configurava un'ipotesi di reato penale. Ciò ha determinato, tuttavia, l'inizio di un’azione civile nei confronti della comunità, con la richiesta del suo scioglimento e il divieto delle attività.  Le accuse sollevate dal pubblico ministero erano di istigazione alla discordia religiosa, coercizione alla distruzione della famiglia, induzione al suicidio o al rifiuto dell'assistenza medica per motivi religiosi a rischio della salute o della vita del soggetto, violazione dei diritti e della libertà dei cittadini e adescamento di adolescenti e minori per indurli a entrare a far parte dell’organizzazione religiosa. Nel 2001 sono iniziati una nuova serie di procedimenti e tre anni più tardi, nel  2004, la Corte Distrettuale di Mosca ha deciso di accogliere le richieste dell’accusa, di sciogliere la comunità ricorrente e vietarne in modo permanente l’attività.

Una risoluzione del 2002, adottata dall’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa  in merito al rispetto degli obblighi e impegni da parte della Federazione Russa dichiarava che “l’Assemblea è dolente per il problema dell’Esercito della Salvezza e dei Testimoni di Geova di Mosca, ma accoglie con favore la decisione delle autorità russe di assicurarsi che il problema del trattamento discriminatorio e vessatorio di cui sono oggetto localmente queste comunità religiose venga risolto”15 .

Investita del caso la CEDU è intervenuta con una sentenza del 201016 . Accusati  più volte di settarismo, “estremismo religioso”, “incitamento all’isolamento sociale” e “comportamenti che minano l’armonia della società”, i Testimoni di Geova, secondo le autorità russe, rappresenterebbero una “minaccia alla difesa dei diritti e degli interessi della società e della sicurezza pubblica”. La CEDU ha, tuttavia, sottolineato che il rifiuto di concedere il riconoscimento, ai sensi della legge del 1997, rivelava un’ingerenza nel diritto dell’organizzazione religiosa alla libertà di associazione e anche nel suo diritto alla libertà di religione, in quanto la Legge sulle Religioni limitava la facoltà di un’associazione religiosa priva di personalità giuridica di svolgere tutta una serie di attività religiose e di modificare gli articoli del proprio statuto 17.  Di conseguenza, la Corte ha ravvisato un’ingerenza nei diritti della comunità ricorrente, ai sensi del combinato disposto degli artt. 9- 11 Conv.

La campagna di discriminazioni contro questa comunità iniziata nel 2009 si è intensificata sempre di più e la situazione è nettamente peggiorata nei primi mesi del 2017, quando il 20 aprile la Corte Suprema della Federazione ha definito i Testimoni di Geova un gruppo estremista dichiarandolo illegale, accogliendo la richiesta del Ministero della Giustizia di chiudere il loro Centro Amministrativo. Nel mirino del governo russo ci sono, in particolare, alcuni comportamenti degli adepti, tra cui il rifiuto delle trasfusioni di sangue, l'obiezione di coscienza al servizio militare, il rifiuto delle armi e il coinvolgimento totale dei fedeli nella vita della comunità. Per questo, stando alla decisione dei giudici della Corte suprema russa, ad aprile del 2017, tutti i beni del quartier generale dell’organizzazione a San Pietroburgo e delle 395 sezioni locali sono stati confiscati a favore dello Stato e, in caso di rifiuto ad attuare quanto ordinato dai magistrati, per i fedeli si profilerà la responsabilità penale.

Corte Europea dei diritti del'uomo, Scientology c. Russia

Con riferimento a Scientology la prima sentenza della  Corte Europea dei diritti dell’uomo è stata una decisione del 2007 che ha avuto origine da un ricorso presentato dalla Chiesa di  Mosca contro il diniego del Dipartimento di Giustizia della stessa città di ri-registrarla nell’albo degli enti religiosi. E’ da osservare che tale chiesa era stata registrata originariamente nel 1994 ma, a seguito del cambiamento della legge del 1990, aveva dovuto depositare una nuova richiesta di registrazione, rifiutata dalle autorità russe.

