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Io sono un vampiro
Un originale contributo italiano alla produzione cinematografica in tema di vampiri

di Andrea Menegotto © ottobre 2002

 

Max Ferro, trentaseienne regista, sceneggiatore e scrittore, che presenta se stesso con la qualifica di "artista multimediale" è sceneggiatore e regista del lungometraggio dal titolo Io sono un vampiro, realizzato su soggetto dello stesso Ferro in collaborazione con Daniele Turolla. Il film, prodotto in digitale dalla torinese R.V.EN... Produzioni Cinetelevisive di Giuseppe D’Amico e Gianpiero Massimelli nel corso di trentadue giorni di riprese e con un budget ridottissimo, è stato presentato in anteprima nazionale al cinema Capitol di Torino nei giorni 27, 28 e 29 agosto 2002, ma sono state realizzate e sono in programma proiezioni in altre sale italiane.

Max Ferro è già stato sceneggiatore e interprete antagonista di Difesa Alekhine - Scacco con la morte di Roberto Manara (1990); autore, sceneggiatore, regista e produttore e di Shadow Warriors (1992) - entrambi lungometraggi distribuiti a livello nazionale attraverso i mini-network e le televisioni regionali - e nel 2000 ha pubblicato il romanzo Il Drago e l’Aquila (Michele di Salvo Editore), da cui sarà tratto un film.

Io sono un vampiro è stato - non a torto - presentato come "un horror torinese", infatti le scene del film si svolgono tutte in due ambientazioni tipicamente "torinesi": la location principale è rappresentata dal castello dei Conti Canalis a Cumiana (nei pressi di Torino), mentre le sequenze ambientate alla nostra epoca danno uno spaccato della Torino notturna, soprattutto come essa è famigliare a molti giovani.

Al film è stato dedicato un sito Internet, costantemente aggiornato, che contiene - fra l’altro - le informazioni sul cast degli attori, alcune immagini del film, la rassegna stampa e le notizie relative alle proiezioni nelle varie sale.

Sullo sfondo dell’assedio francese di Torino del 1706, due fratelli, i conti Gualtiero e Leandro De Cassini, si scontrano ideologicamente sulla loro condizione di nobili. Gualtiero intende arruolarsi nell’esercito piemontese mettendo in gioco le proprietà della casata, mentre Leandro - che sfrutta la posizione nobiliare per soddisfare i propri vizi -, temendo il tracollo finanziario della sua famiglia, ordisce un piano per uccidere il fratello. Il padre tenta di salvare l’unità famigliare, ma fallisce. La trama del film si dipana fra intrighi, amori, misteri, tragedie ed eventi cruenti dal diciottesimo secolo ai nostri giorni, dove spicca la vicenda di una lotta senza tempo fra i vampiri e una "setta" di preti cacciatori che si dedica al loro sterminio.

Non è certamente intenzione di chi scrive spendere parole più precise in merito alla trama del film onde lasciare il giusto piacere della visione a tutti coloro che avranno la possibilità di accostarsi all’opera di Max Ferro, e mentre si rimanda, per qualche riflessione e approfondimento relativo al lungometraggio, all’intervista che segue, è certo compito di chi si occupa dello studio della popular culture in generale - e, nello specifico, di come in essa emerge e si esprime la figura del vampiro - notare il del tutto apprezzabile contributo artistico e culturale che il film di Ferro offre alla lettura della figura tradizionale e complessa del vampiro. Se, come è facilmente riscontrabile nell’opinione degli esperti, nell’ambito della produzione artistica - e cinematografica, in particolare - del genere horror è davvero difficile dire qualcosa di nuovo e se alcuni veri e propri capolavori prodotti in passato rendono chi osa avventurarsi con un’opera cinematografica intorno al mito del vampiro, in fondo, un temerario, occorre dire che l’autore, sceneggiatore e regista di Io sono un vampiro conclude la sua impresa davvero con successo, tanto più se si tiene conto degli scarsi mezzi economici a disposizione e del cast di attori alcuni dei quali alla prima esperienza su un set cinematografico.

Il vampiro di Max Ferro è in realtà la vera "vittima" della situazione, si tratta di un non-morto tormentato dalla sua stessa condizione esistenziale, in se stesso vive continuamente sia il profondo sentimento di vendetta sia - e soprattutto - il dramma e l’ingiustizia che l’hanno condotto a vivere in tale condizione. In tal senso spicca, oltre alla figura del personaggio principale, il vampiro Gualtiero, quella della vampira - che potremmo definire "buona" - Noemi Baldovesti. Dal film è praticamente impossibile ricavare l’identificazione del vampiro con il male assoluto, caso mai tale male è identificabile con il personaggio di Leandro, il fratello omicida, anche se la condizione di Gualtiero reca con sé, unitamente all’idea di una giustizia che è comunque - e al di là delle vicende contingenti - chiamata a fare il proprio corso, una carica di vendetta e di odio per i viventi che lo porta a compiere gesti di un’estrema crudeltà.

