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L'evoluzione internazionale delle Triadi cinesi secondo il paradigma criminologico

di Angelo Marenco 

img[nota redazionale del CESNUR: da gennaio a giugno 2003 si è svolto presso la sede dell’UNICRI – United Nations Crime and Justice Research Institute – un Master in Criminologia e Politica Criminale Internazionale, in collaborazione con la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Torino. Al termine del Master, i diplomati sono stati dislocati presso istituzioni accademiche, organizzazioni internazionali, enti locali e organizzazioni non governative, al fine di svolgere un programma trimestrale di internship. In tale contesto, Angelo Marenco – laureato in giurisprudenza presso l’Università di Torino e diplomatosi al Master in Criminologia e Politica Criminale Internazionale dell’UNICRI – ha svolto presso la sede del CESNUR, da ottobre a dicembre 2003, uno stage di ricerca. Ad Angelo Marenco il CESNUR ha attribuito il compito di svolgere una ricerca sul tema L’evoluzione internazionale delle Triadi cinesi secondo il paradigma criminologico, al fine di progredire nel progetto Società segrete cinesi: dalla ritualità esoterica alla criminalità organizzata, impostato dall’UNICRI e dal CESNUR nell’ambito di una comune ricerca, il cui primo risultato è stata la presentazione – nel corso del XXVII Convegno della Società Internazionale di Sociologia delle Religioni (2003) – di una relazione di Massimo Introvigne, direttore del CESNUR, sul tema L’interpretation des sociétés secrétes chinoises entre paradigme ésotérique, politique et criminologie. Riportiamo di seguito l’elaborato svolto da Angelo Marenco, a conclusione dello stage condotto presso il CESNUR.]

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Indice:

Introduzione - Rapporto tra Triadi e colonizzatori occidentali nel sud-est asiatico - Il caso del Sud Africa e dell’Australia - L’emigrazione negli Stati Uniti - La criminalità cinese in Italia e i mezzi di contrasto forniti dal nostro ordinamento - L’attività di contrasto alle Triadi cinesi secondo le convenzioni internazionali - Bibliografia

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Introduzione

Con il termine società segrete cinesi s’intendono tutte le consorterie segrete composte di cinesi in Cina e altrove. In questa ricerca s’intendono come tali quelle che hanno operato ovvero operano, con intenti criminali, nella Federazione Malese, India, Singapore, Indonesia, Hong Kong, Sud Africa, U.S.A ed Europa. Sia in Cina sia nel sud-est asiatico, società di fratelli, basate sul giuramento di sangue, chiamate anche Kongsi, storicamente, sono sempre esistite, create con lo scopo precipuo di rendere possibile, a chi viveva ai margini della società, di migliorare le proprie condizioni di vita. Nessuna società segreta rappresenta meglio della Tiandhiui (Società del cielo e della terra) queste caratteristiche.

La pratica del giuramento di sangue o iniziazione di sangue, derivante dai movimenti insurrezionali cinesi o dalle bande di criminali o di pirati divenne una delle caratteristiche tipiche di queste consorterie. Essa consisteva nell’allestimento di un altare con utilizzo di fumi d’incenso e nel sacrificio, di fronte agli dei, di una gallina, una pecora o una capra. Quindi, dopo aver bevuto una bevanda composta di vino e del sangue dell’animale ucciso o dello stesso candidato, nel passare sotto un arco di spade recitando il seguente giuramento al Cielo: se un membro della società si troverà in difficoltà, tutti accorreranno in suo aiuto; se io, vale a dire il futuro membro dell’associazione, romperò il giuramento, le spade cadranno e mi uccideranno. Poi, la pergamena su cui il giuramento era stato scritto, era bruciata nell’incenso, sull’altare, allo scopo di confermare il proprio impegno di fronte alle divinità. Al candidato era riferito che, per farsi riconoscere da altri appartenenti all’associazione, avrebbe dovuto sollevare tre dita della mano sinistra verso il cielo come un segnale segreto. Proprio questa cerimonia, unita al modo di vestire e al gergo particolare degli affiliati, affascinò i funzionari coloniali occidentali, in altre parole i primi europei a venire in contatto con il fenomeno, molti dei quali erano affiliati alla Massoneria, i quali fecero sì che queste società godessero di una sorta d’impunità mista, in un primo tempo, cioè fino a quando esse non manifestarono il loro carattere criminoso, ad ammirazione. Gli Europei ponevano attenzione alle similitudini tra le società segrete dell’est e quelle dell’ovest ritenendo che entrambe discendessero dal medesimo antenato, cioè che avessero un’origine comune in Medio-Oriente da cui si sarebbero ramificate verso l’Asia e l’Europa. Entrambe, effettivamente, si basavano sulla fratellanza di sangue, le cerimonie, le logge, l’utilizzo del tre come numero magico, ambedue ebbero un ruolo politico[1]. Il primo occidentale ad interessarsi del fenomeno fu il dottor William Milne, direttore del College Anglo-Cinese in Malacca che, nel 1821, scrisse un’opera che non portò a termine a causa della sua morte, su un’associazione segreta cinese operante in quella zona, nella quale pose in evidenza questi aspetti[2].

I membri della società segreta vivevano nel continuo pericolo di essere denunciati ed erano dei rifiuti della società normale. Per combattere l’attrazione della comunità ortodossa, la solidarietà interna era riaffermata ritualmente tra tutti i confratelli, evocando una rispettabilità e un onore alternativo a quello della società ufficiale, con un proprio codice di comportamento che prevedeva anche delle punizioni per chi ne violasse le norme. Alla base di questi rituali vi erano radici demonologiche e messianiche: la restaurazione della dinastia Ming, la credenza circa l’esistenza di una sorta di Paradiso per gli adepti (The City of Willows) nella quale si può cogliere un collegamento con la setta degli Assassini. Inoltre, la dimensione demonologica fu responsabile della divisione dei membri della Tiandihui in cinque Case, caratteristica ricollegabile alla tradizione degli esorcisti cinesi. È interessante notare come il fulcro del rito d’iniziazione consista in una morte e successiva rinascita, con il passaggio attraverso un arco di spade a mo’ di cancello creato per portare il candidato ad essere un uomo nuovo, ad entrare in una nuova vita, convincendolo di far parte di un gruppo d’eletti, con un proprio codice d’onore sfruttabile anche al fine di commettere azioni illegali. In questo si possono scorgere punti di contatto con la Mafia siciliana o la Camorra napoletana nelle quali l’appartenente è convinto di agire secondo un codice d’onore segreto che è un vero e proprio modus vivendi il quale rende estremamente difficile convincere il criminale ad uscire dalla situazione in cui opera, come dimostrano le vicende relative alla pur efficace normativa sui collaboratori di giustizia in Italia. La Tiandihui, fin dalle origini, ha sempre avuto un’ideologia familiare basata sulla fraternità. L’adesione era aperta a tutti, senza differenze di classe. Ne facevano parte, ad esempio, gli intellettuali frustrati, privi d’impiego, che ne diventavano i pilastri. I benestanti non entravano a farne parte a differenza di quello che capitava con la Massoneria occidentale. Tra i simboli tipici ricordiamo il sigillo di stoffa rossa che l’appartenente portava tra gli abiti, il gesto di sollevare l’ombrello, l’infilarsi i vestiti e sorseggiare una tazza di tea sempre con tre dita. Un altro interessante punto di contatto può essere quello relativo all’analisi dei tatuaggi e del gergo degli affiliati alle società segrete cinesi. Un attento esame di questi elementi può far emergere punti di contatto con uno studio di Cesare Lombroso sui tatuaggi e sui modi di dire dell’uomo e della donna delinquente, ad esempio l’uso invalso nella Camorra napoletana per cui tutti i suoi appartenenti dovevano avere il tatuaggio di una tarantola su di un braccio. Da ciò si potrebbe dedurre una sorta d’ermetismo comune a tutte le consorterie criminali non solo per celare le proprie intenzioni nei confronti delle forze dell’ordine, ma anche al fine di cementare il senso dell’appartenenza del singolo ad un’associazione di cui gli affiliati ritengono un onore far parte.

Per quel che riguarda la Cina, dobbiamo ricordare che trafficanti e banditi vi hanno sempre, purtroppo, recitato un ruolo di primo piano ma non hanno mai avuto un insieme di riti così complessi e, allo stesso tempo, capaci di identificarli. Viene, allora, da chiedersi quale genere di connessione esistesse tra banditi e fratellanza. I livelli di connessione erano tre. Il primo era dato dalle bande criminali con i componenti uniti da giuramenti di sangue. Il secondo era quello delle consorterie in cui solo un segmento e non l’intero gruppo, si occupava d’attività criminali. Il terzo abbracciava quelle associazioni i cui componenti, singolarmente, erano criminali. I tre livelli non erano separati ma con combinazioni. La dinastia Ch’ing le temeva tutte perché le considerava organizzazioni sediziose ma, raramente, furono in grado di fomentare rivolte che non fossero di tipo locale. Il principale motivo per cui furono formate fu l’aiuto reciproco e la protezione[3]. Associazioni e società segrete adottarono strategie di protezione verso i loro membri ma predatorie verso coloro che non ne facevano parte.

Si ritiene che le Triadi si siano formate durante i primi anni della dinastia Ch’ing (1644-1911), nella provincia di Fukjien, con intento politico, cioè di rovesciare questa dinastia per restaurare quella Ming (1386-1644). L’organizzazione prese diversi nomi a secondo della zona in cui operava: Tien Ti Hui, Hung Men Hui e San Hoh Hwui (Società del cielo, della terra e dell’uomo o delle tre unità) da cui derivò il nome Triadi utilizzato per celarsi nei confronti dell’autorità imperiale[4]. Ci sono diverse leggende circa la loro origine. La più famosa riguarda i monaci Shaolin che sconfissero i barbari[5] in nome dell’imperatore Ch’ing. Questo li colmò d’onori, provocando il risentimento di alcuni potenti che allestirono un esercito con il quale distrussero il monastero e uccisero quasi tutti i monaci. Se ne salvarono centootto. Dopo una lunga fuga, ne sopravvissero cinque che giurarono di distruggere i Ch’ing e di restaurare la dinastia Ming. A loro si unì un giovane discendente di quella stirpe. Raccolsero un esercito ma furono sconfitti. I cinque fondatori originali, allora, si sparsero per la Cina e fondarono le varie società delle Triadi per continuare la loro lotta. Secondo un’altra versione raccolta dall’interrogatorio di un criminale appartenente alla società segreta, Lì Amin (maestro di arti marziali), Zhu Dingyuan, Tao Yuan e Ti Xi partirono dalla zona di Zhangpu per cercare fortuna a Sichuan. Là incontrarono Ma Joulong, capo di un gruppo di quarantotto monaci pratici di arti magiche e di esorcismi. Molti di loro morirono e, quando il gruppo lasciò il paese, era ridotto a tredici unità. Tra questi Ti Xi che andò a Guangdong. Egli si chiamava in realtà Zheng Kai, ma è anche conosciuto come Wan, Hong Er e Tu Xi. Di lui si sa che morì nel 1779 e che reclutò una cinquantina di seguaci. Egli trasformò il suo gruppo in una società (hui). Nel 1762, tornato a casa, andò ad abitare nel tempio della dea della Misericordia e reclutò tre uomini: Lu Mao dalla città di Duxum, Fang Quan dal villaggio di Gaoxilou e Li Amin, il maestro di arti marziali, dal villaggio di Xiaceng. Secondo la tradizione, fu Lu Mao ad indirizzare l’attività della società verso atti criminosi. Egli reclutò dieci fratelli, riuniti con un giuramento basato sull’assunzione di una bevanda a base di vino e cenere d’incenso. Essi decisero di derubare magazzini, tesorerie e case di notabili fedeli alla dinastia Ch’ing e di sollevare una ribellione reclutando adepti. I loro capi indossavano un pezzo di cotone blu e bianco come simbolo del comando. In breve, i membri divennero trecentotrentadue. In questa come in altre leggende è ben visibile la funzione politica dell’associazione.

Nel 1764, il governatore della provincia di Fukjien, Dingchan, sosteneva che il popolo era violento, che formava associazioni segrete con propri nomi, gergo e riti per combattere l’amministrazione imperiale approfittando anche della collusione degli impiegati pubblici e dei soldati. Egli suggeriva la creazione di una nuova legge in base alla quale, tenendo presente che il codice penale Ch’ing proibiva le associazioni con più di cinque persone, la punizione fosse proporzionale al numero dei componenti ed all’età dei partecipanti. Le leggi Ch’ing sulle associazioni e società segrete subirono cambiamenti dall’inizio della dinastia fino ai primi anni del XIX sec. ma furono sempre severissime. Non vi sono documenti che spiegano questa avversità ma i Ch’ing temevano la ribellione di queste società basate sul giuramento di sangue anche per motivi religiosi. La dinastia Ch’ing era buddista e temeva l’ordine gerarchico confuciano su cui si basavano queste società segrete. Solo quando gli imperatori capirono di trovarsi di fronte ad un fenomeno che poteva essere pericoloso politicamente, considerarono tutte queste società perseguibili come associazioni politiche tendenti a sovvertire l’ordine. A partire, però, dalla riforma del 1811, le società come la Tiandihui furono considerate, all’interno del codice, nello statuto relativo al furto, cosa che farebbe pensare ad un’evoluzione della loro concezione nel senso di mere associazioni criminose.

I Ch’ing considerarono le società segrete anche come forme di imprese tendenti ad ottenere profitti con i reati collegandole all’istituto dello xiedon, una forma di giustizia privata molto in uso nelle campagne del sud della Cina dove l’amministrazione imperiale non era in grado di essere sempre presente con tempestività. Erano i giovani dei villaggi ad amministrare la giustizia con un sistema di faide nato per difendere gli interessi delle famiglie di notabili locali servendosi anche di gruppi di mercenari reclutati tra i criminali.

In realtà, la zona compresa tra le regioni di Fukjian, Guandong e il Vietnam del nord è sempre stata molto povera, con terra poco fertile, non in grado di produrre riso sufficiente per sfamare tutta la popolazione che, proprio alla fine del millesettecento, aveva avuto un forte incremento con gravi ripercussioni economiche e la necessità di emigrare altrove per trovare di che vivere. Il risentimento politico contro i nuovi regnanti crebbe fino ad una serie di rivolte locali capeggiate, probabilmente, da appartenenti a società segrete. In questo senso, le autorità imperiali interpretarono il rito di iniziazione della Tiandihui, che prevedeva il passaggio attraverso un cancello di spade inteso come rinascita in una nuova vita, con il significato di sovversione politica ovvero di restaurazione dello Stato Ming e, per questo, cominciarono a perseguitare questo genere di associazioni che erano caratterizzate, altresì, da un’organizzazione acefala, cosa che rendeva ancora più complesso eliminare il fenomeno.

Gli spostamenti degli emigranti avvenivano sfruttando l’immensa rete fluviale cinese. Tra le loro più importanti necessità vi era quella di proteggersi dalle violenze e dalle estorsioni. Per questo sorsero delle ramificazioni delle Triadi. Tra il 1761 e il 1816 ne furono fondate trentanove. Esse assistevano gli emigranti appena giunti nel luogo di destinazione fornendo loro alloggio e assistenza finanziaria, diventando una sorta di società di mutuo soccorso[6] Un altro elemento da sottolineare fu la concezione dell’iscrizione come bene commerciale che poteva essere venduto da capi ambiziosi a caro prezzo e con una particolare teatralità. Nel 1787 a Taiwan la cosa fruttò 200-300 monete di rame ai capi della locale Tiandihui, denaro che poteva essere poi riutilizzato a fini di lucro personale. A quel punto il passo tra fornire protezione agli ingenui e spaesati affiliati e utilizzarli per attività di ben altro genere era molto breve. La linea tra proteggere e rubare, tra legale e illegale, tra violenza e non-violenza era facilmente superabile. Fu proprio in questo periodo, cioè la prima metà dell’ottocento, che una notevole forza-lavoro cinese si trasferì nelle colonie europee in Asia. Per la prima volta, il fenomeno delle Triadi, che, fino a quel momento, era rimasto all’interno dell’impero cinese, assunse una dimensione internazionale. Gli Stati coloniali europei dovevano imparare a conoscerlo a loro spese.

Rapporto tra Triadi e colonizzatori occidentali nel sud-est asiatico

Le società di mutuo soccorso furono alla base dell’emigrazione cinese nel sud-est asiatico, soprattutto in Malesia e in Indonesia. Il loro scopo era di far sì che gli emigranti cinesi trovassero protezione ed aiuto. Ciò permise loro di ritrovare, in terra straniera, abitudini e costumi nazionali, ricreando all’estero le abitudini del proprio paese d’origine. A differenza della Cina, nel sud-est asiatico esse si svilupparono come consorterie accomunanti proprietà, risorse e potere pubblico. Ma, mentre lo Stato cinese e la sua classe dirigente emisero norme, anche severissime, con l’intento di eliminare o, almeno, di limitare il problema, ciò non successe in Malesia, Indonesia e Hong Kong, dove, a causa, prima, del lassismo delle autorità indigene e, poi, di quelle coloniali, prevalse più tolleranza.

Queste società di mutuo soccorso si trasformarono, gradatamente, in società commerciali dove i lavoratori emigrati fornivano la manodopera e i cinesi dell’ondata migratoria precedente che, nel frattempo, si erano arricchiti, il denaro. Questo successe, soprattutto, nelle miniere.Tali società divennero talmente potenti da controllare i lavori pubblici e da svolgere la funzione di giudici nelle dispute sui diritti di proprietà sorte tra cinesi. Le associazioni permettevano agli emigranti di trovare lavoro ma si trattava di attività su cui i capi della società avevano il controllo. In questo modo l’emigrante aveva l’illusione di trovare una sistemazione lavorativa ma, in realtà, gli era preclusa la possibilità di soddisfare veramente le proprie aspirazioni e le proprie necessità, diventando forza-lavoro a bassissimo prezzo sfruttabile da pochi ricchi per affari che, sempre più spesso, diventavano illeciti. Queste società, poi, regolavano le relazioni della comunità cinese con i sultani malesi e le compagnie commerciali europee. Inoltre, le amministrazioni coloniali inglesi e olandesi cominciarono ad utilizzarle per controllare le comunità cinesi locali che stavano iniziando a formare delle vere e proprie Chinatown, cioè della città nelle città, con proprie regole, usi e costumi.