Il supremo organo europeo, nella sua decisione, si è riferito a una consolidata giurisprudenza che ha sancito, come ribadito nell’articolo 9, che le libertà di pensiero, coscienza e religione costituiscono le fondamenta di una ‘società democratica’, così come sono intese dalla Convenzione del 1950.  La compressione o limitazione di tali fondamentali diritti può essere legittimamente invocata solo nelle ipotesi in cui si tratti di ‘strumenti necessari’, così come minutamente delineato dal secondo comma dello stesso art.9. Nel caso de quo la Corte ha imposto, tuttavia, e ciò in linea di discontinuità con  le proprie precedenti pronunce giurisprudenziali, una più attenta valutazione di tali possibilità di limitazioni e ha emesso un dispositivo che è intervenuto decisamente nella legislazione interna del Paese.  In particolare, la Corte ha stabilito che, nel negare l’iscrizione alla Chiesa di Scientology di Mosca, le autorità “non avevano agito in buona fede e avevano trascurato il loro dovere di neutralità e imparzialità nei confronti della comunità religiosa del richiedente”. La Corte ha inoltre concesso alla Chiesa una somma a risarcimento del danno morale. Tale caso è estremamente significativo, dato che ha confermato che la CEDU considera che la Chiesa di Scientology è un’autentica organizzazione religiosa.

Nel 2009  è intervenuta nuovamente in un’altra importante sentenza, a tutela della libertà di religione18. La Corte ha votato all’unanimità in favore di due gruppi religiosi di Scientology in Russia, ritenendo che avessero il diritto di essere iscritti quali organizzazioni religiose in base alla legge del Paese. Tale sentenza ha stabilito che sia questi gruppi che i fondatori delle due Chiese di Scientology (di Surgut e  di Nizhnekamsk) hanno il diritto alla libertà di religione e di associazione in conformità agli artt. 9 e 11 della Convenzione Europea.

Nel 2015, infine, la Corte Europea  ha rigettato l’appello della Federazione Russa19 che chiedeva di rivedere una precedente sentenza, favorevole alla Chiesa di Scientology di San Pietroburgo, del 2014, con la quale era stato confermato  che il rifiuto di registrare tale Chiesa  era una violazione degli artt. 9 e 11 della Convenzione. La CEDU ha stabilito che lo status limitativo dei gruppi religiosi che non sono in grado di registrarsi in base a tale ultima legge  “non ha consentito ai membri di tale gruppo di godere efficacemente del loro diritto alla libertà di religione, rendendo tale diritto illusorio e teorico piuttosto che pratico ed efficace”. 

Considerazioni conclusive

 In tale problematica il profilo sostanziale di rilevante interesse giuridico è legato non tanto alla qualificazione del concetto di ‘confessione religiosa’ e al riconoscimento dei diritti individuali e collettivi di libertà, quanto all'emersione, in forme sempre più forti di una vera e propria ideologia totalitaria. I caratteri della stessa come modalità di pensiero sono, inter alia, l'intolleranza antipluralistica (che ovviamente coinvolge il dissenso in quanto espressione della pluralità di orientamento) e una tensione millenaristica, non quale carica di spiritualità ma di distruzione nichilistica 20. Le Chiese sono soppresse o allineate, cioè in concreto, ideologizzate, obbligate a  rispettare la linea tracciata dalla propaganda, con evidenti e importanti riflessi in ambito giuridico.

Gli interventi della Corte Europea offrono, inoltre, interessanti spunti di riflessione, in  tema di domestic jurisdiction. Il limite posto dall’art. 9.2 alle restrizioni del diritto di libertà di pensiero, di coscienza e di religione – l’essere, cioè, quelle misure “necessarie in una società democratica” -  ha subito spesso una ‘dissolvenza’ a favore degli interventi restrittivi degli Stati. Benché le affermazioni di principio vadano nel senso che qualsiasi interferenza deve corrispondere a un "bisogno sociale urgente", in concreto la giurisprudenza ha giustificato restrizioni, magari comprensibili sotto il profilo della storia politica degli Stati, ma evidentemente non necessarie, come invece richiesto dalla norma, in una società democratica.