Dunque (e in parte come nel caso di Dracula’s Legacy [Dracula 2000]), nel film, ad elementi tradizionali - che quindi rappresentano una rilettura del mito del vampiro, ma che sarebbe scorretto, visto l’impianto e il senso globale del lungometraggio, considerare come semplici ripetizioni di elementi classici ormai noti al grande pubblico - si affiancano spunti rilevanti e assolutamente degni di nota, non da ultimo l’apprezzabilissimo "salto temporale" dagli anni 1700 ai nostri giorni che ci ricorda, una volta in più, con la sostanziale "eternità" della figura del vampiro, il reiterarsi nei secoli di quei grandi interrogativi che fanno da sottofondo alla storia dell’umanità e che hanno trovato una risposta - certamente parziale e relativa - nella sfera culturale ed artistica anche attraverso il sorgere, il diffondersi e il perdurare di tutta la produzione relativa ad una figura fantastica che continua ad esercitare il suo fascino nel tempo.

 

 Intervista a Max Ferro, autore, sceneggiatore e regista del film

Io sono un vampiro

 

AM - Le origini del film: ci può raccontare come e quando nasce l’idea di Io sono un vampiro?

MF - L’idea del film nasce da un racconto che ho scritto un anno e mezzo fa, pubblicato da un editore indipendente in una raccolta a tema (13 frammenti di mistero, a cura di Vincenzo Blandamura, Edizioni Ghost, Torino 2001) e dalla visita del Castello dei conti Canalis di Cumiana; dimora storica settecentesca di grande valore artistico, che ha colpito la mia fantasia dandomi la possibilità di concretizzare un sogno: quello di realizzare un "film di vampiri". La difficoltà principale è stata proprio quella di raccontare una storia che ripercorresse il mito del vampiro, nel rispetto della tradizione romanzesca e cinematografica, nonché dell’iconografia conosciuta, apportando degli elementi per quanto possibile nuovi.

 

AM - Il suo film ha una precisa collocazione storica: la vicenda prende avvio nel 1706, durante l’assedio francese di Torino, e si conclude ai nostri giorni. Ci sono motivi particolari che l’hanno spinta a scegliere queste ambientazioni e coordinate storiche?

MF - La scelta del periodo storico e del luogo in cui si svolge la vicenda, è stata dettata dall’esigenza di modificare la rigida connotazione che caratterizza ogni precedente produzione in tema: i vampiri, per essere credibili, devono agire principalmente in Transilvania, nelle brughiere inglesi e nelle metropoli degli Stati Uniti. Spero di essere riuscito a dimostrare che anche un vampiro italiano può essere altrettanto affascinante ed inquietante, pur muovendosi nel territorio d’origine.

 

AM - Qualche parola sul cast degli attori. Dalla visione del film e da qualche anticipazione della stampa pare risultare che non si tratti di tutti attori professionisti (in tal senso, lo sforzo è ancora più pregevole)...

MF - Credo sia giusto dare spazio a volti nuovi… in questo caso ad attori in formazione o appena diplomati. Tra i protagonisti, Giuseppe Paladini (Gualtiero) arriva da esperienze principalmente teatrali e qualche anno fa interpretò un film che non passò inosservato, Il caricatore, diretto da F. Nunziata; Chiara Delmastro (Noemi) e Diego Iannaccone (Leandro) provengono dalla scuola di recitazione diretta da Massimo Scaglione. Gli unici professionisti del cast con esperienza trentennale sono Vittorio Borani (Padre Rodolfo), attore di teatro ed operetta, e Andrea Montuschi (Padre Lamberto), anche lui noto a teatro per aver lavorato accanto ad attori del calibro di Ernesto Calindri ed al cinema in film di culto quali Zeder di Pupi Avati ed Il cittadino si ribella di Enzo G. Castellari, per poi approdare (attraverso i generi più diversi) alla televisione con Casa Vianello e la recente soap Cento Vetrine.

 

AM - Come si sono rapportati i vari attori con la storia, il tema e i personaggi - alcune volte dalla personalità complessa e multiforme - che sono stati chiamati a rappresentare?

MF - Devo dire con grande serietà e professionalità. Si sono immedesimati nel loro personaggio ed hanno creduto fin da subito nella solidità narrativa della storia. In quanto al tema… nessuno ha potuto negare l’indiscutibile fascino dei vampiri!

 

AM - Il perno della trama del film è rappresentato dal rapporto di odio di Leandro per il fratello Gualtiero, che culmina nell’omicidio di quest’ultimo e nella sua conseguente trasformazione in vampiro. Altro personaggio importante, soprattutto nella seconda parte del film (quella ambientata nella Torino contemporanea), è quello di Noemi, vampira buona, divenuta tale suo malgrado perché morsa da Gualtiero. Ci può dire qualcosa sulla complessa psicologia di questi tre personaggi e sul loro rapportarsi nel corso dello svolgimento della vicenda?