Nel XIX secolo, le società segrete divennero un sistema di leadership politica riconosciuto da cinesi, malesi e inglesi. Ad esempio, a Singapore, gli Inglesi si servirono dei mercanti cinesi per trattare con altri mercanti cinesi, malesi e per ottenere forza-lavoro. Quando però, queste consorterie, espressione della originale Tiandihui, divennero sempre più potenti, cominciarono anche a proteggere i privilegi dei grandi agricoltori. In India, addirittura, furono accusate di istigare alla delinquenza e i governanti cominciarono ad accorgersi di essere impreparati a combatterle. Un altro problema che sorse fu quello delle lotte tra le diverse associazioni. Occorre sottolineare che non furono mai rivolte contro i governi colonizzatori occidentali. Nel 1841, durante la guerra dell’oppio che vide la Gran Bretagna combattere contro la Cina, le società segrete cinesi di Singapore e della Malesia collaborarono con il governo inglese nella speranza che contribuisse a restaurare la dinastia Ming in patria.

Fu con la crescita a dismisura dell’ondata migratoria che le consorterie segrete iniziarono a creare dei veri e propri racket di protezione che si occupavano di gioco d’azzardo e contrabbando. Alcuni membri in vista di queste società, a Singapore, crearono dei veri e propri trust con il fine di monopolizzare il settore dei trasporti e delle miniere, staccandosi dalle originali società segrete e creando quelle consorterie che ancora oggi esistono. Negli anni quaranta dell’Ottocento, divennero una minaccia per l’ordine pubblico perché le principali, la Ghee Hock Kongsi e l’Hai San Kongsi combattevano per controllare il territorio ricorrendo all’omicidio, alle percosse, ai rapimenti, alla distruzione di proprietà ed all’incendio coinvolgendo anche i cristiani cinesi di cui radevano al suolo sistematicamente le proprietà.

A quel punto le autorità inglesi furono costrette a prendere provvedimenti[7]. Nel 1870 crearono il Protettorato cinese guidato da William Pickering che impose l’obbligo di registrazione delle società cinesi, misura che risultò inefficace per le più grandi e potenti. Un altro provvedimento utilizzato fu l’esilio degli appartenenti a consorterie criminose di nazionalità cinese, arrestati per crimini commessi a Singapore. Pickering fu assassinato per ordine delle Triadi. A quel punto le autorità inglesi imposero, a tutte le società cinesi con fini legali, l’obbligo di registrazione. Quelle che non erano disposte a mettersi in regola erano considerate pericolose per l’ordine pubblico e potevano essere soppresse con la forza. Questo provvedimento, salutato come la soluzione del problema, lo acuì ancora di più perché favorì l’evoluzione delle associazioni cinesi in veri e propri gruppi criminali.

Questa situazione perdurò per i primi quarant’anni del XX secolo, fino alla Seconda guerra mondiale. I giapponesi, infatti, dopo l’occupazione dell’isola, presero misure drastiche per combattere il fenomeno ottenendo discreti successi. Ma, terminata la guerra, nel corso degli anni 1950, la questione si ripresentò. Essendo tutti i criminali ormai nativi dell’isola, la misura dell’esilio era palesemente obsoleta. Inoltre chi dirigeva i gruppi criminali era molto più smaliziato e prestava attenzione a non lasciare evidenze dei reati commessi. I testimoni, poi, erano intimiditi regolarmente.

Nel 1954 fu creata un’apposita sezione di polizia, presso il Dipartimento di giustizia di Singapore, che ottenne buoni risultati, con moltissimi arresti. Nel 1955 fu creata una legge per aumentare la pena ai membri delle Triadi colpevoli di una serie di reati elencati nella stessa ma ebbe scarso successo. È, invece, interessante segnalare una disposizione di legge in base alla quale la polizia aveva il potere di detenere un arrestato fino a 16 giorni, qualora fosse sospettato di appartenere ad un’organizzazione criminale, con il potere di liberarlo nel caso non fossero rinvenute prove a suo carico. Fu istituito un Comitato consultivo, paragonabile alla nostra sezione del Tribunale competente per il riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, cui l’arrestato poteva ricorrere per evitare che fossero commessi abusi nei suoi confronti. A partire dagli anni settanta, il numero dei reati commessi da appartenenti alle Triadi a Singapore è sceso. Ora, i provvedimenti presi nei confronti di membri di società segrete dipendono dalla gravità dei reati. Ad esempio, chi non è coinvolto in guai seri subisce la misura di sicurezza dell’ammonimento, già sperimentata, in Italia, per i mafiosi, in Sicilia, nella seconda metà dell’Ottocento. Solo nel caso in cui si verifichino fatti rilevanti penalmente, di una certa gravità, scatta il procedimento penale.

In realtà, gli ostacoli da superare, ancora oggi, restano enormi. Vi è sempre una grandissima paura di testimoniare dovuta alla tipica diffidenza cinese nei confronti dell’autorità giudiziaria vista come un’entità estranea o addirittura nemica e una grande abilità da parte delle Triadi. Il governo di Singapore ha ora introdotto nuove misure. Ad esempio, la campagna di prevenzione nei confronti dei giovani con consigli e ammonimenti sui pericoli rappresentati dalle consorterie criminose, con visite alle prigioni per rendere edotte le nuove generazioni sui rischi a cui vanno incontro unendosi alle società criminali. Il prossimo passo prevede il coinvolgimento della collettività con la creazione di programmi di recupero per i giovani a rischio, tali da consentire loro l’accesso ad un buon grado di scolarizzazione e la possibilità di trovare un lavoro.

Attualmente a Singapore operano due tipi di consorterie criminali. Quelle tradizionali sono caratterizzate da un proprio codice di comportamento. Si occupano di prostituzione, gioco d’azzardo, protezioni e riciclaggio di denaro. Non sono, in genere, violente; la maggior parte dei loro membri ha anche un lavoro regolare, ad esempio guidano i taxi, gli autobus, i camion o lavorano nelle costruzioni. Sono comunque composte da non molti elementi perché, dopo il Criminal Law Act del 1959 la polizia ha loro inferto duri colpi. Poi ci sono le bande di strada composte soprattutto da giovani tra i tredici e i diciannove anni[8]. Non hanno codici etici e sono molto violenti. Per identificarsi usano vestiti e tagli di capelli uguali[9]. Hanno un territorio e un capo. Sono reclutati nei locali notturni, nelle sale da biliardo, in quelle con i video-giochi e nei centri commerciali. Queste bande, ora, non sono composte solo di cinesi ma anche di malesi, indiani ed eurasiatici. Occorre tener presente la grande difficoltà che esiste in tutto il sud-est asiatico nel trovare lavoro, specialmente per chi non ha un educazione di tipo occidentale. Chi non trova lavoro diventa facilmente preda delle organizzazioni criminali. Le autorità hanno sempre fatto poco per le famiglie povere. Così sono nate le gang giovanili formate da ragazzi non integrati, alla periferia di Singapore. Non sono Triadi, perché i nomi sono occidentaleggianti (Billy the Kid, B. 29). Nel 1970, vi era anche una banda composta esclusivamente da donne (Si Ho Gi Ho), tutte molto giovani, in genere armate di coltelli. Si caratterizzano anche per il fatto che le reclute devono pagare ogni mese una tassa ai capi per il privilegio di far parte del gruppo. I ragazzi vi entrano a farne parte per la compagnia, per essere stati spinti da amici, per protezione contro atti di bullismo e per mancanza di affetti familiari. Una di queste gang, la Ji It, conserva alcuni riti delle Triadi. Le altre, però, adottano come emblemi di riconoscimento dei numeri che hanno un significato esoterico riferito ad antiche tradizioni delle società segrete cinesi di cui non tutti i membri comprendono il significato. All’interno di ogni gruppo ve ne sono degli altri più piccoli, in genere in situazione di forte rivalità gli uni con gli altri. Ciò ha generato una serie di gravissimi conflitti con morti e feriti. Le forze di polizia hanno compiuto, negli ultimi trent’anni, sforzi encomiabili al fine di eliminare queste organizzazioni[10]. Dopo aver arruolato personale cinese per raccogliere informazioni nelle Chinatown, in funzione di polizia di prossimità, e essersi poi accorti che molti di essi erano affiliati alle società segrete a cui passavano informazioni sui movimenti della polizia, hanno capito che dovevano moltiplicare il numero di ufficiali di polizia che conoscessero il cinese e fossero altresì in grado di calarsi nella realtà di tutti i giorni e nella mentalità di uomini e donne. Il problema principale che hanno dovuto affrontare è sempre stato e continua ad essere quello dei testimoni intimiditi. Grazie al Criminal Law Act, le organizzazioni criminose sono, però, scese da quattrocentosedici nel 1959 a dodici nel 1983. Inoltre, la polizia, creando unità specifiche di contrasto alla criminalità organizzata, è riuscita a farne diminuire il numero a cinque nel 1996.

Le società segrete cinesi in Malesia hanno sempre vissuto in fortissima simbiosi con la locale comunità cinese. Possono essere definite come un insieme di gruppi uniti dal sangue e da interessi commerciali con legami politici, religiosi e geografici. Il vincolo di appartenenza alla consorteria, basato sul sentimento di lealtà verso di essa, ha sempre fatto sì che gli affiliati si sentissero fedeli nei suoi confronti fino alla morte. Ciò valeva e vale, soprattutto, per le società criminali. Questa caratteristica risulta di difficile comprensione per gli occidentali. Paradossalmente, le associazioni di cui si sa di più sono quelle criminali. Esse si sono sempre dimostrate molto abili nel controllare il mercato dei venditori ambulanti, dei gestori d’alberghi, delle prostitute, dei taxi e dei battelli. Chi lavora in questi settori ha sempre dovuto pagare per ottenere protezione. In questo, purtroppo, sono sempre state agevolate dalla lentezza e dalla impreparazione delle forze dell’ordine di fronte alla loro velocità e capacità nel colpire. Il problema della polizia malese è sempre stato quello dei troppi vincoli a cui deve sottostare[11]. Inoltre, i gruppi criminali controllano le sale da gioco, le associazioni sindacali e sono dietro il contrabbando d’oppio[12] e la pirateria. Negli anni 1950, la polizia affermò che il 75% degli arrestati per furto erano affiliati alle società segrete.

Nonostante il divieto delle autorità, le case da gioco cinesi hanno sempre proliferato poiché essi, infatti, non considerano un vizio il gioco d’azzardo. Solo il suo abuso diventa condannabile. Inoltre bisogna anche tener presente che esse danno comunque lavoro a migliaia di persone. A Singapore, ad esempio, sono controllate dalla 24 e dalla 18, dalla Hung Min e dalla Huo Chi nella federazione malese dove la polizia è, appunto, composta da Malesi, i gamblers sono Cinesi e le bische cambiano sempre luogo. Le organizzazioni criminali sono molto abili nell’escogitare sempre nuovi trucchi per sfuggire all’arresto come quello di scrivere i fogli con le puntate in indecifrabili ideogrammi cinesi. Lo stesso discorso vale per le lotterie illegali dove, sulla vincita, l’organizzazione trattiene una somma. Il controllo sui battellieri e sui portuali è diventato di pubblico dominio nel 1955. Il meccanismo richiede che, alla richiesta di manovalanza, il battelliere fornisca meno uomini di quelli domandati, ma facendosi pagare come se avesse fornito il numero pieno. Sulla differenza pone le mani la società criminosa. Il taxi-pirata, invece, è un veicolo con licenza da auto privata ma non coperto da assicurazione. In questo modo si può evadere il prezzo della licenza e mantenere basse le tariffe per le corse. Ma i proprietari dei taxi-pirata devono pagare una tassa alla locale banda criminale che controlla la zona. Essi non possono denunciare la cosa alla polizia in quanto, formalmente, sono fuorilegge e, quindi, sono costretti a pagare la tangente. Inoltre sono utilizzati dalle associazioni criminose per trasportare armi, droga, refurtiva e per allontanare in fretta i delinquenti dal luogo in cui hanno commesso un reato. In tutta la Malesia e Singapore, i venditori ambulanti sono controllati dalla mafia cinese a causa del loro grande numero. Ciò ha sempre generato gravissimi scontri tra bande rivali per il loro controllo. A Kuala Lumpur, poi, è sempre stato presente un grande racket di prostitute. Già a metà degli anni 1950, duemilacinquecento prostitute pagavano per ottenere protezione. La città era divisa, dalla malavita, in due settori separati da Bukit Bintang Road, una delle arterie principali. La prostituta poteva pagare una somma tutti i mesi o una percentuale sui suoi guadagni sapendo che, se avesse mancato di effettuare il versamento, avrebbe pagato anche con la vita. Sebbene non siano mai state ammesse ai riti di iniziazione, molte di esse sembrano essere anche delle affiliate. La costa di Sumatra è sempre stata un covo di pirati, membri della società Hung Min che si è sviluppata nel periodo di anarchia, dopo la seconda guerra mondiale, praticando il traffico di droga, il contrabbando di parti di ricambio per motori e armi per l’Indonesia. Dopo gli assalti alle navi, a partire dalla metà degli anni 1950, i suoi membri hanno incominciato ad infiltrarsi nella vita politica, usando la loro influenza per far ottenere voti al partito che poteva permettersi di pagare il loro intervento. Perfino in Indocina, dopo la seconda guerra mondiale, le società segrete cinesi divennero così potenti che, addirittura, le autorità francesi dovettero accordarsi con loro, concedendo loro il diritto di mantenere eserciti privati e di imporre tasse.

Anche a Hong Kong i cinesi, fin dalle prime ondate migratorie, si trovarono a contatto con un’amministrazione e una mentalità che non capivano. Ciò li spinse verso forme di auto-governo che finirono per isolarli dal resto della comunità. Le Triadi riuscirono a reclutare nuovi membri con le ondate di immigrati negli anni quaranta dell’Ottocento. Il primo arresto di un membro fu nel 1844. L’ordinanza n. 1 del 1845 prevedeva una pena fino a tre anni di prigione, il marchio a fuoco sulla guancia sinistra e l’esilio dall’isola per gli arrestati appartenenti a consorterie criminose che avevano commesso dei reati. Il marchio fu abolito perché ritenuto un impedimento alla redenzione del reo. Anche a Hong Kong il problema principale era la mancanza di conoscenza della lingua cinese da parte delle forze dell’ordine, cosa che favoriva i delinquenti. A partire dal 1857, le Triadi controllarono il mercato del lavoro. Tra il 1914 e il 1939 le società segrete si modellarono secondo il paradigma attuale, mascherandosi anche con intenti politici patriottici. Ogni gruppo consisteva di una società capo e delle ramificazioni. Esse erano perfettamente controllate dai capi i quali impedivano che si combattessero tra loro.

Le associazioni di lavoratori cinesi onesti cominciarono a creare delle sezioni per difendersi dalle infiltrazioni delle Triadi, come la società Tung. Le nuove generazioni mafiose, però, tendevano ad avere capi ben inseriti nella comunità di Hong Kong. La situazione degenerò dopo la seconda guerra mondiale quando la polizia si accorse della mancanza di personale esperto per contrastare l’espansione del fenomeno. Crebbero i furti, le rapine, i ricatti ai danni dei collaboratori dei giapponesi e il controllo del mercato nero. Soprattutto, iniziarono a controllare il mercato del lavoro. Prima dell’occupazione giapponese, le fumerie d’oppio erano legali, purchè l’oppio provenisse dai centri autorizzati dal governo. Dopo la seconda guerra mondiale furono proibite ma, in pratica, rimasero quelle gestite dalle Triadi che diventarono, addirittura, centri criminosi. In esse i criminali si incontravano, pianificavano le loro prossime imprese e piazzavano la merce rubata. Inoltre, crebbe anche la prostituzione. Il controllo della manodopera riguardò, particolarmente gli scaricatori di porto. Il potere era in mano al capo-squadra che decideva chi lavorava e chi no. Per lavorare, lo scaricatore, doveva pagargli spesso il 50% del salario giornaliero. Gli operai, allora, erano costretti a recuperare questo denaro rubando merce dalle stive delle navi che scaricavano.

Le Triadi fornivano alla polizia i nomi degli autori dei crimini più efferati, permettendo irruzioni in sale di fumatori d’oppio, pagando tangenti a poliziotti corrotti e fornendo informatori. In cambio ottenevano informazioni sulle operazioni di polizia. Occorre anche ricordare come negli anni 1950 ci fu un incremento del traffico della droga, della prostituzione e del giro dei borsaioli. Si trattava di Cinesi provenienti da Shanghai che costituirono la società Green Pang. Per contrastarla, la polizia creò una squadra speciale, con ottimi risultati, anche se oggi questa società esiste ancora e si occupa di droga[13] e prostituzione, controllo dei lavoratori ed ha propri agenti che avvicinano gli uomini d’affari americani, procurando loro gli agganci giusti per concludere ogni genere di contratto con i commercianti locali da cui prendono una percentuale.

È da segnalare anche il problema delle baracche abusive di Hong Kong. I loro abitanti non si curano delle autorità locali. Essi aprono piccoli negozi, posti di ristoro e diventano il bersaglio preferito delle Triadi perché facilmente ricattabili. Le consorterie criminali cinesi operanti a Hong Kong hanno anche sempre conservato l’ideale originario di lotta politica, non più al fine di far cadere la dinastia Ch’ing ma per abbattere il governo comunista in patria. Ciò le ha portate a fomentare rivolte in tutta l’isola, di tale portata da generare disordini anche gravi che hanno finito per scuotere l’opinione pubblica locale la quale ha chiesto alle autorità di intervenire. Queste, oltre alla creazione di speciali unità di polizia, nel 1956, con una normativa d’emergenza, hanno sostituito la pena dell’esilio, ancora vigente per i criminali originari cinesi, con la detenzione. Durante la reclusione, ad intervalli di non più di sei mesi, i detenuti erano valutati da un Consiglio di Revisione, una sorta di tribunale dell’esecuzione, che si pronunciava sull’opportunità di proseguire nell’esecuzione della pena o procedere al rilascio del condannato. Solo come alternativa alla pena carceraria era concessa al condannato la possibilità di lasciare il paese. Se fosse tornato, sarebbe stato imprigionato e avrebbe dovuto scontare la pena per intero. La norma potrebbe fornire interessanti aspetti d’approfondimento, in Italia, in relazione al problema della criminalità straniera anche in riferimento a quello dell’immigrazione clandestina. Siccome il potere dissuasore dell’espulsione era enorme, molte persone si consegnarono spontaneamente e accettarono di collaborare con la polizia che riuscì, in questo modo, a sfruttare anche le rivalità tra bande. Questo permise anche l’arresto di alcuni capi anche se il problema fondamentale, in tutto il sud-est asiatico, è che la classe che dominava e domina le consorterie criminali è di formazione britannica ed è quindi inserita molto bene nel tessuto sociale.