Nei diversi casi contro la Russia i giudici europei non sembrano aver voluto considerare apprezzabili di valutazione di opportunità, né politica né tantomeno giuridica, i rifiuti degli organi interni al riconoscimento delle Chiese “non tradizionali”, nel novero delle associazioni riconosciute ai sensi della legge del 1997. Le motivazioni sono partite innanzitutto dallo stretto legame degli artt. 9 e 11 della Convenzione che, nel caso di specie, devono essere letti congiuntamente. Si è sottolineato, infatti, che “poiché le comunità religiose tradizionalmente esistono sotto forma di strutture organizzate, l'articolo 9 deve essere interpretato alla luce dell'articolo 11 della Convenzione, che salvaguarda la vita associativa contro l'ingiustificata ingerenza dello Stato. Visto in questa prospettiva, il diritto dei credenti alla libertà di religione, che include il diritto di manifestare la propria religione in comunità con gli altri, comprende l'aspettativa che i credenti possano associarsi liberamente, senza un intervento statale arbitrario. In effetti, l'esistenza autonoma delle comunità religiose è indispensabile per il pluralismo in una società democratica ed è quindi una questione al centro della protezione che l'articolo 9 offre. Il dovere di neutralità e imparzialità dello Stato, come definito nella giurisprudenza della Corte, è incompatibile con qualsiasi potere da parte dello Stato di valutare la legittimità delle credenze religiose”.

Si è evidenziato, inoltre, ed è questo l’aspetto più importante e innovativo del dispositivo europeo, la necessità di imporre dei limiti alle valutazioni dei singoli Stati in merito anche al libero diritto di associazione: “certamente gli Stati hanno il diritto di accertarsi che lo scopo e le attività di un'associazione siano conformi alle norme stabilite dalla legislazione, ma devono farlo in modo compatibile con i loro obblighi previsti dalla Convenzione e soggetti a revisione da parte delle istituzioni della Convenzione”. 

La Corte ha chiarito che “qualsiasi interferenza deve corrispondere a un "urgente bisogno sociale"; quindi, la nozione "necessario" non ha la flessibilità di espressioni come "utile" o "desiderabile", principi che potrebbero segnare un deciso mutamento, più incisivo e interventistico, degli organismi europei nei futuri equilibri geo-politici europei. Tali sentenze hanno imposto, dunque, un ampliamento del concetto europeo di libertà di religione che avrebbero potuto avere interessanti riflessi nel diritto interno, consolidando tale fondamentale diritto ed estendendolo a tutte le religioni non solo radicate, ma anche in via di strutturazione, nel Paese.

Con riferimento alla Russia si osserva, tuttavia, che tali importanti riflessioni giuridiche, a causa della pressione politica, potrebbero restare nel solo ambito teorico -speculativo. Nel 2015, infatti, la Corte Suprema russa ha stabilito che il Paese avrebbe potuto disapplicare una sentenza CEDU, in ipotesi di contrasto con i principi e le norme fondamentali della Costituzione, e tale risoluzione è stata trasformata in legge Federale nello stesso anno21.

L'anno successivo la Corte costituzionale russa ha, per la prima volta stabilito l'inapplicabilità di una sentenza CEDU22, affermando la supremazia della norma costituzionale sulla sentenza europea la cui interpretazione sembrava configgere con la Costituzione federale. La logica conseguenza è stata l’impossibilità di dare esecuzione, nel caso specifico, all'intervento della Corte europea23.

Come è noto, secondo il diritto internazionale24, uno Stato non può invocare le disposizioni del suo diritto interno per giustificare la mancata esecuzione di un trattato. L’applicazione di questa norma comporta che i vincoli convenzionali non possano cedere, pur se in singoli e specifici casi, di fronte alle norme costituzionali contrastanti di uno Stato contraente, anche di norme che ne definiscono l’identità costituzionale. Lo Stato avrebbe come unico rimedio, per salvaguardare la sua identità costituzionale, di recedere dal trattato. Tale ipotesi, tuttavia, non risulta percorribile per quei trattati multilaterali che, per la materia trattata, hanno assunto una rilevanza politica strategica nel contesto delle relazioni tra Stati di una medesima area geografica25.

Per le finalità che persegue, questa tendenza non può, inoltre, essere confusa con le c.d. dottrine dei ‘controlimiti’, in base alle quali l’argine costituzionale posto al diritto sovranazionale era pensato, essenzialmente, per salvaguardare uno standard di tutela dei diritti umani non conosciuto o non applicato a livello sovranazionale26.

