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Il fango separato dal pesce

Nota di Massimo Introvigne sul libro di Emmanuel Milingo, Il pesce ripescato dal fango. Conversazioni con Michele Zanzucchi, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2002

Nota (aprile 2007): Questa recensione risale al momento della pubblicazione del libro (2002). Dopo il suo abbandono della Chiesa cattolica nel 2006, Milingo ha dichiarato ripetutamente – come riferito da ultimo da Peter Manseau in una lunga intervista apparsa sul Washington Post (“A Marriage Made in Heaven?”, 11 marzo 2007) che Il pesce ripescato dal fango “non contiene le sue parole” ma sarebbe il risultato di “uno sforzo di pubbliche relazioni orchestrato dal Vaticano”.


Molto atteso, il libro in cui Mons. Emmanuel Milingo, il popolare vescovo cattolico – nato in Zambia ma residente da anni in Italia – che il 27 maggio 2001 ha conquistato le prime pagine dei giornali di tutto il mondo facendosi unire in matrimonio con la dottoressa coreana Maria Sung dal reverendo Sun Myung Moon, leader del movimento dell’Unificazione, offre la “sua” verità su quegli eventi e sul suo successivo ritorno alla piena comunione con la Chiesa cattolica costituisce insieme una fonte di informazioni utili, un singolare esempio di reticenza, e un’occasione perduta. Ciascuna delle tre valutazioni può fare discutere e deve essere, sia pure brevemente, spiegata.

Contrariamente a quanto sembra pensare il movimento dell’Unificazione, che ha attaccato il volume con critiche piuttosto vivaci, il testo – grazie alla parte più apprezzabile del lavoro del giornalista Michele Zanzucchi – non manca di offrire più di una informazione utile. Ci dice molto, anzitutto, sullo stato psicologico di mons. Milingo e conferma quanto molti avevano intuito: la scelta del 27 maggio 2001 può essere spiegata anzitutto come protesta clamorosa di fronte al disagio di un vescovo che si sente “perseguitato” dalla sua stessa Chiesa, e che sempre più soffre per la disapprovazione di tanti confratelli, particolarmente in Italia, di fronte a una spiritualità africana fatta di suoni e di colori. La frequenza quasi ossessiva con cui mons. Milingo ritorna sul suo bisogno di cantare, e sullo stupore di fronte alle critiche ricevute in seguito alle sue pubbliche esibizioni canore, è – al riguardo – a suo modo indicativa. In questo senso, quanto è avvenuto deve essere interpretato anzitutto come un clamoroso (qualcuno dirà sproporzionato) gesto di protesta. Certo, Zanzucchi – che appare legato a stereotipi sulle “sette” un po’ datati, e che, a fronte di una vastissima letteratura scientifica sul movimento dell’Unificazione, sembra avere letto soltanto un paio di fonti “anti-sette”, e neppure delle più informate – tanto fa che riesce, non al primo tentativo, a far dire a mons. Milingo che “forse fu oggetto di una sorta di lavaggio del cervello” (p. 47) e che “non [può] escludere con sicurezza” (si noti la formula) di essere stato “drogato o ipnotizzato” –, anche se subito dopo precisa: “Io penso piuttosto di essere stato convinto dalla loro predicazione” (p. 41, corsivo mio). Tuttavia, se proprio si volesse chiamare in causa la letteratura anti-sette sul lavaggio del cervello, sarebbe assai più facile ricondurvi la descrizione che mons. Milingo fa di quanto gli accade appena rientrato in Italia a opera di due suoi “seguaci”: la pittrice Alba Vitali e il commerciante Maurizio Bisantis. A proposito della pittrice, il prelato lamenta “il modo deciso e brusco di trattarmi, quasi fossi un ragazzino” (p. 52); altrove parla delle “pretese dei miei presunti amici” (p. 53) e si descrive come quasi rapito e sballottato per l’Italia senza neanche sapere bene dove lo si stesse portando. Attraverso questi brani traspare – ed è un contributo importante del libro – come il duo Vitali-Bisantis non rappresenti (anche qui, contrariamente a una rappresentazione diffusa nelle reazioni del movimento dell’Unificazione) la longa manus della Chiesa cattolica o del “Vaticano”, ma agisca di sua iniziativa perseguendo una sua strategia, che sembra essere quella di allontanare sì mons. Milingo dal movimento dell’Unificazione, nello stesso tempo però facendo emergere pubblicamente le sue critiche alla gerarchia ecclesiastica per le precedenti “persecuzioni”.

 