La polizia deve far capire al popolo che è nel suo interesse collaborare e non deve temere rappresaglie. È necessario anche tener presente la crisi economica. Occorre considerare, infatti, che, ad esempio, vi sono almeno ventimila venditori ambulanti, in parte autorizzati in parte no. Per questa gente le cose più importanti sono: la sicurezza della merce che vendono e del posto di lavoro. Essi temono rappresaglie esponendosi e, altresì, le autorità devono tener presente che, se intervengono colpendo gli ambulanti senza licenza, costoro o muoiono di fame o diventano, a loro volta, criminali. Infatti, la gente coinvolta nelle associazioni criminose è quella che ha più problemi a sopravvivere e che, quindi, ha anche meno da perdere. È significativo citare l’esperienza di un criminale condannato e affidato in prova ai servizi sociali. Lavorando come cameriere presso un circolo coloniale, assegnato alla dispensa, ebbe la prima esperienza con le Triadi. Per via di una disputa con un altro cameriere, sfociata in un litigio, al fine di evitare guai peggiori, fu costretto a pagare la protezione di una banda. Le Triadi si sono rese conto di ciò e proprio taglieggiando le fasce deboli della popolazione ottengono profitti altissimi. Lo stesso discorso vale per la prostituzione, i ristoranti, i lustrascarpe, le sale da gioco, i piccoli proprietari di case e negozi. Le prostitute e i venditori ambulanti, per esempio, hanno la garanzia, pagando la tangente, di avere un posto sicuro dove esercitare la propria attività. Dopo aver subito alcuni gravi smacchi, le Triadi attualmente si stanno riorganizzando. Non è che combattendole e sconfiggendole si possano eliminare gli omicidi e i furti da Hong Kong, però se ne potrebbero eliminare una buona fetta. Una strategia efficace che le forze dell’ordine stanno cercando di seguire è quella del divide et impera, che permette di colpire l’intera rete criminosa sfruttando le rivalità tra bande.

Nell’attività attuale delle Triadi sono coinvolte persone insospettabili come avvocati e altri professionisti all’apparenza rispettabili, membri dell’esercito, della marina e perfino dei pompieri. Le bande si scontrano in cimiteri e in luoghi isolati, usando spade, catene, coltelli e bottiglie rotte. I loro covi sono veri e propri arsenali. Se la polizia fa un’irruzione, la presenza di spade viene, ad esempio, giustificata sostenendo che sono oggetti utilizzati per riti esoterici. Ora sarà interessante vedere come l’amministrazione cinese dell’isola fronteggerà il fenomeno mafioso, vista l’evoluzione occidentaleggiante del medesimo, diversa, probabilmente, da quella che ha avuto in patria. Inoltre, c’è la questione della polizia corrotta dalle Triadi. Molti poliziotti corrotti per sfuggire all’arresto, sono scappati a Taiwan[14], in U.S.A.[15] o in Canada. Nel 1974 era stata creata la Commissione interna contro la corruzione (I.C.A.C.) al fine di combattere il problema della corruzione tra le forze dell’ordine. Con il passaggio dell’isola alla Cina, nel 1997, occorrerà vedere quale evoluzione prenderà il fenomeno. Prima del passaggio, la polizia riteneva che vi fossero cinquanta società delle Triadi, di cui quindici attive, sull’isola con, all’incirca, ottantamila membri. La più grande, la Sun Yee On ne avrebbe almeno venticinquemila[16]. Si temeva che il ritorno di Hong Kong alla Cina avrebbe portato ad un esodo di membri delle Triadi all’estero, ad esempio in Australia. In realtà, sembra che le Triadi si siano rivolte verso il sud della Cina, approfittando della situazione di boom economico di quelle regioni.

Lo stesso discorso si può fare per Macao, sotto amministrazione cinese a partire dal 1999 dove si è assistito ad una crescita delle violenze tra la 14K e la Soi Fong, le due principali Triadi di Macao, coinvolte in gioco d’azzardo, traffico di emigranti, prostituzione ed usura, in grado, perfino, di costringere giudici portoghese a ritirare mandati d’arresto nei confronti di loro affiliati. Il governo cinese ha accusato quello portoghese di aver tollerato le Triadi per lasciare il problema alla nuova amministrazione cinese.

Il caso del Sud Africa e dell’Australia

La comunità cinese in Sud Africa è sempre stata di piccole dimensioni e ben inserita nel tessuto locale. Si tratta di persone rispettose della legge, non schierate politicamente e che, proprio per questo, hanno potuto attraversare indenni i rivolgimenti politici del paese. A partire dagli anni 1970, la criminalità cinese ha incominciato ad attirare l’attenzione della polizia a causa del controllo del commercio di pinne di squali, pescati da pescherecci cinesi che utilizzavano i porti sudafricani. Inoltre, elementi criminali erano coinvolti nel contrabbando di prodotti ricavati da specie in via d’estinzione, come le corna di rinoceronte, e nel gioco d’azzardo. La polizia sudafricana non aveva unità specializzate nel combattere il crimine organizzato e questo fu un grave errore perché indagò sui singoli sospetti senza accorgersi dei collegamenti che li univano. Solo a partire dagli anni novanta del ventesimo secolo fu chiara la presenza delle Triadi in Sud Africa. Fu creata, allora, la O.C.I.U.[17] per avere un’organizzazione centralizzata che si occupasse di contrastare il crimine organizzato e che capì il ruolo in espansione delle Triadi nel paese. Il traffico di pinne di squalo seguiva la rotta Cape Town-Johannesburg-Hong Kong e sud-est asiatico. Il commercio di questo prodotto non è illegale in Sud Africa purchè la pesca degli squali non avvenga in acque territoriali sudafricane. I pescherecci cinesi operavano nelle acque dell’Atlantico del sud, quindi, le autorità sudafricane avevano molte difficoltà a provare che la pesca avveniva in acque territoriali.

Tra il 1992 e il 1993, la polizia individuò tre differenti società affiliate alle Triadi[18] che, oltre al commercio illegale di pinne di squalo, si occupavano di traffici più redditizi. L’affare più vantaggioso, per questi gruppi, è il commercio illegale d’abalone, un mollusco molto richiesto in Cina dove è considerato un afrodisiaco e che, in Sud Africa, può essere raccolto solo per quote determinate. Le Triadi ne contrabbandavano illegalmente da trenta a quaranta tonnellate l’anno nel periodo tra il 1991 e il 1995. Tra le altre attività citiamo le frodi, le estorsioni, il contrabbando d’armi, il gioco d’azzardo, la droga, la prostituzione, il traffico di clandestini, la contraffazione di marchi e l’evasione fiscale. Ora i gruppi affiliati alle Triadi sarebbero sette, quattro di lingua cantonese[19] da Hong Kong e dalla Cina e tre di lingua mandarina da Taiwan meno organizzati, con pochi membri e che, forse, non sarebbero nemmeno affiliati alle Triadi[20]. Quelli affiliati hanno un capo chiamato Testa di drago, dei collaboratori chiamati 426 e giovani affiliati detti 49 che sono i soldati, mentre gli aspiranti si chiamerebbero Lanterne Blu e dovrebbero partecipare ad azioni criminose per essere ammessi nell’organizzazione. Hanno un codice d’onore e un giuramento di fedeltà per rinsaldare la coesione all’interno del gruppo. Molti dei membri vengono direttamente dalla Cina e da Hong Kong con sufficienti capitali per ottenere un permesso di soggiorno ed un lavoro. In Sud Africa, hanno creato delle attività legali di facciata, come ristoranti, imprese d’import-export, night club e negozi di vestiti che servono per nascondere le attività illegali, la prima delle quali rimane il contrabbando d’abalone quotato, a Hong Kong, sessantacinque dollari per chilogrammo.

Questi gruppi sono soliti usare la violenza per eliminare concorrenti esterni, meno al loro interno per via del codice d’onore che li accomuna. Ci sono stati molti omicidi d’uomini d’affari cinesi, rapimenti a scopo d’estorsione, perfino utilizzando professionisti fatti venire dalla Cina. Poi c’è molta corruzione, a tutti i livelli. La comunità cinese non è schierata politicamente e questo fa sì che la criminalità sia in grado di corrompere funzionari di qualsiasi partito.

I primi veri successi nel contrasto al crimine organizzato cinese avvennero, dopo le prime elezioni democratiche, con la riforma della polizia e la creazione del S.A.P.S.[21] e, nel 1999, con la promulgazione del Prevention of Organised Crime Act che permise di creare le unità d’élite Scorpions per combattere il crimine organizzato. Un incremento del traffico d’abalone, del commercio della droga, della prostituzione e del riciclaggio di denaro ha poi destato l’attenzione dell’opinione pubblica nei confronti dei gruppi criminali cinesi, cosa che ha fatto sì che le operazioni di contrasto fossero più efficaci. Le particolarità culturali, fisiche e linguistiche dei membri dei gruppi criminali cinesi rendono difficile, per le forze dell’ordine, l’infiltrazione d’agenti sotto copertura. Inoltre, esse si scontrano con l’omertà della comunità cinese ed hanno persino difficoltà nel reperire interpreti per gli interrogatori dei sospettati. Le forze dell’ordine sudafricane si attendono un’espansione dell’attività delle Triadi nel paese, soprattutto nel traffico di droga[22]. Ora il Sud Africa ha instaurato relazioni diplomatiche con la Repubblica Popolare Cinese, incrementando i commerci e rendendo, allo stesso tempo, più facile, alle organizzazioni criminose, operare nei due paesi. Le forze di polizia e la magistratura sudafricana dovranno, necessariamente, tener presente questo fatto in un prossimo futuro.

L’attenzione delle autorità australiane sul crimine organizzato cinese è dovuta all’importazione e allo spaccio di droga, il gioco d’azzardo, la prostituzione, le estorsioni, il traffico di clandestini, il riciclaggio di denaro e la contraffazione di carte di credito. Una vera connessione tra crimine organizzato cinese e le Triadi è, però, tutta da dimostrare. Se esistono, hanno perso le caratteristiche tradizionali di quelle di Hong Kong. Le autorità ne hanno, però, confermato la presenza. Esse sarebbero modellate sulla struttura di quelle del resto del sud-est asiatico. Negli anni 1990 c’erano da tre a dieci Triadi operanti in Australia con circa duemila membri[23]. Esse hanno creato degli accordi locali per l’organizzazione di attività criminali, ma è anche possibile che si tratti di criminali comuni che utilizzano il nome delle Triadi per propri benefici, ad esempio per dissuadere le vittime e i testimoni dal rivolgersi alla polizia. È più opportuno parlare di sindacati criminali, nati ai margini delle comunità cinesi in Australia, che controllano il gioco d’azzardo. Tuttavia, le forze dell’ordine australiane hanno le prove che alcuni membri di queste organizzazioni sono affiliati alle Triadi anche se il loro modo di agire è di tipo più imprenditoriale rispetto a quello delle Triadi, ad esempio per il traffico d’eroina, dove si assiste alla formazione di consorterie temporanee che si dedicano allo smercio di uno o pochi carichi per poi disciogliersi. Essi opererebbero in accordo con gruppi mafiosi italiani, pratici dei metodi per far entrare la droga nel paese e per distribuirla.

L’emigrazione negli Stati Uniti

A causa della povertà, dell’instabilità politica e della possibilità di accedere al mondo esterno, gli abitanti delle aree costiere della Cina hanno una lunga storia d’emigrazione. Ora, circa trenta milioni di cinesi vivono all’estero, sia nel sud-est asiatico sia in America settentrionale. In genere provengono da Canton, Fukjiam, Hakka e Chin Chao. Sono molto conservatori, lavorano duramente e sono fieri d’essere cinesi. Per questa ragione, hanno sempre avuto la tendenza a creare proprie comunità, associazioni e gruppi, isolandosi rispetto al resto dell’ambiente sociale in cui si sono inseriti. Un classico esempio di ciò è dato da quanto è successo negli Stati Uniti[24].

Furono soprattutto cantonesi i primi ad andare negli U.S.A. e in Canada. Con loro anche gli Hakka che parlavano un dialetto e avevano uno stile di vita diverso dagli altri cinesi. Si trattava, infatti, di una popolazione del nord che non si è mai voluta integrare con gli altri compatrioti nei luoghi dove è emigrata. Secondo le fonti più accreditate, fu nel 1848 che i primi cinesi sbarcarono negli Stati Uniti. Si trattava di un uomo e di una donna che andarono in California ma non si conosce per quale ragione. La prima grand’ondata migratoria avvenne con la corsa all’oro del 1849. Erano, generalmente, dei disperati, disposti a tutto, senza famiglia, provenienti dai villaggi della costa cantonese. Sebbene i californiani fossero colpiti dalla loro operosità, proprio questa fece sorgere i primi contrasti con gli americani e i messicani. Furono considerati dei diversi e la legislazione californiana ne risentì. Ad esempio, un cinese non poteva testimoniare in tribunale contro un bianco. Finita la corsa all’oro, diventarono lavandai, contadini o fecero altri lavori umilissimi. Negli anni settanta del XIX secolo, si calcola che in California ci fossero 49.277 cinesi che divennero, nel 1880, dopo il completamento delle ferrovie transcontinentali, 75.132. Ovunque erano trattati come reietti. Erano sottopagati: nel 1876, un cinese, in California, arrivava a guadagnare, dopo una durissima giornata di lavoro, novanta centesimi, un bianco arrivava a cinque dollari. Il loro lavoro sottopagato arricchiva le grandi industrie californiane e rendeva anche possibile l’instaurarsi del solito sistema di prevaricazione già sperimentato nel sud-est asiatico: vi erano dei reclutatori cinesi che arruolavano e controllavano i lavoratori e trattenevano una parte del loro già misero salario. Le associazioni mercantili cinesi, poi, arruolavano la manodopera nei villaggi nella madrepatria ingannando la povera gente, promettendo loro lauti stipendi e ottime condizioni di lavoro. I contratti di lavoro che erano fatti firmare erano, in realtà, ingannevoli, non spiegavano né dove né in che cosa consistesse il lavoro e trasformavano il lavoratore in uno schiavo de facto. Questi gruppi di mercanti erano composti di persone istruite che avevano fatto fortuna e che finirono per assumere il ruoli di rappresentanti delle comunità cinesi.

Anche qui, comunque, le autorità commisero lo stesso errore già commesso dagli inglesi e dagli olandesi, cioè lasciarono che le comunità cinesi si governassero autonomamente. Sorsero così le prime tongs (associazioni)[25] che sussistono ancora oggi, non sempre con intenti criminosi. Il primo bianco ad infiltrarsi in una di queste società, la Che Kung Tong, di cui descrisse la cerimonia d’iniziazione, fu un giornalista di San Francisco che aveva passato la fanciullezza a Canton e che conosceva il cinese, alla fine del XIX secolo. Ma il permettere alle comunità cinesi di isolarsi e autogovernarsi portò alla creazione di gruppi criminali dediti al controllo del gioco d’azzardo e della prostituzione. Proprio la Che Kung Tong, ora detta Massoneria cinese, per esempio, si dedicava, negli anni cinquanta del XIX secolo, all’estorsione e alla violenza contro i compatrioti.

La scarsità di donne cinesi in America rese possibile la creazione di un infame commercio con la Cina, dove le ragazze erano rapite o vendute dalle famiglie ai mercanti che le portavano negli Stati Uniti per avviarle alla prostituzione. Si pensi che, fino al 1910, in California, il rapporto tra uomini e donne cinesi era di dieci ad uno e anche i bianchi le trovavano attraenti. Ma l’arrivo delle donne fece anche sorgere le prime guerre tra tongs. La prima disputa con grossi problemi d’ordine pubblico scoppiò per via di una prostituta di cui un membro di una tong si era innamorato portandola via ad un membro di un’altra associazione. Vi erano anche dispute per debiti di gioco e per questioni inerenti al controllo del territorio ma le più gravi furono sempre quelle relative alle donne (sing-song girl) perché, per togliere una ragazza dal giro della prostituzione, era necessario riscattarla. Colui che se ne innamorava generalmente non aveva soldi a sufficienza per farlo e, allora, doveva rivolgersi alle tongs che erano coinvolte in queste controversie. Nel 1871, per una di queste dispute, a Los Angeles, uno sceriffo bianco fu ucciso. Scoppiò una rivolta, il cinese autore del fatto fu linciato, poi cominciò la caccia all’uomo, con uccisioni e distruzioni di proprietà. Ci furono più di venti morti ma otto bianchi furono condannati a pene leggerissime. Questo fatto è molto importante perchè, da quell’episodio, le tongs, al fine di non inimicarsi troppo la popolazione americana, scelsero di rivolgere le loro violenze esclusivamente contro membri della loro stessa razza. La più crudele delle lotte di potere conosciute come Tong wars fu quella combattuta a San Francisco dal 1894 al 1913. Secondo il rapporto dell’ambasciatore cinese al suo governo nel 1930, le maggiori ragioni di conflitto erano la droga e il gioco d’azzardo da cui esse hanno sempre ricavato guadagni illimitati. Egli sosteneva che le tongs fossero ben organizzate, con un numero di membri che variava da dieci a ventimila. Era reclutato ogni genere di furfante per il commercio d’oppio, le bische e le vendette. Se un membro uccideva una persona, era ricompensato con molte migliaia di dollari. Se era ucciso, la sua famiglia riceveva un sussidio di diecimila dollari. Questi criminali formavano un vero e proprio esercito. Se scoppiava una guerra, sui muri della comunità era affisso il Chun Hung, cioè una sorta di dichiarazione di guerra. I capi della tong si mettevano in disparte e il comando dell’associazione era assunto dai comandanti militari. Tra i killer più famosi ricordiamo Fish Duck e Hong Ah Kay. Dopo il 1913, i conflitti furono arbitrati dal Wo Ping Woey, un’associazione formata dai leaders delle tongs che avrebbe dovuto essere utilizzata per eliminare le rivalità violente ma che non ebbe un gran successo. Nel 1960, per esempio, l’On Leong e l’Hip Sing hanno firmato una pace formale che dovrebbe durare anche adesso.