Quello che sembra emergere da tale impasse è che le Corti supreme e quelle costituzionali nazionali possono registrare difficoltà nell'instaurare un dialogo con la Corte europea dei diritti umani e, soprattutto, ad accettare ingerenze nella c.d. domestic jurisdiction. Il manifestarsi di sempre maggiori tensioni tra la difesa dell'identità costituzionale degli Stati contraenti e l'esecuzione degli obblighi derivanti dalla CEDU dovrebbe portare, tuttavia, alla necessaria individuazione di nuovi strumenti. Ciò potrebbe attuarsi anche attraverso la modifica della Convenzione, che assicuri in modo stabile il dialogo tra Corti, fornendo al giudice di Strasburgo una piena ed effettiva consapevolezza del funzionamento di un ordinamento interno, prima di valutarne la compatibilità con il sistema convenzionale, per evitare pericolose e arbitrarie implosioni del sistema europeo di tutela dei diritti umani, derivanti dalla mancata attuazione delle decisioni del giudice europeo27.


1  V.V. ZEN'KOVSKIJ, History of Russian Philosophy, Routledge and Kegan Paul Ltd.,1953, ha sottolineato che il tema teocratico del cristianesimo si è sviluppato in Russia non nel senso di un primato del potere spirituale su quello temporale, come  è avvenuto in Occidente, ma nella direzione di una appropriazione della missione ecclesiastica da parte del potere statale. Non si è trattato di un movimento nella direzione del Cesaropapismo: la Chiesa stessa è andata incontro allo Stato a fine di introdurre in esso  la grazia della consacrazione (in particol. p 163 ss.).

2  Cfr. G. CODEVILLA, Chiesa e Impero in Russia. Dalla Rus' di Kiev alla Federazione Russa, Jaca Book, Milano, 2011. Cfr. anche V. CHAPLI, Le relazioni tra Chiesa e Stato in Russia. La posizione della Chiesa ortodossa. Il dibattito pubblico e l'impatto delle esperienze straniere, in Diritto e religione nell'Europa post- comunista, a cura di S. FERRARI, W. COLE DURHAM Jr., E. A. SEWELL, Il Mulino, Bologna, 2004, in particol. p. 380. Il movimento degli slavofili, nato in Russia nella prima metà del secolo XIX, è un movimento di grande rilevanza nella storia del pensiero filosofico religioso russo. Esso ha espresso nella coscienza la natura millenaria del pensiero, dell’anima, della storia e della coscienza nazionale russa..

3 Cfr. N. BERDJAEV, Le fonti e il significato del comunismo russo, La Casa di Matriona, Milano, 1976; G. CODEVILLA, Stato e Chiesa nell'Unione Sovietica, Jaca Book, Milano 1972; C. CARDIA, Libertà religiosa, marxismo, comunismo reale, in Coscienza e libertà, I-II sem. 1990, 16-16a, pp. 129-139 ha sottolineato che “la stessa concezione marxista è stata “supportata” da un apparato legislativo, statualistico, coercitivo, che evidentemente prima non poteva avere, ed è stata trasformata nei fatti in una concezione totalitaria che, escludendo le altre, poteva generare ogni cosa: negazione dei diritti umani; emarginazione e discriminazione dei credenti; e poi, nei periodi più bui della storia sovietica, anche persecuzione e repressione” (p. 138); J. CHRYSOSTOMUS, La storia della Chiesa russa nei primi anni della Rivoluzione, Jaca Book, Milano, 1974.

4  Cfr. G. CAROBENE, La recente legge sovietica sulla libertà di coscienza e organizzazioni religiose, in Dir. Eccl., 2-3, 1991, pp. 428- 452.

5  Nella Costituzione il tema religioso viene affrontato con molta chiarezza e cerca di normalizzare la relazione tra il potere statale e il potere spirituale. Infatti, nel capo primo, che tratta le basi del sistema costituzionale, l’articolo 13, pur riconoscendo la pluralità delle confessioni religiose, nega ad ognuna di esse la possibilità di imporsi come ideologia di Stato ed afferma l’uguaglianza di tutte le associazioni sociali davanti alla legge. L’articolo 14 del medesimo capo riafferma quanto espresso nell’articolo precedente e sottolinea il desiderio di creare uno Stato aconfessionale e separatista. Il punto 1 annuncia, infatti, il principio della laicità dello Stato russo esortandolo a non prediligere una determinata religione in modo tale da evitare di conferire a quest’ultima uno status privilegiato. Tuttavia nel Preambolo della legge “il legislatore assume una posizione di manifesta benevolenza nei confronti della Chiesa ortodossa russa …menzionando, infine, in modo davvero vago ed indefinito le altre religioni tradizionalmente esistenti nella Federazione Russa: G. CODEVILLA, Stato e Chiesa nella Federazione Russa. La nuova normativa nella Russia postcomunista, La Casa di Matriona, Milano 1998,p. 37.