MF - I tre personaggi sono legati dall’elemento "conflitto", cardine essenziale per l’evolversi in crescendo della vicenda. Gualtiero rappresenta in tutto e per tutto il senso della giustizia ed anche nel momento in cui prende coscienza del suo stato vampiresco, continua a porsi domande, ad avere dubbi sul suo modo di agire pur essendo consapevole che la sua esistenza ha un solo fine: la vendetta. Leandro è la personificazione del male, gode profondamente delle sue azioni ed è più assetato di sangue di un vampiro. Quando muore riesce a far credere di essere una vittima uscendone comunque vincitore. Reincarnandosi in Alex sembra avere una possibilità di redimersi ma il suo destino (direi karma per ricollegarmi alle teorie sulla reincarnazione) non lo perdona riproponendo ciclicità alla sua esistenza. Noemi è la vera vittima… innocente, all’oscuro di tutto ma tanto forte da riuscire ad adeguarsi alla sua condizione, attraversando quasi trecento anni di storia (sarebbe divertente raccontare le sue avventure in una sorta di "spin-off") per ritrovarsi di fronte alle sue origini scoprendone l’arcano.

 

AM - Ci vuole raccontare - se ve ne sono - qualche retroscena interessante che ha caratterizzato la produzione del film?

MF- Una produzione a basso costo è di per sé una sfida, ancor più quando si tratta di un film di genere in costume. La ricostruzione storica ha rappresentato la difficoltà principale ma, fortunatamente, in questo caso, sono stato aiutato dalla scelta di un set "reale" (il castello di Cumiana) che conserva intatta l’atmosfera dell’epoca. Per i costumi un grande contributo è stato dato dai Gruppi Storici "Nobiltà Sabauda" e "Amici del Museo Pietro Micca" di Torino. L’aspetto più curioso della produzione è che i membri della troupe hanno vissuto, per i trentadue giorni delle riprese, come vampiri: aggirandosi di notte per le vie deserte della città e rinchiusi di giorno nel castello e relativi sotterranei.

AM - Una scena piuttosto "forte" del film rappresenta una cerimonia a sfondo orgiastico che richiama nell’immaginario collettivo un rito satanico o di magia cerimoniale. Questa scena - nelle intenzioni dell’autore e regista -, nella complessa trama e architettura del film, ha un significato particolare?

MF - La scena in questione rappresenta una cerimonia dedicata alla Dea Lilith e vuole essere una citazione storica, poiché nel 1700, proprio a Torino, riti di questo genere (a sfondo esoterico-orgiastico) si svolgevano regolarmente e segretamente.

AM - Quale messaggio la sua opera intende dare al pubblico?

MF - Realizzando il film non ho pensato a nessun messaggio in particolare, se non quello di rappresentare i vampiri non come mostri, ma come esseri tormentati da una condizione indesiderata.

 

AM - Perché dedicare un film a un tema quale il mito del vampiro?

MF - Perché, da appassionato di vampiri e di cinema, non potevo farne a meno! In realtà si tratta di un tema inesauribile, che fortunatamente consente molteplici chiavi di lettura.

 

AM - Come la sua opera intende confrontarsi con la produzione cinematografica e artistica in genere in tema di vampiri, costituita da antecedenti spesso "illustri"?

MF - Il confronto è un terreno pericoloso... credo che il mio film possa essere considerato un "trait d’union" tra le opere di Jesus Franco, quelle marchiate Hammer, il cinema gotico italiano degli anni ’60 ed il romanzo d’appendice. In ogni caso, spetta ai cinefili ed ai cultori del genere l’ardua sentenza.

 

AM - Chi è e cosa rappresenta per Max Ferro la figura del vampiro?

MF - Il vampiro è la creatura che più d’ogni altra (nell’universo fantastico) simboleggia la sconfitta della morte come evento ineluttabile. Il vampiro soverchia ogni regola naturale conquistando l’immortalità e mantenendo (pur acquisendone altre terrificanti) quasi inalterate le principali caratteristiche di un essere vivente. Una figura che incarna le più ataviche paure dell’uomo e nello stesso tempo può aiutare a vincerle.

 

AM - Ha altri progetti cinematografici per il futuro?

MF - Naturalmente sì. Ho appena terminato l’edizione riveduta e corretta di Io sono un vampiro, che dagli originari 140’ è stato ridotto a 120’, per la presentazione al ToHorror Film Festival (al Cinema Massimo di Torino dal 18 al 22 Settembre) ed ho cominciato la stesura del prossimo progetto: Khavashen Saga. Consultando vari testi sull’argomento sono stato attratto da un episodio, che può essere considerato il primo caso documentato di vampirismo, verificatosi in Istria tra il 1656 ed il 1672. La vicenda si svolse a Krinck (oggi Kringa, Coriddico in italiano). Il vampiro Jure Grando scatenò una terribile epidemia, spargendo terrore tra la popolazione per sedici anni. La fonte storica è: Johann Weikard Valvasor, Der Erzogthums Crain, 1689 [NdR: sul punto si veda Massimo Introvigne, La stirpe di Dracula. Indagine sul vampirismo dall’antichità ai nostri giorni, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1997, pp. 90-92).

 

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