Il concentrarsi dei cinesi nelle Chinatown, tra cui divenne famosissima quella di New York, dove guerre tra tongs rivali continuarono ininterrottamente fino al 1930, contribuì a creare, presso l’opinione pubblica americana, un’immagine stereotipata delle comunità cinesi. Si cominciarono a creare, ad esempio, dei veri e propri giri turistici della Chinatown di New York, preparati con gran cura, allestendo perfino dei finti tunnel da cui nacque la convinzione che le comunità cinesi fossero piene di gallerie sotterranee. L’emarginazione nei loro confronti continuò a crescere e portò, nel 1904, al divieto permanente d’immigrazione, quindi, nel 1924, alla proibizione per le donne cinesi di raggiungere i loro mariti negli Stati Uniti. Queste leggi sono le uniche, nella storia americana, tendenti all’emarginazione di persone perché appartenenti ad un gruppo etnico ben definito. Solo nel 1943 fu permesso a centocinque cinesi l’anno di entrare negli U.S.A. e prendere la cittadinanza americana. Lo stesso diritto fu concesso alle donne cinesi sposate con cittadini americani. Ciò ha creato il problema dei clandestini. Per combatterlo, nel 1986, si obbligarono i datori di lavoro a verificare che i lavoratori cinesi fossero in regola. Fu anche data la possibilità agli immigrati entrati negli U.S.A. prima del 1981 di regolarizzare la propria posizione con una sanatoria. Ciò però fece sì che i clandestini arrestati, ancora dopo diversi anni, affermassero tutti di essere entrati nel paese prima del 1981 non essendoci la possibilità di provare la falsità delle loro affermazioni. Nel 1992, c’erano ventiquattromila clandestini cinesi stimati ufficialmente. In realtà, venti differenti società segrete cinesi di Guangdong e Fukien ne facevano entrare illegalmente da cinquantamila ad ottantamila l’anno. Ora, almeno il 10% della popolazione delle Chinatown è illegale. Gli Stati Uniti adoperano il sistema della quota, per questo accettano un certo numero di persone ogni anno. Siccome molti vogliono comunque entrare negli U.S.A., v’è un floridissimo traffico d’illegali. I datori di lavoro se ne avvantaggiano perché si tratta di manodopera scarsamente pagata e che non può lamentarsi.

Il primo sistema usato per entrare illegalmente nel paese è quello dei visti turistici, scaduti i quali i cinesi restano negli Stati Uniti. Poi ci sono i matrimoni di comodo, utilizzati anche al fine di procurarsi prostitute. Ma la maggioranza dei clandestini entra direttamente, senza nessun permesso. Le società segrete hanno gruppi appositi, in giro per il mondo, specializzati nel far entrare illegalmente persone negli U.S.A.. Queste organizzazioni procurano visti turistici per il Messico dove i cinesi sono aggregati ai clandestini messicani. I coyote, cioè i trafficanti d’esseri umani messicani, appartenenti agli emergenti cartelli della droga di quel paese, chiedono anche una sorta di pedaggio. Ne fanno passare pochi alla volta sul Rio Bravo e una parte del pedaggio serve a corrompere le autorità messicane. Oppure entrano dal Canada, approfittando della normativa meno severa per i visti o chiedendo lo status di rifugiati e, una volta ottenutolo, passano negli U.S.A.. Fino al 1999, erano molto usati i passaporti portoghesi che si potevano procurare a Macao. Ora, con il passaggio della colonia alla Cina, sono molto utilizzati i passaporti giapponesi, cui è cambiata la fotografia, rubati alle comitive di turisti. Il traffico di clandestini, oltre alle associazioni criminali, coinvolge anche molti funzionari pubblici corrotti. Il 25% del traffico è gestito dalla organizzazione criminale Fuk Ching, che, però, non avrebbe nulla a che vedere con le Triadi, con diramazioni ai due lati del Pacifico e che si occupa anche di droga. Nata nei primi anni 1980, è politicamente comunista e si avvale, in Cina, dell’apporto di funzionari corrotti. Usa i clandestini come soldati, soprattutto quelli tra i quindici e i venticinque anni. Si occupa anche di ricatti, rapimenti ed estorsioni. È importante, però, considerare che, dato l’altissimo costo del passaggio clandestino, chi ne usufruisce non fa parte delle classi più povere ma si tratta, in genere, di giovani della classe lavoratrice cinese che, dopo aver risparmiato a lungo, riescono a pagarsi il viaggio anche con l’aiuto di amici e parenti. Tutto il traffico continua a partire dalla provincia di Fukjien che ha buoni porti e un tasso medio di ricchezza sufficiente per favorirlo. Il costo varia da 30.000 a 50.000 dollari, comprensivo del lavoro in U.S.A. e di lezioni per imparare a muoversi nel nuovo paese senza dare nell’occhio, su come comportarsi con la polizia e ottenere, dopo l’arresto, lo status di rifugiati. Il costo è pagato a rate e il debitore è sorvegliato dalle bande criminali cinesi che operano in America. Il migrante viene anche costretto a portare eroina od oppio. Le rotte delle navi che li trasportano sono le più svariate. In genere passano da Portorico e dalle Isole Vergini. Poi, prendono voli di linea per il continente. Molti clandestini lavorano nei ristoranti, alcuni, da subito, fanno i criminali, le donne le prostitute. Le gang giovanili mediano tra la domanda di forza-lavoro da parte degli imprenditori e i clandestini. Se, per esempio, il proprietario di un ristorante accetta di assumere dei clandestini, è vero che risparmia moltissimo sul salario ma diventa facilmente ricattabile dalla gang che lo obbliga ad assumerne degli altri sotto la minaccia della denuncia. Il sistema causa gravi problemi all’industria perché i ristoranti in regola pagano le tasse e i salari normali ma si trovano a competere con quelli che usano gli illegali che praticano prezzi più bassi. Ne risente la qualità del servizio offerto, quindi, i clienti abbandonano il locale e il proprietario è costretto a ridurre i salari per continuare la sua attività. I ristoranti sono associati anche al grave problema del mancato rispetto delle norme igieniche. Soprattutto nei meni cari, il cibo fritto unge tutta la cucina che diventa poco igienica infrangendo le severe norme sanitarie americane. Per rendere competitivo un ristorante occorre tagliare i costi. Il cibo non è di prima scelta, in Cina è permesso, perfino, fumare in cucina, negli Stati Uniti no, ciò fa sì che i ristoranti siano bersagliati da continue multe. Naturalmente sia quelli meno costosi che i più cari tendono a pagare poco la manodopera. Molti di loro fanno parte di una rete per utilizzare clandestini senza che la polizia se ne accorga. Nelle Chinatown, al mattino presto e alla sera, si vedono furgoni che trasportano gli illegali nei ristoranti dei paesi limitrofi dove essi non conoscono nessuno e non sono in grado di comunicare con gli abitanti del luogo perché non comprendono la lingua. Inoltre, gli sceriffi locali non sanno nemmeno come comportarsi. I clandestini sono affittati da un locale ad un altro, il proprietario provvede all’alloggio in un dormitorio di fortuna e fornisce da mangiare gli avanzi del giorno. Succede spesso che la polizia debba intervenire per sedare delle liti che scoppiano tra cinesi all’interno dei ristoranti e che sfociano in atti di sangue. In questi casi, è necessario che le forze dell’ordine, oltre alle modalità del fatto, ricostruiscano anche i rapporti tra le persone coinvolte. Le gang cinesi rapiscono, alle volte, i clandestini per ottenere un riscatto. Se qualcuno si rivolge alle forze dell’ordine che intervengono per liberarli, comunque, gli illegali sono rimpatriati. La banda trattiene, poi, sui già miseri salari dei malcapitati, una percentuale. Le donne sono spesso abusate sessualmente e, dopo aver fatto loro credere di andare a lavorare in un ristorante o in una sartoria, sono avviate alla prostituzione.

La legge americana permette all’illegale arrestato di ricorrere contro il provvedimento di rimpatrio e di ottenere lo status di rifugiato se dimostra di essere perseguitato al suo paese per motivi di razza, religione e politica. In genere molti lo fanno. Il problema è che l’ufficio americano per l’emigrazione non ha prigioni per detenere tutti gli illegali, quindi, si limita ad intimare la comparizione all’udienza. Allora capita che essi o non si presentano e spariscono oppure si presentano con parenti falsi che sono, in realtà, membri dell’associazione criminosa che li ha portati negli U.S.A. È comunque sbagliato aprire o chiudere completamente le frontiere perché se si permette a tutti di entrare si crea il caos, se si impedisce, il crimine non cessa e si finisce anche per danneggiare l’economia. Per gli esperti americani, sarebbe necessario cambiare i criteri in base ai quali sono concessi i visti di espatrio nei paesi d’origine, ad esempio Taiwan. Una misura che continua ad essere molto temuta è comunque l’espulsione. Occorrerebbe anche incrementare la polizia nelle Chinatown, utilizzando personale che conosca la lingua, gli usi e i costumi cinesi. Inoltre, da tempo si parla di un programma di sostegno che fornisca ai cinesi un’educazione bilingue.

L’F.B.I. partecipa all’iniziativa dell’Interpol nota come Project Bridge, un gruppo di lavoro creato per facilitare lo scambio di informazioni e la collaborazione tra le forze dell’ordine contro i gruppi criminali asiatici che si occupano del traffico di clandestini. Vi è anche l’Interagency Working Group on Alien Smuggling, gestito dal National Security Council che si occupa di coordinare gli studi sul traffico di donne e bambini e, più in generale, quello di clandestini. Ogni anno, poi, l’F.B.I. partecipa all’International Asian Organized Crime Conference, dove forze di polizia di tutto il mondo si confrontano al fine di mettere a punto nuove strategie di contrasto contro la criminalità organizzata asiatica. Secondo l’F.B.I., la criminalità organizzata asiatica in U.S.A. si concentrerebbe in cinquanta aree metropolitane. La criminalità cinese è composta da gruppi con diramazioni internazionali, molto mobili, con gente che conosce la lingua e che è in grado di adattarsi ai cambiamenti sociali, con grosse risorse finanziarie[26]. Questi gruppi, nati come consorterie criminose a livelli quasi famigliari, si starebbero trasformando in vere e proprie multinazionali del crimine. La cosa più grave è che, da una criminalità asiatica di stampo cinese, la globalizzazione e la tecnologia hanno portato negli U.S.A., nel XX secolo, gruppi criminosi da tutta l’Asia. I gruppi tradizionali fanno capo alle Triadi di Hong Kong, Taiwan e Macao oltre alla Yakuza giapponese. I gruppi non tradizionali, come vedremo, sono composti dalle bande di strada di giovani cinesi. Si è passati da attività criminose classiche per un’associazione criminale, come il gioco d’azzardo, la prostituzione e l’usura, al traffico di migranti, di eroina e anfetamine, di auto e chip di computer, clonazione di carte di credito, contraffazione di vestiti e di programmi informatici e riciclaggio di denaro sporco. Per essere più competitivi, poi, i gruppi cinesi starebbero incrementando la collaborazione con associazioni criminali di altre etnie, espandendosi nel settore dei reati dei colletti bianchi, mascherando le loro attività criminose dietro la facciata di imprese legali.

Il traffico di droga è un problema enorme. Quando i comunisti presero il potere in Cina vararono un programma di contrasto alla droga molto efficace. I soldati fucilavano chiunque coltivasse, possedesse o vendesse oppio. I drogati erano tenuti in isolamento fino a quando cessava la dipendenza. Se sopravvivevano, erano mandati nei campi di rieducazione. Oggi, però, ci sono voci di produzioni illegali, in Cina, messe in commercio al fine di minare la stabilità della società capitalista. Queste coltivazioni illegali si troverebbero nella provincia di Yunnan. Da lì, grazie ai soliti funzionari corrotti, la droga arriverebbe alle Triadi di Hong Kong che controllerebbero anche il traffico di marijuana dalla Tailandia e dalla Cambogia. Ma fare arrivare la droga in America è un affare piuttosto complesso che coinvolgerebbe l’esercito del Kuomintang, la mafia nigeriana e le organizzazioni mafiose americane che la spaccerebbero sul territorio. La teoria della cospirazione contro l’Occidente sostiene che l’intero traffico sarebbe gestito da un sindacato criminale internazionale segretissimo composto da uomini d’affari, politici, agenti segreti e organizzazioni criminali. In realtà, gli esperti affermano che l’intero traffico di droga dall’Asia agli Stati Uniti sia gestito da organizzazioni molto piccole con uomini d’affari che non si considerano nemmeno criminali ma che investono in carichi di eroina come se fosse una qualunque altra merce e che, se il carico è scoperto, subiscono perdite finanziarie notevolissime. Si ritiene che un cartello internazionale di grosse proporzioni sia difficile da tenere segreto.

Il più importante gruppo cinese coinvolto nel traffico internazionale di eroina è la Chiu Chau, creato a Shantou nel sud-est cinese con diramazioni in Tailandia e a Hong Kong. Poi c’è la Sun Yee On, la più grande Triade del mondo. Per il trasporto in U.S.A., si avvalgono di viaggi turistici, aziende legali di import-export e singoli uomini d’affari. Ad esempio, sono molto usate le grandi navi commerciali. In alcuni casi, un membro dell’equipaggio ne nasconde un po’ all’insaputa del comandante, in altri è coinvolto tutto l’equipaggio che utilizza delle stive segrete per nascondere il carico illegale. Un metodo singolare consiste nello sciogliere l’eroina nell’acqua che è congelata e utilizzata per conservare i carichi di gamberetti tailandesi. Poi, all’arrivo della nave, il ghiaccio è sciolto, l’acqua fatta evaporare e l’eroina è recuperata. Viene anche introdotta nelle valigie di ignari turisti stranieri che entrano negli Stati Uniti senza dare nell’occhio oppure è nascosta negli orsi di peluche e nei giocattoli o persino negli arti artificiali di qualche amputato. Una volta arrivata negli U.S.A., è ceduta dai cinesi che non spacciano mai, ai gruppi criminali ispanici, africani e italiani che la vendono per le strade. Secondo la D.E.A.[27] l’eroina del sud-est asiatico ha dominato il mercato U.S.A. tra gli ultimi anni 1980 e i primi anni 1990. Poi, sono stati compiuti notevoli sforzi investigativi per smantellare la rete di commercio delle Triadi, soprattutto in Tailandia, che hanno portato all’arresto e poi all’estradizione negli Stati Uniti di almeno dodici membri di alto livello di importanti gruppi criminali. Però, tutt’ora, le Triadi si servono di criminali cinesi per il commercio dell’eroina in U.S.A. e, nonostante il declino del traffico di droga proveniente dal sud-est asiatico, esse rimangono le organizzazioni criminali più sofisticate ad occuparsi di droga. L’itinerario per farla entrare negli U.S.A. parte dalla Cina, poi, attraverso Filippine, Singapore, Taiwan o Corea del Sud arriva sul mercato americano dove trafficanti cinesi ne controllano la distribuzione, soprattutto sulla costa est sebbene ora sia in parte soppiantata da quella sudamericana[28]. Sulla costa ovest prevale quella messicana. È bene tener presente che ultimamente sono stati effettuati importanti sequestri in Australia e in Canada. Nel gennaio del 2001, la divisione della D.E.A. di New York ha compiuto la più grande operazione degli ultimi anni, sequestrando cinquantasette chilogrammi di eroina del sud-est asiatico da una nave container nel porto di Elisabeth nel New Jersey. Nel 2001, l’80% dell’eroina e dell’oppio proveniente dal sud-est asiatico era stato prodotto a Burma. Tra sud-est e sud-ovest asiatico se ne produceva il 93% della produzione mondiale. Secondo la D.E.A., la caratteristica fondamentale dei trafficanti cinesi è quella di costituire accordi anche complessi, ma limitati al raggiungimento di obiettivi ben determinati, raggiunti i quali, essi sono sciolti. Possono riguardare un carico o una serie di carichi e raggruppano un nucleo di veri criminali cui si uniscono uomini d’affari in qualità di azionisti e che, alle volte, forniscono anche servizi. Con pochi rischi, pagando per la quantità di droga anche il prezzo del trasporto e la percentuale sulla vendita, essi ricavano un guadagno molto elevato. Secondo uno studio ipotetico, un’ideale associazione criminosa dedita al traffico di stupefacenti si può comporre di sei individui. Il primo è quello che promuove l’accordo, il secondo è quello che ha materialmente la disponibilità dell’eroina, il terzo ha i soldi, il quarto ha l’esperienza nel traffico, il quinto è pratico di come è distribuita l’eroina, il sesto ha conoscenze per spedire il profitto nel sud-est asiatico utilizzando il sistema bancario sommerso HAWALLA[29]. Questo metodo è utilizzato dalla criminalità organizzata cinese per evitare il sistema bancario commerciale al fine di riciclare il denaro ricavato dalla droga. Nella sua forma più semplice, è un trasferimento di denaro tra due individui tramite una terza persona. Esso opera attraverso negozi (gioiellerie, agenzie di viaggio, compagnie di spedizioni) controllati da cinesi appartenenti alle organizzazioni criminali. Colui che vuole portare denaro all’estero, deposita la somma che intende esportare presso lo sportello del suo paese ed il controvalore gli sarà consegnato in un analogo sportello di un paese straniero, dietro presentazione di una ricevuta, detta chit, che può consistere in un biglietto d’autobus, in una carta da gioco tagliata a metà o in un dolcetto cinese.Trasferito il denaro nel sud-est asiatico, la ricevuta può essere presentata e il denaro ritirato, meno le spese di commissione. Il suo utilizzo è cresciuto da quando il sistema bancario ufficiale ha adottato una serie di misure restrittive antiriciclaggio[30].

Attualmente, l’F.B.I. partecipa a sette differenti gruppi di lavoro ed iniziative tese a debellare le organizzazioni criminali asiatiche. Vi sono collaborazioni con la National Police Agency of Japan, l’Australian Federal Police, La Hong Kong Police e la Royal Canadian Mounted Police. Le collaborazioni sono tese all’identificazione ed al contrasto delle organizzazioni criminali operanti a livello internazionale. Inoltre collabora con la International Law Enforcement Academy di Bangkok insieme con le agenzie di contrasto al crimine australiane al fine di creare personale specializzato nella lotta ai grandi gruppi della criminalità organizzata asiatica.

Strettamente connesso al problema delle grandi associazioni criminose cinesi operanti in America è quello delle bande giovanili (gang) che sorgono nelle Chinatown. Se prendiamo, ad esempio, quella di New York, lo sviluppo delle gang è avvenuto negli anni 1960. La prima, i Continentals, nacque per difendere gli studenti cinesi dalle aggressioni di quelli di altri gruppi etnici, compresi gli italiani. Nei primi anni 1970, si trasformarono, diventando gruppi predatori (White Eagles e Black Eagles) che terrorizzavano la popolazione e le Tongs cominciarono ad ingaggiarle come soldati da strada. Erano utilizzate per proteggere i membri delle Tongs dalle violenze e dai ricatti. Tra la fine degli anni 1970 e i primi anni 1980, far parte di una banda diventò un vero mestiere. Esse erano ormai così potenti che le Tongs non erano più in grado di controllarle. L’anno più violento della storia di Chinatown a New York fu il 1976. Il quinto distretto di polizia, competente su Chinatown, fu costretto ad istituire una Task Force contro le bande[31].