6  J. ANDERSON, Religion, State and Politics in the Soviet Union and Successor State, Cambridge University Press, Cambridge, 1994; W. DURHAM Jr., L.B. HOMER, Russia's 1997 Law on Freedom of Conscience and Religious Associations: An Analytical Appraisal, in Emory International Law Review, vol. 12, 1, 1998, pp. 101-246; M. SHTERIN, Church-State Relations and Religious Legislation in Russia in the 1990s, in Religious Transitions in Russia, V. KOTIRANTA (ed.), Alexander Institute, Helsinki, 2000, pp. 218-250.

7  Esse si occupano di varie questioni: “il principio di non ingerenza statale nelle attività delle organizzazioni religiose; il divieto per i funzionari federali e locali di raccogliere informazioni sull'appartenenza religiosa o di inserire tali informazioni nelle schede personali dei dipendenti statali; il divieto per il Servizio di sicurezza federale di richiedere l'assistenza confidenziale dei membri del clero; il divieto nei confronti delle agenzie statali di svolgere attività investigative o di partecipare alla vita di organizzazioni religiose registrate per interferire nelle loro attività; il divieto, infine, di diffondere avvisi pubblicitari offensivi nei confronti dei fedeli di un'organizzazione religiosa”: L. SIMKIN, Chiesa e Stato in Russia, in Diritto e religione nell'Europa post-comunista, cit., qui p. 357. A livello statale, inoltre, oltre trenta leggi riguardano vari aspetti delle attività delle associazioni religiose. Nel febbraio 2001 l’Ombudsman per i Diritti Umani ha riconosciuto che molti articoli di tale normativa non rispettavano gli obblighi internazionali della Russia in materia di diritti umani e che alcune delle sue disposizioni hanno portato alla discriminazione di diverse fedi religiose e avrebbero dovuto essere oggetto di emendamento.

8   Corte Costituzionale Russa, ordinanza 23 nov. 1999, citata da G. CODEVILLA, Laicità dello Stato e separatismo nella Russia di Putin, in Chiesa Cattolica ed Europa centro-orientale. Libertà religiosa e processo di democratizzazione, a cura di G. CHIZZONITI, Vita e Pensiero, Milano, 2004, in particol. pp. 177-178. Nello stesso lavoro l'a. sottolinea che nel documento Concezione della Sicurezza Nazionale della Federazione Russa si indica che la tutela della sicurezza nazionale comprende la difesa dell'eredità culturale, morale, spirituale. Tale ultimo punto è stato ribadito anche nella Dottrina della sicurezza informativa della Federazione Russa, approvata da Putin nel 2000. Come sempre sottolinea l'a. è importante il riferimento  ai Fondamenti della concezione sociale della Chiesa Ortodossa, approvati dal Concilio dei Vescovi nel 2000, in cui si sottolinea che la Chiesa Ortodossa Russa, facendo parte dell'unica Chiesa di Cristo dovrà avere uno status giuridico e pubblico superiore a quello delle altre confessioni; essa è realtà sacra suprema oltre che una forza storica significativa nella creazione dello Stato russo (p. 179). Cfr. anche M. ŠKAROVSKII, La Croce e il potere, La Casa di Matriona, Milano, 2003. 

9  Resolution 1896, 2012, The Honoring of Obligations and Committements by the Russian Federation, PACE, October2, 2012, in http://assembly.coe.int/ASP/Doc/XrefHTML.asp?File-ID=19116&Language=EN

10 Così come la Raccomandazione delle Nazioni Unite per la legge sulla blasfemia introdotta nel 2016

11 Amendments to the law on protecting the feelings of believers, SOVA Center, May 13, 2013 in www.sova-center.ru/misuse/news/lawmaking/2013/05/d27066.

12  Pubblicata in SOVA Center, July3, 2013, in www.sova-center.ru/misuse/news/lawmaking/2013/7/d27442/.

13 The law of banning recognition of the scriptures of world religions as extremist, SOVA Center, November 23, 2015 in www.sova-center.ru/misuse/news/lawmaking/201015/11/d33297/.

14  Con riferimento al materiale  pericoloso è, tuttavia, specificato che la Bibbia, il Corano, il Tanakh e il Kangyur e i concetti contenuti negli stessi non possono essere riconosciuti come materiale estremistico.