Veniamo alle reticenze. Mons. Milingo afferma in esplicito a proposito del movimento dell’Unificazione che “non sapevo granché di loro” al momento di avviarsi al matrimonio, e che al massimo aveva “sentito dire (…) di quei matrimoni di massa” (p. 36). Il prelato lascia anche dire a Zanzucchi (dal momento che dovrebbe avere rivisto il volume, scegliendone perfino il titolo) che egli “comincia” ad accostarsi al movimento del reverendo Moon solo ai primi di maggio del 2001 (p. 9). Quest’ultima affermazione non è certamente precisa: è al contrario certo che mons. Milingo non solo conosceva il movimento dell’Unificazione da anni, ma già due anni prima era stato censurato dai vescovi cattolici della Corea per avere partecipato pubblicamente, dal palco dei celebranti, il 7 febbraio 1999, al più grande dei “matrimoni di massa” del reverendo Moon allo Stadio Olimpico di Seoul, di cui quindi non aveva semplicemente “sentito dire”. C’è poi l’affermazione secondo cui Mons. Milingo avrebbe conosciuto la dr.ssa Maria Sung solo poco prima del matrimonio, per cui era stata scelta per lui dal reverendo Moon (secondo una prassi comune, ma non obbligatoria, nel movimento dell’Unificazione). La questione è delicata, ed è stata posta ripetutamente dalla stampa, anche quella più seria, nei convulsi giorni dell’estate 2001. Tutto quello che si può dire è che una voce ricorrente (ancorché non “ufficiale”) nel movimento dell’Unificazione vuole che mons. Milingo e Maria Sung (che viveva a Napoli) si conoscessero già precedentemente, e che il prelato abbia in qualche modo influenzato, se non richiesto, la scelta del coniuge da parte del reverendo Moon. Le questioni del genere “lui dice, lei dice” sono certamente terreno più adatto alla stampa “rosa” che agli studiosi (e per capire quello che dice per davvero Maria Sung si dovranno attendere le sue annunciate memorie); tuttavia, questo aspetto della vicenda non è neppure semplicemente irrilevante, dal momento che è sempre apparso curioso come il reverendo Moon avesse potuto scegliere, proprio per una vicenda prevedibilmente destinata a grande eco mediatica in Italia, una signora che risultava già sposata non in Corea ma a Napoli, circostanza che qualche intraprendente giornalista avrebbe prima o poi certamente scoperto (come in effetti è avvenuto). Di fronte a queste zone d’ombra, appare per dire il meno sconcertante l’affermazione di mons. Milingo secondo cui attraverso il matrimonio si proponeva di trovare “nuovi discepoli in questa vastissima associazione” (il movimento dell’Unificazione, che poi proprio “vastissimo” non è, tanto più fuori dell’Asia), “un’immensa folla da evangelizzare” (p. 48). Con questa affermazione contrasta, in realtà, la nota “complottista” che è quanto del libro ha più impressionato molti recensori, e cioè che il movimento dell’Unificazione intendeva fondare in Africa “una Chiesa cattolica parallela, autonoma da Roma, con una propria gerarchia (…). Io sarei stato a capo della nuova Chiesa” (p. 50). In che cosa una Chiesa in qualche modo cattolica, ancorché scismatica, sarebbe servita al movimento dell’Unificazione non è particolarmente chiaro, tanto più che – proprio con il passaggio da Chiesa a movimento – l’organizzazione del reverendo Moon non appare più tanto interessata negli ultimi anni a reclutare discepoli in proprio quanto a sviluppare un progetto culturale, in ordine al quale l’ultima cosa di cui potrebbe avere bisogno è uno scontro frontale con la Chiesa cattolica, inevitabile se ne promuovesse scismi, in Africa o altrove. D’altro canto, rimangono certamente zone d’ombra anche quanto alle motivazioni ultime di chi si è occupato della vicenda Milingo nell’ambito del movimento dell’Unificazione: se l’intenzione (come io stesso ho sentito affermare, in privato, da ambienti unificazionisti) era quella di aprire un dialogo con ambienti del mondo cattolico, la gestione è stata disastrosa, e l’esito è stato esattamente il contrario. Anzi, il caso Milingo ha ridato vigore a un movimento “contro le sette” cattolico, in Italia e altrove, che da anni appariva in difficoltà ed era seguito dalla gerarchia, al più, con un occhio benevolo ma distratto.

 

In terzo luogo, il libro è un’occasione perduta. Merito di Zanzucchi è affermare senza reticenze “un’ultima nota doverosa: la dottrina del rev. Moon aveva realmente affascinato Mons. Milingo. È questo un elemento fondamentale per capire quanto successe nel 2001” (p. 46). Il punto di partenza è ottimo, ma va perduta l’occasione di chiedersi perché. Dal libro di Zanzucchi – e da quasi tutte le ricostruzioni giornalistiche e commenti di ambienti cattolici alla vicenda Milingo – sembra che i problemi fra il prelato dello Zambia e un buon numero di suoi confratelli vescovi cattolici fossero esclusivamente di ortoprassi: guarigioni, esorcismi, rituali compiuti in modo disordinato e talora senza l’autorizzazione dell’ordinario diocesano. Non sarebbe inopportuno però chiedersi se non ci fossero anche problemi di ortodossia. Da nessuna parte si sono lette analisi pertinenti degli scritti di mons. Milingo dell’epoca precedente alla crisi del 1991: l’analisi è tutta da fare, ma vi si troverebbero spunti, per esempio, in ordine ad attese millenaristiche su una “venuta intermedia” di Gesù Cristo, e a un certo tipo di demonologia che spetta ai teologi studiare più attentamente ma in cui lo studioso di scienze sociali non può mancare di riscontrare somiglianze con le idee di ambienti evangelical la cui dottrina non è certamente identica a quella del reverendo Moon, ma caratterizza tutto un milieu dove si sono formati sia il predicatore coreano, sia molti dei suoi principali collaboratori e seguaci. In questa chiave, meriterebbe di essere esplorata anche la collaborazione di mons. Milingo, sfidando messe in guardia delle autorità cattoliche, con l’Associazione Madonna di Fatima del padre Nicholas Gruner, più volte condannata dalla Santa Sede, e in occasione di un cui congresso del 1996 il prelato africano aveva lanciato inquietanti accuse su presunte infiltrazioni di satanisti nella Chiesa cattolica, poi puntualmente riprese nella fase seguita al matrimonio con Maria Sung. Di tutti questi argomenti il testo non fa cenno, ed è certamente un peccato: non per rigirare il coltello in una piaga che attiene alla vicenda personale e umana di mons. Milingo, ma per capire meglio come sia potuta accadere: è questo lo scopo dichiarato del volume, e il risultato è conseguito solo in parte.

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