Addirittura, la Wah Ching[32] una gang di San Francisco, dove non aveva un suo territorio, si spostò a New York per darsi alle rapine. A quel punto le altre bande fecero fronte comune contro di lei. Ciò portò ad un incremento delle violenze e degli omicidi. Nel luglio del 1982 ci fu il primo caso in cui un cinese testimoniò contro una gang e un membro della stessa contro i suoi colleghi. Si trattò di membri della Ghost Shadows coinvolti in un caso di rapimento con violenza sessuale di gruppo e successivo omicidio di una donna bianca della Virginia. Dalla metà degli anni 1980, è in atto il periodo di diffusione, cioè le bande tendono a seguire gli insediamenti cinesi fuori Chinatown. È il caso delle White Tigers e della Tung On. Lo statuto federale contro il crimine organizzato, R.I.C.O. (Racketeer Influenced and Corrupt Organizations) è stato utilizzato la prima volta contro le gang nel 1985[33]. Ormai le bande operano in modo legittimo con ristoranti, agenzie di viaggio e night club. Sono coinvolte nel riciclaggio di denaro, nel traffico di droga e nella prostituzione.

La motivazione di dare ai figli un adeguata istruzione è una di quelle che spinge all’emigrazione negli U.S.A. perché le scuole cinesi sono molto competitive; solo uno studente su quattro è ammesso all’Università e la gente è convinta che in America sia diverso. Il primo problema da affrontare è sempre stato quello della lingua, cosa che costringe studenti cinesi più vecchi, ma appena arrivati in U.S.A., a frequentare classi con studenti americani più giovani. Solo poche scuole hanno programmi di sostegno ma esclusivamente per il Cinese e il Mandarino. Così, nelle difficoltà, i ragazzi non sanno a chi chiedere aiuto, si sentono tagliati fuori e diventano bersaglio dei giovani appartenenti ad altri gruppi etnici, più inseriti, che li intimidiscono. La nascita delle prime bande avvenne così, considerando anche la tendenza dei giovani cinesi in patria a raggrupparsi per condividere gli stessi problemi, per difendersi da angherie di estranei. Con l’emigrazione negli Stati Uniti, anche il ruolo importantissimo della famiglia fu stravolto. In molti casi, solo un parte della famiglia si trova in America, quindi ciò, unito alle durissime condizioni di lavoro, ha creato gravi litigi familiari, per combattere i quali, ad esempio, la città di San Francisco ha istituito l’Alliance Against Asian Domestic Violence, un programma che coinvolge diverse istituzioni e che si propone di arginare il problema. A ciò si è sempre aggiunto la questione delle case, piccole e non igieniche che spingono gli adolescenti per le strade. Essi cominciano a radunarsi nei bar e nelle bische dove si trasformano in delinquenti. Se non subiscono l’influenza delle organizzazioni criminali di adulti, restano gruppi di poca importanza. Sono esponenti delle tongs a reclutarli utilizzando cerimonie di iniziazione basate sui rituali delle Triadi e portandoli in apposite palestre dove maestri di arti marziali insegnano loro l’arte del kung-fu. Quindi, i capi delle tongs, che hanno tra i cinquanta e i settant’anni, comandano i leader delle gang, che sono trentenni, che, a loro volta, hanno potere sui membri, adolescenti o poco più. Se la tong ha problemi con qualcuno, si serve della gang per intimidirlo. Sono utilizzati per proteggere le sale da gioco, per riscuotere debiti e per fare le estorsioni.

È molto importante l’assimilazione dei valori devianti. Se una persona è associata in un gruppo con valori diversi dalla cultura dominante, egli sarà un deviante. Sebbene la disorganizzazione sociale giochi un ruolo importante nella delinquenza, tra gli adolescenti cinesi, diventare il membro di una gang comporta l’interiorizzazione delle regole delle Triadi, il liberarsi dei legami sociali e, quindi, il divenire un delinquente. Il tutto favorito dall’economia in espansione delle comunità cinesi che ha fornito ampie possibilità di guadagno alle bande. Ad esempio, le bische hanno bisogno di protezione dalle retate della polizia, dagli sconosciuti e dalle bande rivali. Secondo la polizia, poi, l’80-90% degli imprenditori cinesi paga tangenti alle gang. Le tecniche di estorsione sono varie: una è la richiesta esplicita di denaro alla cerimonia di apertura del negozio quando è richiesto il Li Shi cioè la tangente, un’altra consiste nel far capire al padrone che la tangente fa parte delle spese dell’attività, poi c’è l’Hei Bai Lian (facce bianche e nere) quando alcuni membri entrano nel locale minacciando di danneggiarlo, i leader arrivano, li fanno scappare e spiegano al padrone che deve pagare per essere protetto, e il Tai Jiau Tsi (portare le portantine) in cui la vittima dell’estorsione è trattata con rispetto, definita grande fratello e come tale, obbligato a provvedere al sostentamento dei fratelli minori. Non prendono mai denaro direttamente dal registratore di cassa per evitare di essere accusati di rapina. La tangente varia, ma, in alcuni casi, è stabilita facendo riferimento all’esoterismo delle Triadi perché la cifra può contenere, ad esempio, il numero 36 in riferimento ai 36 giuramenti sacri per entrare in una società segreta o il 108 che si riferisce ai 108 monaci Shaolin che si salvarono dalla distruzione del loro monastero. Ci sono diversi tipi di estorsione. La prima è la classica richiesta di denaro. È improbabile che la vittima sia assalita fisicamente. La seconda è quella simbolica per affermare il controllo di un territorio e colpisce gli ambulanti. La terza è quella per vendetta e prevede che la vittima sia colpita fisicamente. La quarta è quella strumentale per intimidire il malcapitato. Alle volte un commerciante deve pagare tangenti a più gang. Il problema è che il sistema mina l’economia della comunità perché di fronte a sempre maggiori richieste di denaro, il negoziante è costretto a vendere. Si calcola che, ultimamente, gli affari siano scesi del 40% nella Chinatown di New York. Inoltre, egli, solo allora riferisce tutto alla polizia. Si ritiene che, dal 1984, i commercianti cinesi a Brooklyn e nel Queens siano taglieggiati. Ma la polizia non è in grado di capire quando materialmente avviene un’estorsione e questo è il fatto più grave[34].

Il furto di auto riguarda, soprattutto, Toyota e Dayatsu, le più facili da mettere in moto. Vi sono poi le rapine nelle bische da mezzanotte all’alba, nei cinema e nelle gioiellerie. Sono fatte da singoli membri; il codice etico originale delle Triadi le considera un modo per ridistribuire la ricchezza. Le prostitute sono un altro grande affare. Prima c’erano le coreane, ora le cinesi reclutate a Taiwan con contratti annuali da settemilacinquecento a dodicimila dollari, con visto turistico per sei mesi, rinnovabile per altri sei. Esse lavorano, a rotazione, in centri massaggi di varie città e versano all’organizzazione, in cambio di vitto e alloggio, dal 30 al 50% del guadagno. Questi locali sono protetti dalle gang. Le bande giovanili combattono anche tra loro, partendo da futili dispute tra membri in luoghi pubblici e arrivando a vere guerre per il territorio. Ad esempio l’incrocio tra Mott Street e Peel Street a New York è quello in cui si fronteggiano i Ghost Shadows e i Flying Dragons con omicidi e violenze ad ogni ora del giorno e della notte.

Occorre sottolineare che chi aderisce a questi gruppi è comunque un emarginato. La cultura delle Triadi è propria degli emarginati che sentono come aliene le regole delle società dominanti. Fra i cinesi, i membri delle Triadi si chiamano Dark Society Elements e la società si chiama Jang Hu (fiumi e laghi) per indicare la mancanza di radici dei membri. Chi vi aderisce, ritiene di non essere in grado di controllare il proprio destino. Tutti adorano lo stessi dio (il generale Kwan), hanno lo stesso gergo, gli stessi riti d’iniziazione e condividono, quindi, gli stessi segreti[35]. È bene che le forze dell’ordine tengano presenti questi aspetti. Ora v’è anche la tendenza a paragonare la mafia cinese a quella italiana considerando Cosa Nostra come la versione americana della mafia siciliana e le Tongs delle Triadi. Sia la mafia siciliana sia le Triadi si formarono per proteggere il loro paese dalle aggressioni esterne. Poi, con l’emigrazione, hanno avuto una lunga storia criminosa. In entrambe, i membri passano attraverso cerimonie d’iniziazione, hanno come regola l’omertà, l’obbedienza, il segreto. In U.S.A. c’è un fortissimo legame tra Cosa Nostra e Little Italy e tra Triadi e Chinatown. Ma vi sono differenze: i gruppi italiani sono ben inseriti nella società americana, sono composti solo da criminali. I cinesi colpiscono sempre i loro compatrioti, non riescono a corrompere pubblici ufficiali o a controllare sindacati ed hanno un crimine meno espansivo. La CCBA[36] è considerata l’equivalente della Commissione di Cosa Nostra, ma, in realtà, media solo le dispute e non può controllare le attività criminali. Solo attraverso il commercio della droga le Triadi potranno penetrare nella società americana grazie ai profitti utilizzati nel riciclaggio, nella corruzione e nell’acquisto di beni immobili. Ora ci sarebbe una nuova generazione di criminali cinesi all’opera, non legati alle Triadi e meglio infiltrati nella società americana. Ciò porterebbe anche alla creazione di una sub-cultura criminale nuova che si affiancherà a quella delle Triadi.

La criminalità cinese in Italia e i mezzi di contrasto forniti dal nostro ordinamento

Solo da pochi anni si può parlare di un consistente flusso migratorio di cinesi verso l’Italia. Nel nostro paese, quindi, non abbiamo ancora una situazione come quell’americana dove la presenza cinese è già molto radicata avendo una storia di più di centocinquant’anni. In ogni caso, l’arrivo dei cinesi ha portato, nella nostra penisola, una serie di problemi simili a quelli riscontrabili sia negli Stati Uniti sia in altre parti del mondo dove la loro presenza è più ponderosa rispetto a quella che si riscontra in Italia in cui è, in ogni modo, in netto aumento.

I primi cinesi ad arrivare si stabilirono a Milano negli anni 1930. Fino agli anni 1970 erano poche centinaia in tutta la penisola, scarsamente visibili, conosciuti, soprattutto, come venditori di cravatte. Dagli anni 1980, la loro presenza è cresciuta notevolmente. Dal 1978, lo Stato cinese ha negoziato dei contratti con altri paesi al fine di impiegare la propria manodopera all’estero. Lo scopo era il controllo della valuta straniera, l’acquisizione di tecnologia più avanzata e il tentativo di gestire, a livello centrale, il traffico d’emigranti. Negli anni 1980, cinquecentoquarantamila cinesi sono andati a lavorare all’estero. In Europa si ebbe un forte flusso verso la Gran Bretagna, la Francia e l’Olanda prima e, in un secondo tempo, verso l’Italia. I cinesi che arrivano nel nostro paese provengono, soprattutto, dalla regione dello Zhejiang, in particolare dal municipio di Wenzhou, una zona con molte industrie tessili ed estrattive dove il governo centrale cinese applica una politica di tipo liberistico mentre sarebbero molti di meno quelli provenienti dal Fukjiam. In Italia si sono stanziati, prevalentemente, nel centro-nord, principalmente nei grandi centri urbani, dove hanno subito incominciato ad esercitare l’attività di ristorazione, e nelle zone a ridosso delle grandi città, dove praticano l’artigianato. Grazie ad alcuni studi, si è potuto osservare una tendenza a raggrupparsi per famiglie e a creare attività imprenditoriali in cui v’è la propensione a far lavorare esclusivamente persone provenienti dalla stessa zona geografica, cosa visibile soprattutto in Toscana.

Rispetto a quanto succede, ad esempio, negli U.S.A., in Italia il flusso di cinesi non ha ancora portato alla creazione di vere e proprie Chinatown sebbene in alcune grandi città, come Milano, vi siano delle vie ad alta concentrazione di cinesi[37]. Ora i cinesi stanno acquistando palazzi ed interi isolati. Si tratta sempre di comunità organizzate con proprie regole, prive tuttavia d’organismi di controllo come la CCBS[38] in America ed ancora fortemente dipendenti dalla comunità italiana, mentre negli Stati Uniti le collettività cinesi sono in grado di produrre beni a vantaggio dei propri componenti. Si tratta, in ogni caso, di collettività sempre molto chiuse, diffidenti verso gli estranei, persino nei confronti dei cinesi che non provengono dalla stessa zona. È evidente che l’afflusso in Italia di cinesi ha portato, come conseguenza, l’avvento di una criminalità tipica come quella già vista nel corso dei flussi migratori nel sud-est asiatico e negli U.S.A; però, parlare di presenza delle Triadi è forse eccessivo. Si tratta di vedere come, il nostro paese, può affrontare il fenomeno alla luce della normativa esistente, anche tenendo presente il rischio che il problema si possa allargare, assumendo dimensioni poi difficilmente controllabili.

La prima questione a sorgere è stata quella dell’immigrazione clandestina. Secondo alcune testimonianze, i cinesi arrivano in Italia dopo essere stati reclutati nelle campagne, facendo loro credere che, nel nostro paese, si possa guadagnare tantissimo. Il costo del viaggio è enorme, si parla di oltre ventimila dollari. Il meccanismo è sempre lo stesso, in altre parole è la famiglia che garantisce il pagamento. Se anche l’immigrato non è in grado di pagare, l’organizzazione che lo manovra può rifarsi nei confronti dei parenti. È evidente come la condizione del lavoratore immigrato sia più quella di un oggetto che quella di un essere umano. Alcuni hanno dichiarato di essere impossibilitati perfino al suicidio perché la condizione debitoria della famiglia non cambierebbe di una virgola. In Cina, lo Stato ha messo l’esercito a presidiare le stazioni ma non è servito a nulla. Questa situazione terribile favorisce, da una parte l’immigrazione clandestina, dall’altra le organizzazioni criminali che la sfruttano.

L’Italia ha una storia già piuttosto lunga in fatto di normativa sugli immigrati e di sanatorie. I governi italiani hanno sempre cercato di limitare le entrate legali prestando poca attenzione al controllo del mercato del lavoro, cosa che ha favorito lo sfruttamento dei clandestini, problema che riguarda da vicino i cinesi. La politica italiana è sempre stata basata sul contrasto ai confini e sul tentativo di riassorbire gli illegali già presenti sul territorio con le sanatorie[39]. Negli anni 1990, gli sforzi governativi sono stati improntati all’intensificazione dei controlli alle frontiere per combattere le organizzazioni criminali che sfruttano il fenomeno dell’emigrazione clandestina. Sono stati creati, ad esempio, i centri di custodia per stranieri illegali[40], sono state inasprite le pene per tutti coloro che organizzano l’ingresso dei clandestini ed è stato previsto l’obbligo di sottoporre lo straniero di cui è dubbia l’identità a rilievi fotodattiloscopici e segnaletici. Si è anche pensato di regolarizzare i clandestini appunto con le sanatorie che, però, hanno sortito l’effetto opposto. Attualmente, il ddl. n. 286 del 25/7/1998 (Turco-Napolitano) è stato modificato dalla legge n.189 del 30 Luglio del 2002 (Bossi-Fini). È previsto il sistema delle quote d’ingresso, stabilite tutti gli anni entro il 30 novembre e la stipulazione d’accordi di rientro con gli Stati da cui provengono, in maggioranza, gli emigrati. Con la legge 189 del 30/7/2002, i clandestini possono essere detenuti nei centri per sessanta giorni prima di essere espulsi. Qualora rientrino nuovamente in Italia sono soggetti a pene detentive. L’aspetto più importante è la lotta al traffico d’esseri umani che prevede la reclusione fino a dodici anni, se si tratta di donne trafficate a fini di prostituzione o di minori, fino a quindici anni. Sono inoltre previsti accordi di cooperazione con altri paesi europei per creare una sorta di polizia di frontiera ed accordi con le nazioni extraeuropee di maggior provenienza dei clandestini al fine di combattere il fenomeno. Con la Cina, sono in corso negoziati proprio in questo senso e la collaborazione con l’ambasciata cinese a Roma, al fine di favorire il rientro degli irregolari. Secondo uno studio dell’ILO, i principi che dovrebbero essere presi in considerazione per sviluppare una strategia al fine di regolarizzare gli immigrati sono: una politica con vasto consenso parlamentare, la fissazione di termini ben precisi per non incoraggiare i flussi clandestini, l’applicazione del principio di parità tra allogeni e autoctoni, la garanzia che lo straniero, una volta regolarizzato, possa effettivamente godere dei benefici della legge e la creazione di una campagna informativa su larga scala.

Purtroppo, anche in Italia, i ristoranti cinesi sono stati il primo punto di raccolta d’immigrati illegali unitamente alle imprese create da cinesi, soprattutto in Toscana, dove il turnover di clandestini è altissimo. I metodi per entrare nel nostro paese variano. Sono, ad esempio, utilizzate rotte apposite come quella che passa da Malta o da Trieste dove camionisti italiani, in accordo con le organizzazioni criminali che gestiscono il traffico, fanno entrare i clandestini stipati nei camion senza passare dai controlli frontalieri[41]. Il migrante, entrato in Italia, deve fornire all’organizzazione un garante per il pagamento del passaggio. Fino a quando il garante non paga o non s’impegna a pagare scatta il sequestro di persona ex art. 605 c.p., unitamente al reato d’estorsione, in quanto sussiste un precedente rapporto tra criminali e vittima e ad esso sono collegabili il sequestro e il conseguimento del profitto, mentre si applica l’art. 630 c.p. nel caso in cui la privazione della libertà personale dell’immigrato sia dovuta alla necessità per l’organizzazione di recuperare i soldi perduti qualora qualcosa non vada per il verso giusto[42], ad esempio, nel caso di fuga d’alcuni emigranti. L’impegno a pagare può anche risultare da un bigliettino senza apparente valore legale ma è evidente che, se il pagamento non avviene con fortissimi interessi usurari, il clandestino rischia la vita. È da segnalare il fatto che se il debito diventa insostenibile, il cinese è costretto a vendere se stesso all’organizzazione e a diventare, a sua volta, un criminale ovvero a lavorare gratis per imprenditori collusi fino all’estinzione del debito, in una situazione di schiavitù. La giurisprudenza[43] ha ravvisato una condizione di schiavitù proprio quando una persona si trovi nell’esclusiva signoria di un altro soggetto che ne tragga profitto e ne disponga in modo simile a quello in cui il padrone esercitava il proprio dominio sullo schiavo. Il reato di riduzione in schiavitù (art. 600 c.p.) tutela la libertà d’autodeterminazione dell’individuo e d’espressione della persona. Esso può esprimersi con violenze o minacce attraverso le quali l’agente realizza la sottoposizione della vittima alla propria volontà, come se fosse un oggetto. È inoltre un comportamento che viola la Convenzione di Ginevra del 1956 sull’abolizione della schiavitù. Questo tipo di comportamento criminoso comincia ad essere associato anche allo sfruttamento della prostituzione. Non è raro il caso di giovani ragazze cinesi che, una volta in Italia come clandestine, sono avviate alla prostituzione, soprattutto nel giro dei centri-massaggi. La Suprema Corte[44]ha ritenuto ammissibile il concorso formale tra il reato di cui all’art 600 c.p. e l’induzione, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione (art. 3 e 4 legge n. 75 del 1958) nel caso in cui una cittadina straniera sia costretta, dopo essere stata venduta, a riscattare la propria libertà con i proventi dell’attività di meretricio cui sia indotta con violenza e maltrattamenti. Si possono configurare, addirittura, delle vere associazioni criminose dedite al reclutamento e allo sfruttamento di ragazze da avviare alla prostituzione anche qualora questo non sia lo scopo precipuo della consorteria criminosa[45]. Nel caso di clandestini entrati in Italia con delle donne da avviare alla prostituzione, la Corte di Cassazione[46] ha ritenuto configurabile il reato di cui all’art. 12, comma 3, del ddl. 25/7/1998 n. 186, novellato dalla l. n. 189/2002, anche a carico di coloro che sono entrati nel paese da clandestini al fine di avviare un giro di prostituzione, e non soltanto a carico di coloro che organizzano il traffico.