15  Risoluzione Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, n. 1277, il 23 aprile 2002, in www.osce.org/it/resources/documents?page=2&filters=%20im_taxonomy_vid_1%3A%2815%29

16  https://www.cesnur.org/2010/Sentenza%20ECHR%20Testimoni%20Geova%20-%20RUSSIA%20-%20italiano.pdf

17 Cfr. The Moscow Branch of The Salvation Army, § 74, e Church of Scientology Moscow, § 83.

18   ECHR, Kimlya and others  v. Russia, in www.legal-tools.org/doc/6ae309/pdf/

19 ECHR, Church of Scientology Moscow  and others v. Russia, in hudoc.echr.coe.int/eng#{"itemid":["001-67451"]}

20 Cfr. D. FISICHELLA, Totalitarismo. Un regime del nostro tempo, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1992, p. 147 ss.

21 Cfr. Risoluzione Corte suprema russa n. 21-P, 14 luglio 2015; Legge Federale 7-FKZ del 14 dicembre 2015  che emenda la “Legge costituzionale federale sulla Corte costituzionale della Federazione russa n. 1- FKZ del 21 luglio 1994”,  La nuova legge stabilisce, infatti, che la Corte costituzionale, adita «at the request of the federal executive authority which has competence for protecting the interests of the Russian Federation in litigations before an inter-State body on the protection of human rights and freedoms» (art. 1, par. 1), possa statuire che la decisione di una corte internazionale non sia eseguibile nel territorio della Federazione.

22 Corte Suprema russa,  19 aprile 2016 n. 12- P/2016.

23 Tale sentenza  ha avuto  origine dall’applicazione della Legge federale della Federazione russa n. 7-KFZ del 2015. Nel 2016, quindi, il Ministero della Giustizia della Federazione russa, esercitando la facoltà conferita dalla nuova normativa, ha potuto introdurre un ricorso davanti alla Corte costituzionale relativo alla possibilità di dare esecuzione alla sentenza della Corte di Strasburgo: cfr. ECHR, Anchugov v. Russia, in https://tinyurl.com/yd4tktuq.

24  Cfr. art. 27 Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati.

25 Come è stato sottolineato si “tratta, infatti, di accordi geneticamente internazionali, ma con funzione paracostituzionale, miranti a innescare moti di progressiva integrazione ‘para-federale’, attraverso un infittimento progressivo delle competenze del livello sovranazionale a detrimento di quelle dello Stato, senza però che quest’ultimo (e soprattutto i suoi cittadini) sia posto nella condizione di decidere ex abrupto di rinunciare alle sue prerogative sovrane:  A. GUAZZAROTTI, La Russia, la CEDU e i contro limiti, in  www.forumcostituzionale.it/wordpress/wpcontent/uploads/2016/04/guazzarotti.pdf. In questo ambito rientrerebbero trattati quali quelli istitutivi dell’Unione europea.

26 Ci troviamo di fronte a quella che la dottrina costituzionale russa definisce “democrazia sovrana”: cfr. B. BOWRING, What’s in a word: ‘sovereignty’ in the Constitutional Court of the Russian Federation, in Russian Journal of Communications, 2015, p. 328 ss. Cfr. anche la Commissione di Venezia, in base a quanto affermato nella sua Final Opinion on the Amendments to the Federal Constitutional Law on the Constitutional Court (parere n. 832/2015, 13 giugno 2016). Tale parere critica due profili della citata Legge federale n. 7-KFZ del 2015: l’attribuzione alla Corte costituzionale dell’individuazione di tutti i mezzi di esecuzione di una sentenza internazionale, laddove il suo ruolo dovrebbe  limitarsi a stabilire se un possibile mezzo di esecuzione sia o meno conforme alla Costituzione (par. 25); la possibilità attribuita alla Corte costituzionale di pronunciarsi sulla conformità alla Costituzione di una decisione della Corte di Strasburgo in cui si accorda un’equa soddisfazione alla parte lesa.

27 Il meccanismo era stato pensato nell’ambito del Draft revised agreement on the accession of the European Union to the Convention for the Protection of Human Rights and Fundamental Freedoms, all’art. 3, par. 6, in cui si concedeva alla Corte di giustizia dell’Unione europea un tempo sufficiente per valutare la compatibilità del diritto dell’Unione con gli obblighi CEDU, nel caso in cui la Corte di giustizia non avesse mai avuto occasione di pronunciarsi su una questione.