La possibilità di ottenere la regolarizzazione della propria posizione ha fatto sì che nascesse un fiorente mercato di passaporti cinesi falsi. Oltre a ciò, si è sviluppato un sistema per il riutilizzo di passaporti autentici. Si dice, ad esempio, che il reato d’occultamento di cadavere (art. 412 c.p.) sia molto diffuso tra i cinesi. Infatti, i documenti dei defunti sarebbero spediti in Cina dentro libri con le pagine tagliate e lì sarebbero assegnati ai nuovi emigranti. Per fare questo, sarebbero utilizzate le grandi compagnie internazionali che offrono servizi postali in tutto il mondo. Occorre prestare attenzione anche alle società fittizie create in Italia con capitali cinesi e italiani. Queste società utilizzano la legge 189/2002 per importare forza-lavoro apparentemente in regola con il permesso di soggiorno ma che, in realtà, è sfruttata in condizioni subumane da imprenditori senza scrupoli che non sempre sono cinesi. In pratica, anche in Italia le organizzazioni criminali cinesi, e non è detto che siano solo le Triadi, sfruttano, come negli U.S.A., la disperazione della povera gente per ricavare notevoli guadagni.

Il basso profilo dell’azione criminale cinese, il suo mimetismo, la sua capacità di colpire in maniera intraetnica la rendono poco visibile e scarsamente esposta all’attività di contrasto. V’è anche molta istigazione alla corruzione (art. 332 c.p.) per secolare sfiducia nei confronti delle leggi e perché i cinesi ritengono l’Italia il paese della corruzione e chiamano il nostro sistema giudiziario testa di tigre, coda di serpente perché le punizioni non sono proporzionate alle colpe commesse, secondo i loro canoni. I loro reati non creano allarme sociale o gravi problemi d’ordine pubblico come nel caso della criminalità slava. Un esempio può essere quello delle estorsioni ai ristoranti, dove è altissima la cifra oscura. È nata anche la figura dell’imprenditore della violenza, in altre parole un mediatore che interviene dopo l’effettuazione della richiesta di pagamento. Anche in Italia i ristoranti funzionerebbero da punti di ritrovo per il gioco d’azzardo perché sono luoghi di forte coesione tra gli immigrati. In particolare, quelli in cui si giocano grosse cifre sarebbero propri della criminalità organizzata. È da segnalare anche l’attività di contraffazione di marchi, in forte ascesa[47].

Ma l’aspetto che più c’interessa è quello relativo all’esistenza d’associazioni mafiose cinesi in Italia, sia facenti capo alle Triadi, sia d’altro genere. Nel novembre del 1993, per la prima volta, la mafia cinese è stata riconosciuta dai tribunali italiani. Il primo presunto boss si chiamava Zhou Yiping. Nel suo caso, si è trattato di applicare l’art. 416 bis c.p., per la prima volta, ad uno straniero in un’organizzazione criminale straniera. Egli, a capo dell’Associazione d’amicizia per i cinesi residenti a Roma, proprietario del ristorante La Grande Cina, chiuso poi per motivi sanitari, fu coinvolto in un giro d’estorsioni e sequestri di persona. Occorre ricordare che gli studiosi del fenomeno mafioso cinese sono divisi a proposito dell’esistenza di consorterie riconducibili alle Triadi nel nostro paese. Le forze dell’ordine tendono ad affermarne la presenza, i ricercatori sono più scettici. Dal punto di vista giuridico, il caso di Zhou Yiping dimostra che è stata riconosciuta l’esistenza in Italia d’associazioni mafiose cinesi. Deve essere tenuto presente che il fenomeno mafioso, di qualunque tipo, ha una forte specificità territoriale, può essere considerato un fenomeno di società locale, cosa resa ancora più attuale dalla tendenza alla globalizzazione. I gruppi mafiosi, italiani e anche cinesi, sono sufficientemente organizzati per resistere all’azione delle forze di polizia ma, allo stesso tempo, sufficientemente aperti per riprodursi. In questo senso, la criminalità organizzata cinese ha un successo che dipende, essenzialmente, dalla capacità di procurarsi la cooperazione attiva e passiva d’altri attori sociali, come gli imprenditori, e di instaurare rapporti di scambio, di collusione e complicità che potranno riguardare anche gli ambienti politici e istituzionali se la mafia cinese arriverà ad acquistare quel potere che ancora non ha in Italia ma che potrebbe, un giorno, avere. All’interno delle comunità cinesi stanziate in Italia, le associazioni mafiose sono distinguibili da altre forme di criminalità organizzata per la costituzione di reti di relazioni che servono a mobilitare risorse materiali e finanziarie che utilizzano per il conseguimento dei propri fini (traffico di migranti, estorsioni, prostituzione e droga). L’abilità delle Triadi, in ogni parte del mondo, è stata quella di aver creato un sistema di legami per ottenere la cooperazione d’altri soggetti e, quindi, una sorta di riconoscimento, di legittimazione all’interno della comunità cinese. Dove s’instaura una comunità cinese, la struttura di potere mafioso si basa su: offerta di sicurezza tramite la protezione dei locali gestiti da connazionali, la conseguente creazione di ricchezza, il controllo della società e la manipolazione dei codici culturali per arrivare alla funzione di mediazione e all’amministrazione della giustizia sostituendosi all’ordinamento dello Stato. Quello che stanno facendo le associazioni mafiose cinesi in Italia è, principalmente, l’estorsione che, oltre all’arricchimento, conferisce al gruppo criminale il controllo del territorio, inteso come comunità di connazionali e dell’economia della stessa. A seguito della minaccia ambientale rappresentata dal gruppo mafioso, alcuni imprenditori pagano la tangente senza essere stati nemmeno minacciati ma perché riconoscono la presenza della mafia quale istituzione territoriale. Gli imprenditori si possono dividere in subordinati e collusi. I primi sono i più danneggiati anche perché, a differenza di quelli italiani taglieggiati dalla mafia nostrana, non possono vendere la loro impresa e trasferirla da un’altra parte. I secondi possono instaurare con la mafia rapporti di collaborazione specifici o continuativi, mettendo al servizio dell’organizzazione mafiosa le proprie aziende o creando imprese ad hoc cui partecipano anche imprenditori italiani incensurati che mettono a disposizione il proprio nome in cambio dell’apporto di capitali o di forza-lavoro a costo zero con cui realizzare elevati guadagni: è questo il problema del concorso esterno, di difficile prova dal punto di vista penale, e che, se all’imprenditore colluso, nel breve periodo conferisce ingenti guadagni, nel lungo periodo può provocargli danni notevoli[48]. Il problema è che, senza gli imprenditori collusi, il gruppo mafioso non può riprodursi, quindi assistiamo ad una continua espansione delle consorterie criminali cinesi in ogni tipo d’attività imprenditoriale con una tattica molto aggressiva in base alla quale esse sono in grado di pagare i prodotti in contanti ad un prezzo più alto degli imprenditori onesti e di venderli ad un prezzo notevolmente più basso perché non rispettano le regole. Ciò potrà portare a creare il polling equilibrium (equilibrio con confusione) in cui non si riuscirà più a distinguere imprese sane, capaci di reggere il mercato grazie alle proprie capacità e imprese cattive che reggono la concorrenza con comportamenti scorretti come nel caso delle imprese di confezioni della zona di Prato.

Secondo la Suprema Corte[49], il carattere fondamentale dell’associazione di tipo mafioso va individuato nella forza intimidatrice che da essa promana. Grazie alla pressione del vincolo associativo, essa riesce ad esprimere il metodo mafioso che si esplica nell’ambiente circostante nel quale essa opera, di cui gli aderenti si avvalgono al fine di realizzare il loro programma criminoso. A questo segue, dal lato passivo, la situazione d’assoggettamento e d’omertà che da tale forza intimidatrice si sprigiona verso l’esterno dell’associazione, cioè nei confronti dei soggetti nei riguardi dei quali si dirige l’attività delittuosa. A questo proposito, le forze dell’ordine hanno suggerito la possibilità di ricorrere largamente, nelle indagini relative alla criminalità cinese, all’istituto dell’incidente probatorio (art. 392 c.p.p.) che permetterebbe di invogliare testimoni e vittime dei reati, all’interno della comunità cinese, a collaborare con le autorità, in considerazione del fatto che la nozione d’omertà va ricondotta al rifiuto di collaborare con gli organi dello Stato per paura di danni fisici o alle proprie attività per la convinzione che la collaborazione con gli inquirenti comporti ritorsioni dannose. Nella stessa sentenza, la Cassazione ha ritenuto che la prova del vincolo mafioso si possa ricavare dalla segretezza dello stesso, dai rapporti di comparaggio o di comparatico tra gli adepti, dal rispetto del vincolo gerarchico e, come indizi del reato associativo, dalla commissione dei reati fine, interpretati alla luce dei moventi che li hanno ispirati. Non è nemmeno necessario che lo scopo dell’associazione sia la commissione di delitti, possono essere attività lecite come l’acquisto d’immobili che, secondo uno studio della D.I.A., i cinesi starebbero operando in grande stile nella zona di Napoli.

Secondo le forze dell’ordine, la mafia cinese è molto attiva, in Italia, nel riciclaggio di denaro ricavato da operazioni criminose all’estero, soprattutto attinenti alla droga. Questo denaro è utilizzato per l’acquisto d’immobili, per il controllo delle bische clandestine e la contraffazione di marchi. In materia, gli art. 648, 648 bis, 648 ter c.p. individuano le ipotesi di riciclaggio primario (il primo) e secondario (gli altri due) che devono essere collegate alle indagini relative al sodalizio criminoso ed alla sua capacità di produrre ricchezza illecita. Un valido strumento di contrasto a questi fenomeni è stato introdotto con la legge n. 356/92 che prevede la non punibilità dell’agente sottocopertura che può inserirsi clandestinamente nell’organizzazione criminale per trarne informazioni investigative. Questa legge è stata preceduta dal D.P.R. 9/10/1990 per la lotta allo spaccio di stupefacenti la quale ha introdotto l’acquisto simulato di droga (art. 97) e il ritardato arresto (art. 98) basandosi sulla scriminante dell’art. 51 c.p. (adempimento di un dovere), allineando la nostra legislazione alla Convenzione O.N.U. di Vienna del 1988, ratificata dall’Italia con la legge n. 328/90. Questi strumenti sono efficaci ma, nel caso della mafia cinese, il problema è l’infiltrazione, non avendo le forze dell’ordine personale di nascita orientale. V’è, poi, la confisca dei beni in disponibilità diretta o indiretta dei soggetti indiziati di far parte d’associazioni mafiose[50] se vi è pericolo che prima della conclusione del procedimento possano essere alienati o dispersi anche quando siano intestati a terzi. Nel caso, ad esempio, di un’attività imprenditoriale agevolatrice d’interessi mafiosi, purchè si tratti di beni frutto d’attività illecite o che ne costituiscono il reimpiego, la confisca colpisce l’imprenditore terzo, estraneo alla realtà mafiosa propriamente detta, come nel caso d’imprenditori italiani collusi con organizzazioni mafiose cinesi. Lo stesso art. 416 bis c.p. prevede la confisca obbligatoria delle cose che servono o furono destinate alla commissione del reato e di quelle che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o ne costituiscono l’impiego. La confisca penale può anche essere eseguita su cespiti di ricchezza ubicati all’estero, sempre che il territorio d’ubicazione sia di uno degli Stati firmatari la Convenzione di Strasburgo dell’8/11/1990. Allo stato attuale, è convinzione unanime che la strategia vincente di contrasto alla criminalità economico-finanziaria (riciclaggio) debba basarsi su sanzioni penali, civili e politiche regolative dei mercati, soprattutto nella fase d’accesso ai mercati finanziari, intervenendo, cioè, prima dell’occultamento del denaro proveniente da attività illecite. Ciò ha generato la normativa bancaria in materia d’operazioni sospette, con obbligo di segnalazione delle medesime da parte degli operatori bancari, l’Archivio Unico Informatico che consente di individuare le operazioni finanziarie sospette, il G.I.A.N.O.S. (Generatore di Indici di Anomalia di Operazioni Sospette) e con il ddl. N. 374 del 25/9/1999, in recepimento della direttiva U.E. 91/308, l’estensione della normativa antiriciclaggio ad altre attività suscettibili di utilizzazione a fini di riciclaggio tra le quali la gestione di case da gioco, le agenzie di affari in mediazioni immobiliari e le agenzie in attività finanziaria.

La necessità delle organizzazioni criminali cinesi più organizzate, escluse, quindi, le associazioni a delinquere improvvisate, composte da sbandati che organizzano un’estorsione o un sequestro dilettantesco, di eludere gli organi istituzionali, grazie alla globalizzazione dei mercati, le ha indotte ad affinare le tecniche di riciclaggio. Il sistema delle case da gioco clandestine permette di immettere e sostituire denaro liquido di provenienza illecita anche tramite l’abusiva concessione di prestiti ad alti tassi di interesse usurari per finanziare i clienti in perdita. Gli investimenti immobiliari, di cui abbiamo parlato per la zona di Napoli, permettono la garanzia di non riconoscibilità della provenienza del denaro utilizzato per l’investimento oltre alla creazione di veri e propri territori cinesi, una volta espulsi gli abitanti originari, su cui esercitare il proprio controllo. Il ricorso all’acquisto di esercizi commerciali, approfittando anche della difficile situazione finanziaria in cui si possono trovare i precedenti titolari e investendo grosse somme per la loro ristrutturazione, può fornire all’organizzazione criminale fonti di finanziamento illecito illimitate senza dipendere dalle banche. Lo stesso discorso vale per l’acquisto di imprese in stato di dissesto, risanate con l’utilizzo di forza-lavoro clandestina a costo zero. Attraverso le agenzie di viaggio possono essere trasferiti all’estero ingenti capitali, camuffando i movimenti sotto forma di pagamenti o di provvigioni rappresentanti il controvalore delle prestazioni offerte. Strettamente connesso all’imprenditoria cinese è il fenomeno dell’usura sotto forma di prestiti privi della mancanza dei requisiti richiesti dal sistema creditizio per accedere alle forme legali di finanziamento. Si tratta, in genere, di persone che hanno bisogno di denaro per aprire, ad esempio, un ristorante. Sappiamo già della diffidenza dei cinesi nei confronti delle banche e, purtroppo, l’usura rappresenta uno degli strumenti più pericolosi in mano alla criminalità organizzata di qualunque etnia. Essa serve a riciclare i proventi di altre attività illegali, a controllare il territorio e costituisce l’atto preliminare per il compimento di estorsioni che possono portare all’acquisto dell’attività imprenditoriale presa di mira, specialmente se si tratta di piccole imprese come i ristoranti. L’attuale normativa in materia, oltre ad eliminare la distinzione tra usura propria e impropria, ha individuato una soglia legale oltre la quale gli interessi devono essere ritenuti usurari. Essa si ottiene aumentando della metà il tasso effettivo globale medio degli interessi praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari autorizzati, rilevati trimestralmente dal Ministero del Tesoro, sentita la Banca d’Italia e l’Ufficio Italiano Cambi. Secondo la legge n. 108/96, la prestazione non deve necessariamente essere in denaro, ma in qualsiasi utilità e, in base al novellato art. 644 c.p., sono usurari gli interessi, anche se inferiori al limite legale previsto, se sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro, quando, chi li ha dati o promessi si trova in condizioni economiche di difficoltà. Le vittime, qualora si rivolgessero alle forze dell’ordine, ipotesi questa non del tutto probabile per i cinesi, potrebbero usufruire del Fondo di solidarietà per le vittime dell’usura. La criminalità cinese fa uso anche delle società fittizie per non rendere trasparente la provenienza dei capitali impiegati e, in casi di organizzazioni criminali di etnie straniere, è necessario prestare anche attenzione alle società multinazionali che possono trasferire i capitali dalla sfera illecita a quella lecita utilizzando strutture già collaudate. È ancora da segnalare l’utilizzo di Internet che può essere impiegato anche per operazioni di riciclaggio.

Un altro problema che si presenta agli inquirenti quando devono affrontare la criminalità organizzata cinese è quello dell’interpretazione degli atti giudiziari, in base agli art. 109 e 143 c.p.p., nel caso di procedimento che veda come imputato una persona di nazionalità cinese la quale, molto spesso, non è in grado di comprendere la lingua italiana con sufficiente chiarezza ovvero può anche far finta di non comprenderla. Una recente pronuncia giurisprudenziale[51]ha stabilito che, qualora l’imputato straniero mostri, in qualsiasi maniera, di rendersi conto del significato degli atti compiuti con il suo intervento e a lui indirizzati e non rimanga completamente inerte ma assuma iniziative rivelatrici della sua capacità di difendersi adeguatamente, al giudice non incombe l’obbligo di traduzione dell’ordinanza di custodia cautelare emessa nei suoi confronti poiché, nel nostro ordinamento, non è rinvenibile un principio generale da cui discenda il diritto indiscriminato dello straniero a fruire di tale beneficio.

Per concludere, secondo la letteratura criminologica cinese, la criminalità di matrice Zhejiang, come quella che troviamo in Italia, è definita Wutou Wuwei, draghi senza testa e senza coda, organizzazioni in forma minimale composte da individui associati per far soldi alle spalle dei connazionali, nel caso, ad esempio, delle estorsioni. Per quel che riguarda il traffico di clandestini è più ipotizzabile una sorta di fitta rete di accordi di mercato che cambiano a seconda dell’utile, questo perché chi gestisce i migranti dello Zhejiang, per diversità etnica e culturale, non si fida di gruppi come le Triadi cinesi o di Hong Kong molto potenti e troppo pericolose. Se, per questi motivi, non sembra ipotizzabile che le Triadi siano presenti in Italia, non è nemmeno da escludere, come, ripetutamente, sostengono le forze dell’ordine. Si dice anche che siano attivi tre gruppi: Uccello del paradiso, Testa di tigre e Alleanza del Quing Tiam ma che i veri capi sarebbero a Parigi, a Bellevile, nel ventesimo arrondissement che è una sorta di Chinatown da cui le Triadi controllerebbero i cinesi di tutta Europa. Per entrare nell’organizzazione, il rituale dell’adesione consisterebbe nel bere una coppa di vino con sangue del proprio dito. È necessario segnalare anche il fenomeno opposto cioè quello dei criminali italiani specializzati nel rapinare i cinesi, privandoli di soldi e telefonini, approfittando della loro difficoltà nel comunicare, nonché gli episodi di criminalità ad opera di cinesi emarginati (liuman) che colpiscono i connazionali con furti e imbrogli.

L’attività di contrasto alle Triadi cinesi secondo le convenzioni internazionali

Abbiamo visto come il fenomeno delle Triadi cinesi, da consorteria con finalità di lotta politica, si sia trasformato in fenomeno criminale, interno alla Cina. Poi, come, seguendo i flussi migratori, si sia diffuso, in concreto, in buona parte del mondo. Ora, la globalizzazione ha reso il problema ancora più grave poiché, tra le conseguenze dell’unificazione dei mercati, lo sviluppo dei trasporti rapidi e dei sistemi di comunicazione e del commercio internazionale v’è anche quello di permettere alle grandi organizzazioni criminali di trovare nuovi spazi e possibilità di guadagno. Il governo italiano, consapevole di questi cambiamenti, nel 1994, a Napoli, organizzò una Conferenza ministeriale mondiale sul crimine organizzato trasnazionale da cui emerse la necessità di una convenzione internazionale per combattere il fenomeno. Si arrivò così, nel dicembre del 2000, alla Convenzione di Palermo il cui testo si basa sulla proposta di un comitato ad hoc delle Nazioni Unite che, dal 1999, ha studiato il problema ed è arrivato a formulare il testo che poi è stato firmato, unitamente ai Protocolli aggiuntivi[52] da più di centoventi paesi. Essa ha due funzioni principali: quella di predisporre una normativa internazionale sull’argomento e quella, ancora da svilupparsi, d’assistenza ai paesi per il miglioramento dei rispettivi ordinamenti nazionali e delle loro capacità di coordinazione internazionale.

L’art. 2(a) della Convenzione definisce il concetto di gruppo di criminalità organizzata ed è il frutto del confronto tra i delegati di paesi che avevano generato consorterie criminali famosissime e molto potenti e quelli d’altri paesi che non avevano prodotto associazioni criminali di quel tipo. Si è sostenuto, ad esempio, che le Triadi presuppongono una struttura e ruoli molto definiti con diciotto, venti, venticinque qualifiche d’appartenenza differenti ma che, in altri paesi, esistono gruppi criminali altrettanto potenti, meno ramificati e più agili. L’art 2(a) abbraccia, allora, tutte le forme di criminalità organizzata anche le più nuove e pericolose, con legami di tipo etnico, che sfruttano i fenomeni migratori[53]. È interessante rilevare come, fino a quel momento, il crimine organizzato era visto come un problema d’ordine pubblico che riguardava gli Stati nazionali. Ciò non significa che ora si nega il principio di sovranità dei singoli Stati ma che si rafforza integrandolo con gli strumenti di tutela frutto della collaborazione tra più Stati al fine di contrastare delle forme di reato a carattere multiterritoriale quando non addirittura planetario, che hanno in comune la caratteristica di essere a contenuto soprattutto economico, in grado di adattarsi alla globalizzazione. Il fenomeno delle Triadi ha dimostrato, forse prima di altri, d’essere globalizzato perché, fin dall’Ottocento, ha saputo smaterializzare la dimensione spaziale e temporale. La Banca Mondiale ha rilevato che lo sviluppo dei traffici e delle produzioni illegali tra i diversi paesi vede sempre più la presenza d’accordi tra organizzazioni criminali di diversi paesi.

È necessario ricordare, però, come la lotta al crimine trasnazionale[54] trovi, come primo ostacolo, le diversità di scelte in materia di concorso di persone nel reato e di nozione di criminalità organizzata tra i vari Stati[55]. Quindi, occorrerà omogeneizzare la normativa sulle fattispecie criminali e i mezzi di prova a loro relative. La stessa Unione Europea, dopo il Trattato d’Amsterdam, ha stabilito che l’avvicinamento tra la normativa degli Stati debba riguardare, tra gli altri, la criminalità organizzata, la tratta d’esseri umani e il traffico di droga. Purtroppo, una delle pecche della Convenzione è rappresentata dal fatto che essa ignora le frange di professionisti, i colletti bianchi, che facilitano il crimine trasnazionale e che, nel caso delle Triadi, abbiamo visto essere molto attivi nel fiancheggiare l’attività delle consorterie criminali cinesi. Le condotte criminali tipiche di queste grandi organizzazioni non possono essere realizzate senza una struttura imprenditoriale capace di attirare manodopera che, dopo un vero e proprio apprendistato, acquisisce la professionalità necessaria per svolgere attività illegali di questo livello e che può diventare anche un pericolo per i capi che, infatti, sono avari d’informazioni nei confronti dei loro sottoposti da cui pretendono obbedienza cieca ed assoluta. Nel caso dei reati minori, pensiamo alle gang di giovani cinesi in America, i capi non sono più in grado di controllare questi soldati. Si viene a creare una sorta di disorganizzazione del crimine dove accanto a criminali professionisti, si muove una schiera d’opportunisti e disorganizzati.

Le possibilità per il crimine organizzato possono essere ridotte attraverso due principali sistemi: i progetti per evitare la commissione dei reati e la risoluzione dei problemi. Si possono creare delle nuove leggi per colmare le lacune esistenti nella previsione dei reati oppure riprogettare i sistemi finanziari e fiscali per allontanare le interferenze criminali e ridurre le opportunità di sfruttamento illecito. Ad esempio, le banche, la polizia e il governo del Regno Unito hanno elaborato un progetto di lungo termine per ridurre le truffe eseguite tramite carte di credito. È anche vero che i critici ritengono che la riduzione d’opportunità produca semplicemente il trasferimento dei criminali verso altri obiettivi, luoghi, momenti e forme del reato. Un altro punto debole è rappresentato dalla totale mancanza di conoscenza da parte di funzionari di polizia e di magistrati dei sistemi processuali stranieri cosa che impedisce o rende molto complesso comprendere quali aspetti di una transazione apparentemente lecita, siano in realtà illeciti cioè quella che è definita necessità di scoprire e di provare. Il problema è che le grandi organizzazioni criminali come le Triadi sono costruite tenendo conto anche dei sistemi processuali, dei rischi, cioè, che derivano dalla risposta giudiziaria dei singoli Stati. Per condividere, allora, il patrimonio di conoscenze acquisito nel contrastare questi fenomeni, è fondamentale creare le banche dati, sistemi informativi che, però, sono ancora lungi dall’essere perfezionati ed è proprio per questo motivo che è difficile seguire le tracce del denaro illecito, specie quando passa attraverso una serie di società di copertura che impediscono di risalire alle persone fisiche. Un altro sistema può essere quello delle squadre d’azione comune di polizia giudiziaria i cui atti dovrebbero avere valore giudiziario nei vari paesi come se fossero stati compiuti dalle autorità giudiziarie locali.

Nell’ambito della lotta al crimine trasnazionale, ha assunto notevole importanza il problema dell’emigrazione clandestina, sfruttata dalle grandi organizzazioni criminali come le Triadi per ricavare ingentissimi guadagni. Il Protocollo sulla tratta d’esseri umani, oltre a dare per la prima volta delle definizioni chiare del fenomeno[56], riconosce l’importanza delle misure di prevenzione e protezione anche se è necessario ricordare come, molto spesso, gran parte del traffico d’esseri umani a livello mondiale, riguardi specifiche comunità e determinate nazioni. Tuttavia, per la prima volta, il Protocollo non associa più la tratta unicamente alla prostituzione, considera le persone trafficate solo come vittime, distingue fra tratta e immigrazione clandestina e criminalizza i trafficanti. Per quel che riguarda il sud-est asiatico, una convenzione S.A.A.R.C.[57]fornisce una definizione di tratta, ma è esclusivamente applicabile agli Stati dell’Asia del sud, limitatamente alla tratta a fini di prostituzione di donne e bambini, sia entro sia fuori i confini di uno Stato e con o senza il consenso delle persone soggette al traffico. La nozione del Protocollo si applica, invece, tutte le volte in cui il trasferimento di una persona da un luogo ad un altro comprenda anche il suo sfruttamento come nel caso della manodopera cinese utilizzata nei ristoranti e anche se la persona si mette volontariamente nelle mani dei trafficanti, ad esempio nel caso della manovalanza reclutata nelle zone rurali della Cina con l’inganno dalle organizzazioni criminali. Il Protocollo impegna gli Stati ad intraprendere ricerche, promuovere campagne d’informazione pubblica e di sensibilizzazione con iniziative sociali ed economiche al fine anche di scoraggiare la domanda che alimenta tutte le forme di sfruttamento. Il problema è che gli Stati da cui provengono gli emigranti non hanno alcun interesse ad attivarsi per ottenere il loro ritorno e gli Stati di destinazione non ne hanno a garantire loro il livello di protezione previsto nel Protocollo; ad esempio, le Filippine non hanno alcun interesse a bloccare l’ondata di persone che abbandona il paese che, anzi, sono l’unica risorsa di valuta estera della nazione. In molti casi, poi, il denaro fornito per le campagne di sensibilizzazione è utilizzato al fine di finanziare apparati burocratici e amministrativi e non per alleviare le condizioni di povertà.

Se consideriamo il problema del traffico di clandestini gestito da grandi consorterie criminose come le Triadi, non bisogna dimenticare che le persone non sono beni materiali; esse compiono delle scelte, possiedono diritti inalienabili che devono essere tutelati. Un lavoratore cinese, sfruttato per diciotto o venti ore il giorno in una manifattura il cui profitto è incassato dalle Triadi, vede calpestati i diritti umani con la coercizione, gli abusi, i raggiri e il rapimento. Gli Stati non sono ancora in grado di controllare il traffico d’esseri umani gestito dai grandi gruppi criminali; una buona scelta potrebbe essere quella di fornire a chi è intenzionato ad emigrare dei canali alternativi rispetto a quelli gestiti, ad esempio, dalle Triadi, anche se lo sfruttamento dell’emigrazione clandestina da parte dei grandi gruppi criminali sarà inevitabile fino a quando perdureranno i disequilibri del mercato del lavoro nell’economia globale. Infatti, nei paesi sviluppati, dove il tasso di disoccupazione è alto, i clandestini riescono, comunque, a trovare del lavoro, come dimostra il caso dell’emigrazione cinese negli U.S.A. o anche in Italia dove è rarissimo trovarne qualcuno che si possa definire disoccupato. Le norme in materia d’immigrazione, piuttosto restrittive, di molti paesi industrializzati, tra cui l’Italia, unite ad una certa tolleranza per condizioni di lavoro misere e non regolate e, come tali, a basso costo, tendono ad incrementare lo sfruttamento degli immigrati anche in paesi in cui è loro legalmente concesso di risiedere. È necessario ricordare che lo sfruttamento dell’immigrazione clandestina esiste perché i confini sono ormai barriere tra chi offre e chi cerca lavoro. L’attuale mercato del lavoro permette lo sfruttamento del traffico di persone; il mancato rispetto degli standard lavorativi come le restrizioni alla libertà di movimento, i lunghi orari di lavoro, la mancata protezione della salute, il mancato pagamento dei salari e la carenza d’alloggi decorosi favoriscono, come nel caso dell’Italia, il lavoro clandestino. È stato anche dimostrato che sono i grandi investimenti di capitali in attività d’impresa nei paesi industrializzati a favorire il traffico di clandestini da parte delle grandi organizzazioni criminali come le Triadi perché gli irregolari sono preferiti per la loro vulnerabilità, incapacità di protestare, denunciare e richiedere le ispezioni regolamentari.

Oltre la Convenzione di Palermo, la lotta ai grandi gruppi criminali, per quel che riguarda l’Europa, prova a muovere i primi passi sul piano della collaborazione tra Stati. Essa si basa su accordi internazionali, collaborazioni tra organi operativi, il tentativo di armonizzare le legislazioni penali e l’assistenza che i paesi con maggior esperienza nell’attività di repressione forniscono agli Stati di nuova formazione, senza dimenticare gli accordi a carattere bilaterale che hanno ancora un’importanza fondamentale se correlati con quelli a carattere regionale. La lotta alle attività criminali fa parte del Titolo IV del Trattato UE (il terzo pilastro) e si basa sull’elaborazione di convenzioni da sottoporre all’approvazione degli Stati membri, le raccomandazioni, le decisioni quadro e le decisioni che sono atti vincolanti per gli Stati, senza necessità di ratifica.

Nell’ottica di contrasto ad un fenomeno criminale come quello cinese destinato a diventare il più pericoloso del ventunesimo secolo, assumono notevole importanza anche accordi a carattere più limitato come la BSEC[58]. Si tratta di un’organizzazione regionale, istituita nel 1998 che riunisce Stati dell’Europa centro-orientale tra i cui compiti v’è anche quello di combattere il crimine internazionale e il terrorismo e che è stato integrato da un Accordo sulla cooperazione nella lotta al crimine, specialmente organizzato, nel 1998, e con un Protocollo aggiuntivo, nel 2002 che potrebbe risultare molto efficace nella lotta al traffico di stupefacenti e d’esseri umani. È da segnalare l’INCE[59] che studia il fenomeno del crimine organizzato in ogni sua forma e che ha prodotto una Dichiarazione sul crimine organizzato dei Ministri degli Interni, nel 1998, e una Dichiarazione sulla cooperazione giudiziaria e l’armonizzazione legislativa dei Ministri della Giustizia del 2001. La SECI[60] è un foro di cooperazione per gli Stati in via di transizione con gli Stati occidentali in qualità d’interlocutori privilegiati anche se non ne fanno formalmente parte e, al cui interno, è stato istituito un organo per la lotta al crimine trasnazionale[61]. V’è, poi, l’IAI[62], creata nel 2000, di cui fa parte anche l’Italia, che si occupa di lotta all’immigrazione clandestina con la collaborazione tra le forze di polizia, ad esempio con i pattugliamenti congiunti. Occorre ricordare anche la Task-Force on Organised Crime in the Baltic Sea Region, istituita nel 1996, che si occupa di cooperazione operativa tra le forze di polizia e le autorità giurisdizionali con l’elaborazione di manuali[63] e la creazione di squadre investigative comuni. Per contrastare l’utilizzo da parte di grandi organizzazioni criminali come le Triadi dell’area dell’Europa sud-orientale per realizzare grandi profitti con attività illecite, è stata approvata, nel 2000, la SPOC[64] affinché i paesi firmatari possano armonizzare le loro norme penali per il contrasto al crimine organizzato con quelle degli Stati dell’Europa occidentale e, per agevolarne l’attuazione, il Consiglio d’Europa ha creato un programma denominato PACO[65].

Essendo le Triadi un fenomeno nato in Cina, è bene vedere anche quali sono i mezzi che quella nazione usa per contrastarlo. Premettendo che essa ha, da pochi mesi, aderito alla Convenzione di Palermo, occorre analizzare quali mezzi di contrasto alla criminalità organizzata offre il suo ordinamento, tenendo presente che, ora, sono le Triadi di Hong Kong e Macao ad infiltrarsi nelle zone costiere del sud-est della Cina rifacendo, al contrario, il percorso fatto dalle Triadi nel diciottesimo e diciannovesimo secolo, venendo in contatto con consorterie criminose che si sono sviluppate sul suolo cinese. L’apertura della Cina al mondo occidentale, soprattutto all’economia di mercato, ha reso necessarie delle modifiche al Codice penale e a quello di procedura penale, in particolare per ciò che riguarda i poteri della polizia nel contrasto al crimine. Essa ha un amplissimo raggio di competenze, probabilmente più d’ogni altra polizia al mondo. Tra i suoi vari uffici ricordiamo il Bureau of Border Control and Frontiers, il Bureau of Border Control and Frontiers Inspection, il Bureau of Control of Entry and Exit che possono essere usati nel contrasto al traffico di migranti e il Bureau of Criminal Investigation per la lotta al crimine organizzato. Tra i poteri della polizia v’è anche quello di imporre misure punitive e coercitive, amministrativamente, a coloro, sia individui sia organizzazioni, che violano le norme in materia d’offese all’ordine pubblico all’interno del territorio nazionale[66]. Per contrastare un reato, in base alla legge di polizia del 1995, le forze dell’ordine, qualificandosi, possono servirsi di mezzi pubblici e non rispettare le norme del codice della strada. Il Codice penale distingue i reati per i quali è prevista una sanzione criminale e le offese meno gravi, con pene minori quali l’ammonimento, la multa e la detenzione amministrativa da uno a quindici giorni. Attualmente, le organizzazioni criminali cinesi sono composte di criminali incalliti che cercano di internazionalizzare le loro attività appoggiandosi alle grandi Triadi del sud-est asiatico. Il Global Programme against Transnational Organized Crime delle Nazioni Unite del 2002, descrive quali sono i gruppi criminali più pericolosi in Cina. Il Liu Yong Syndicate, strutturato in maniera gerarchica con quarantacinque membri, è coinvolto nel racket e in traffici illeciti di beni e servizi con grande ricorso alla violenza e alla corruzione, il traffico di migranti, la prostituzione, le bische clandestine. È, però, un gruppo operante nel nord-est della Cina, con membri esclusivamente della provincia di Liaoning, quindi non si ritiene strettamente collegato alle Triadi. Inoltre, il suo capo, Liu Yong è stato arrestato e il gruppo avrebbe ora cessato ogni attività. Il Zhang Wei Syndicate, opera nella provincia dello Zhejiang, soprattutto nella città di Wen Ling. Era un gruppo a struttura gerarchica con centottantaquattro membri di cui sessantasette facenti parte del Partito Comunista, provenienti dalla stessa regione. Si occupava di traffico di migranti, prostituzione, gioco d’azzardo. IL suo leader, Zhang Wei, si era creato una rilevante posizione politica, a livello locale, prima di essere arrestato e condannato a morte, nel 2001. Il Liang Xiao Min Syndicate era coinvolto nel gioco d’azzardo, nelle estorsioni e nella prostituzione e operava nella città di Chang Chin, nel nord-est della Cina. Era riuscito ad inserirsi molto bene nel tessuto economico della società, corrompendo molti politici locali Il suo capo Liang Xiao Min, era un ufficiale di polizia di Chang Chin e i membri erano tutti provenienti dalla stessa regione. L’organizzazione aveva delle regole che potevano ricordare quelle delle Triadi come l’obbligo di dire la verità al capo e l’impossibilità di lasciare l’organizzazione. Se un membro violava una delle regole, le punizioni erano varie, dal taglio di un dito alla rottura delle gambe secondo la gravità dell’infrazione. Nel 2000, i sette capi sono stati condannati a morte. È anche da ricordare la Fuk Ching, a struttura gerarchica, coinvolta nel traffico di clandestini, caratterizzata dal ricorso alla violenza sia all’interno sia all’esterno e che godrebbe d’appoggi politici in Cina. Questa consorteria contrabbanda clandestini cinesi negli U.S.A. dalla provincia di Fujiam ed è anche coinvolta nel traffico di droga, nella prostituzione e nel riciclaggio di denaro. A New York comprende trentacinque membri maschi e venti in prigione. Negli Stati Uniti sarebbe stata fondata, negli anni 1980, da alcuni emigrati cinesi con precedenti penali. Si basa sulle regole delle Triadi tra cui il divieto dell’uso di droga per i suoi membri, e chi contravviene alle stesse è punito anche con la morte. Questa Triade avrebbe collegamenti con altri gruppi criminali a Hong Kong e in Cina Questo tipo d’attività criminose è contrastato dal CID (Criminal Investigations Division) ma l’ordinamento cinese non prevede forze di polizia o magistrati specializzati nel combattere il crimine organizzato come si possono trovare in Italia o negli U.S.A.

Per concludere, il fenomeno delle Triadi, nato com’espressione di rivolta politica interna alla Cina, si è, poi, evoluto in senso criminale e, dal sud-est cinese, è stato esportato in tutto il mondo a causa di successive ondate migratorie. Con il progresso tecnologico del ventesimo secolo, ha assunto caratteristiche sempre più ricercate perchè dalle rapine e dalle estorsioni si è evoluto verso il traffico di droga, di clandestini, la contraffazione di beni e il riciclaggio di denaro. La globalizzazione gli offre, ora, nuovi spazi di manovra e possibilità di guadagni immensi. Probabilmente, però, con il passare degli anni, le Triadi hanno perso le peculiarità esoteriche che ne hanno caratterizzato gli inizi, diventando un fenomeno più imprenditoriale, sebbene ancora molto ancorato alle comunità cinesi. Nel corso del ventunesimo secolo, anche per via dei legami intrecciati con la classe dirigente di Pechino, tenendo presente che, con la liberalizzazione dei mercati, la Cina è destinata a diventare una superpotenza, potrebbe diventare il fenomeno criminoso più pericoloso del mondo, per affrontare il quale sarà necessaria una preparazione specifica, che, a tutt’oggi manca, da parte delle organizzazioni internazionali, delle forze dell’ordine, dei magistrati e un’intensificazione della collaborazione, sul piano giudiziario tra i singoli Stati.

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[1] Sul paragone tra Massoneria e Tiandihui, cfr. Massimo Introvigne, “L’interpretation des sociétés secrétes chinoises entre paradigme ésotérique, politique et criminologie”, relazione presentata al XXVIImo Convegno della SISR – Società Internazionale di Sociologia delle Religioni (Torino, 22 luglio 2003).

[2] Secondo Milne, la società si chiamava Sun Hoh Hwui (la Società dei tre uniti cioè Tien, Ti, Jiu, cielo, terra, uomo, i tre poteri in natura). Il nome si sarebbe poi evoluto in Tien Ti Hwui (la Società del cielo e della terra). Il nome con cui i membri della società si distinguevano tra loro era Hung Kià (la Famiglia del diluvio).

[3] M. Introvigne, rel. cit.

[4] Tra i nomi utilizzati per indicare le Triadi: La Società della Gloria e dello Splendore, le Giacche bianche, le Spade corte e gli Uccelli rossi.

[5] Si trattava dei Selus, una tribù tartara.

[6] M. Introvigne, rel. cit.

[7] Nel 1843 c’erano solo 143 poliziotti per una comunità cinese di 32.132 persone. Le autorità dovettero ricorrere anche all’esercito. Il problema era quello dei bassi stipendi e della mancanza di motivazioni del personale di polizia. Inoltre gli ufficiali avevano scarsa conoscenza della lingua, degli usi e dei costumi cinesi.

[8] Il più giovane componente conosciuto ha nove anni.

[9] Da notare l’uso di tatuaggi distintivi con simboli esoterici. Essi vengono sfoggiati orgogliosamente anche davanti alla polizia.

[10] Ad esempio, negli anni 1970, le autorità di Singapore, al fine di combattere il traffico di droga, avevano promosso una campagna denominata Operation Ferret, concentrandosi, soprattutto, sul ricupero dei tossicodipendenti.

[11] Con l’Emergency Ordinance del 1969, però, il Ministro degli Interni può disporre la detenzione di una persona per non più di due anni se è considerata pericolosa per l’ordine pubblico.

[12] Il Dangerous Drugs Act del 1952, più volte emendato, ha stabilito la punibilità del possesso, importazione, esportazione, coltivazione e traffico di cannabis, oppio e coca. Un emendamento del 1983 ha autorizzato la polizia e i doganieri ad aprire i pacchi postali e le lettere e ad intercettare le comunicazioni telefoniche e telegrafiche. Inoltre stabilisce che se una persona è trovata in possesso di 15 o più grammi di eroina o morfina e di 1 o più grammi di oppio è considerata un trafficante di droga finchè non prova il contrario. Viene prevista la pena di morte per chi traffica droga e, dal 1986, la fustigazione delle persone trovate in possesso di piccole quantità di sostanze stupefacenti.

[13] Nel 1969 è entrata in vigore la Dangerous Drugs Ordinance che prevede, per il traffico di droga, la pena dell’ergastolo e la multa di cinque milioni di dollari di Hong Kong. Il possesso, l’uso e il consumo di droga sono considerati reati. Inoltre, sono previsti programmi di disintossicazione obbligatori per i tossicodipendenti condannati per qualche reato.

[14] Le principali Triadi presenti a Taiwan sono: la Sung Lian, composta da alcune centinaia di membri, immigrati di seconda e terza generazione che controlla centri per i massaggi, bordelli ed usura, la Tian Dao Man con alcune centinaia di membri, nativi Taiwanesi dediti all’usura e al controllo della prostituzione, la Four Seas, con più di duemila membri che controlla le costruzioni, i servizi di sicurezza, la prostituzione e la riscossione dei debiti e la United Bamboo con diecimila membri, attiva nell’usura, nelle costruzioni, nei servizi di sicurezza, nei ristoranti e nella prostituzione, con un codice d’onore molto rigoroso che impone agli affiliati, ad esempio, in caso d’arresto, di farsi carico di tutte le colpe per non coinvolgere i fratelli.

[15] Dopo il 1997, molti esponenti delle Triadi di Hong Kong si sarebbero trasferiti negli Stati Uniti entrando in contrasto con le Tongs che ritengono di essere state aggredite nel loro territorio.

[16] Oltre alla Sun Yee On, ci sono la Wo (ventimila membri), la 14K (ventimila membri), la Luen (ottomila membri), la Tung (tremila membri) e la Big Circe composta da ex appartenenti all’armata rossa cinese fuoriusciti ad Hong Kong.

[17] Organised Crime Intelligence Unit.

[18] Grazie alla collaborazione della polizia di Hong Kong, furono scoperti a Cape Town membri della 14K e della Wo Shing Wo. A Cape Town furono arrestati membri della Triade taiwanese Table Mountain Gang.

[19] Wo Shing, San Yee On, 14K Hau, 14K Ngai.

[20] Si occuperebbero del contrabbando d’abalone, armi, pinne di squalo, gioco d’azzardo e prostituzione.

[21] South African Police Service.

[22] Il 10 gennaio 2001 sono state sequestrate, a Durban, in un magazzino, un milione di tavolette di mandrax, provenienti dalla Cina.

[23] La 14K opererebbe a Sydney e Melbourne. Vi sarebbero, poi, la Sun Yee On, la Wo Yee Tong, the Big Circle e la Wo Shing Wo.

[24] I Cinesi chiamavano gli Stati Uniti Jinshan, la Montagna d’oro, un luogo dove le strade erano lastricate d’oro e dove ritenevano che ognuno potesse far fortuna.

[25] La parola tong in pinyn è dang come l’ultima sillaba in Guomindang e significa loggia.

[26] Tra le difficoltà che deve affrontare la polizia, v’è quella relativa all’identificazione dei criminali. Lo stesso nome può essere scritto e pronunciato in modi diversi a seconda della regione di provenienza.

[27] La D.E.A. ha istituito un gruppo speciale per combattere i trafficanti di droga cinesi: D.E.A.’s Chinese Crime Task Force Group 41.

[28] Il servizio doganale statunitense e la polizia di New York hanno creato il KANSU (Kennedy Airport Narcotic Smuggling Unit) per contrastare l’introduzione di droga in U.S.A. dall’aeroporto Kennedy. La polizia di New York ha anche creato il NITRO (Narcotic Investigaton and Tracking of Recidivist Offenders) che svolge attività di intelligence, grazie ad un database aggiornatissimo su tutti i criminali coinvolti in reati relativi alla droga.

[29] Il termine è la traslitterazione anglosassone di una parola urdu che significa fiducia.

[30] Per esempio, nel 1990, Johnny Kyong fu condannato per essere coinvolto in un traffico di droga a New York. Si sarebbe servito di una società venezuelana per depositare il denaro a Hong Kong e, da lì, utilizzando l’Hawalla, detto anche fie chien o Asian Underground Banking System, avrebbe spostato i fondi a Burma e in Tailandia per l’acquisto di ulteriori quantità di droga. Nel Maggio del 1996, i fratelli Singh furono condannati per aver riciclato circa cinque milioni di dollari in un caso di traffico di droga e di clandestini. Essi utilizzarono una serie di depositi bancari, a loro nome, di entità troppo esigua per essere controllati dal sistema bancario tradizionale. Con Hawalla, il denaro fu poi trasferito in conti esteri.

[31] La Gang Task Force raccoglie informazioni sulle gangs, ha un archivio con i nomi e i soprannomi dei membri, fotografie, date di nascita, nomi delle bande, numeri di targa e tipi di auto usate. All’interno del Manhattan District Court opera la Oriental Gang Unit o Jade Squad, composta di pochi membri esperti in violenze di bande che lavora in stretto collegamento con l’assistente del Procuratore Distrettuale che si occupa dei casi legati alle gangs. È bene ricordare che unità di questo genere possono ottenere validi successi solo se agiscono in collaborazione con i servizi sociali.

[32] Il Californian Bureau of Organized Crime and Criminal Intelligence considera, attualmente, la Wah Ching il più organizzato gruppo criminale californiano con collegamenti con la mafia di Hong Kong.

[33] Per R.I.C.O. si intende il Titolo IX dell’Organised Crime Control Act del 1970 e che è stato preso a modello anche da altri stati per creare norme di contrasto al crimine organizzato.

[34] La polizia di New York ha attivato il R.I.P. (Robbery Identificaton Program) che si occupa di estorsioni e rapine nella comunità cinese.

[35] Il codice d’onore originario delle Triadi si basa sul concetto di lealtà e giustizia, sul divieto di commettere furti e violenze nei confronti dei poveri, su quello di non usare droghe o essere coinvolti nel traffico di droga. Inoltre è vietato usare violenza nei confronti delle famiglie dei rivali mentre è ammessa la vendetta nei confronti di colui che ha commesso un torto. Occorre sottolineare come non bisogna usare violenza nei confronti dei poliziotti né collaborare con loro.

[36] Chinese Consolidated Benevolent Association of America.

[37] Via Paolo Sarpi a Milano mentre, ad esempio, a Napoli nel quartiere tra via Carriera Grande e via Poerio.

[38] In tutta Europa sono stati creati le Huaquiao, associazioni legali di protezione degli immigrati basati su una forte coesione etnica. In Italia ne sono state create venti con scuole di cinese e mandarino. Inoltre sono stampati due quotidiani cinesi a diffusione nazionale. La Repubblica popolare cinese ha istituito un apposito Ufficio degli Affari Huaquiao.

[39] La prima è stata nel 1982 ed era di carattere amministrativo per offrire un permesso di lavoro a tutti gli stranieri in grado di provare di essere stati in Italia nei due mesi precedenti e di aver lavorato. Attraverso i provvedimenti legislativi del 1986-1988, 1990, 1995-1996, 1998, si è arrivati alla sanatoria del 2002 che prevede la legalizzazione di domestiche e badanti e dei lavoratori dipendenti in base alla l. 189 del 30/7/2002.

[40] Ddl. n. 286 del 25/7/1998, art. 14.

[41] Oltre a queste, le principali rotte dei clandestini cinesi sono: Hong Kong-Bucarest-Roma, Shanghai-Roma, Cina-Russia-Repubblica Ceca-Milano, Cina-Romania-Austria-Italia, Cina-Albania-Brindisi.

[42] Cass. Pen., Sez. fer., 10/8/2000, La Giust. Pen., 2001, II, 534.

[43] Corte d’Assise di Pavia, 23/7/2001, Riv. di Dir. e Proc. Pen., III, 2001

[44] Cass. Pen., Sez. V, 12/7/2002, n. 26636, Riv. Pen., V, 2003.

[45] Cass. Pen., Sez. I, 7/1/2003, n. 21, Riv. Pen, III, 2003.

[46] Cass. Pen., Sez. III,23/1/2003, n. 3162.

[47] Un esempio recente riguarda un sequestro record compiuto dalla Guardia di Finanza il 5 maggio del 2003, all’aeroporto Leonardo da Vinci di Roma, di duecentomila trottole ed accessori con il falso marchio Bey Blade, per un valore di circa due milioni d’euro che erano stati portati in Italia con voli cargo dalla Cina per essere distribuite nei negozi del centro e del sud a commercianti di nazionalità cinese, vista l’introvabilità delle trottoline originali, molto ambite dai bambini e giacché quelle contraffatte erano uguali alle originali.

[48] Si parla di costo di cooperazione con la mafia a proposito di quella siciliana ma il discorso può valere anche per quella cinese.

[49] Cass. Pen., Sez. VI, 11/1/2000, La Giust. Pen., 2001, II, 482.

[50] Art. 2 ter legge n. 575/65.

[51] Tribunale di Palermo, ordinanza 24/9/2001, n. 1431.

[52] Il primo riguarda il contrasto al traffico di persone, in particolare donne e bambini; il secondo la lotta all’emigrazione clandestina; il terzo la produzione e il traffico illecito di armi da fuoco.

[53] L’art. 2(a) definisce gruppo criminale organizzato un gruppo composto da tre o più persone, creato allo scopo di commettere uno o più di quelli che la Convenzione definisce serious crimes, per ottenere, direttamente o indirettamente, un vantaggio finanziario o materiale. In base all’art. 2(b) per serious crime si intende un reato punibile con almeno quattro anni di reclusione. Inoltre, sono individuati quattro figure delittuose: la partecipazione ad un gruppo criminale, art. 5, il riciclaggio di denaro, art.6, la corruzione, art.8, e l’ostacolo alla giustizia, art.23, che sono comunemente usati a sostegno dell’attività di un gruppo di criminalità trasnazionale.

[54] Secondo la Convenzione, un reato è di natura trasnazionale quando è commesso in più di uno Stato; quando è commesso in uno Stato, ma una parte sostanziale della sua preparazione, direzione o controllo avviene in un altro Stato; se è commesso in uno Stato, ma in esso è implicato un gruppo criminale organizzato che è impegnato in attività criminali in più di uno Stato; se è commesso in uno Stato, ma ha effetti sostanziali in un altro Stato.

[55] Ad esempio, l’art. 5(b) prevede l’incriminazione dell’atto di consigliare la commissione di un serious crime che coinvolge un gruppo criminale organizzato. L’espressione, molto generica, sembrerebbe far riferimento ad un reato di pura opinione, punibile, nel nostro ordinamento,a titolo di concorso morale, solo qualora ne ricorrano gli altri presupposti previsti dalla legge ma che sarebbe, altrimenti, estraneo ai nostri principi costituzionali in materia penale.

[56] Secondo l’art.3(a) del Protocollo per prevenire, sopprimere e punire il traffico di persone, questo fenomeno comprende il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l’imbarco o la ricezione delle persone, attraverso l’uso delle minacce o della forza o di altre forme di coercizione o di sequestro, di frode, d’inganno, di abuso di potere o della loro vulnerabilità, ovvero dando o ricevendo denaro o altro beneficio per ottenere il consenso di chi ha il controllo su altra persona, a scopo di sfruttamento. Lo sfruttamento deve includere almeno lo sfruttamento dell’attività sessuale, il lavoro o i servizi forzati, la schiavitù o pratiche similari, l’asservimento e la rimozione di organi.

[57] South Asian Association for Regional Cooperation.

[58] Black Sea Economic Cooperation.

[59] Iniziativa Centro-Europea con la presenza di Italia, Austria e Stati dell’area centro-orientale europea.

[60] Southeast Europe Cooperation Iniziative.

[61] Si tratta del Centro regionale per la lotta al crimine transfrontaliero, dotato di personalità giuridica e operante come un’organizzazione internazionale.

[62] Iniziativa Adriatica e Ionica.

[63] Ad esempio il Baltic Sea Manual on Money Laundering and Asset Tracing.

[64] Stability Pact Iniziative Against Organised Crime in South-Eastern Europe.

[65] Programme Against Corruption and Organised Crime.

[66] Regulations Governing Offences against Public Order in Peoplès Republic of China (RGOPO).

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