Harry Potter

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Tra fondamentalismo e magia: la strana controversia su Harry Potter

Massimo Introvigne

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Relazione presentata il 31 maggio 2002 al convegno “Trovare Dio in Il Signore degli Anelli e in Harry Potter” organizzato dal Centro Studi Oriente Occidente presso la Sala del Rettorato dell’Università di Ancona. Versione preliminare; la versione definitiva apparirà negli atti del convegno, in preparazione; per informazioni: Centro Studi Oriente Occidente.

 

Per lo studioso di scienze sociali, la vera notizia non è il successo di Harry Potter ma l’attacco contro Harry Potter, dove si incontrano due strange bedfellows, o strani compagni di viaggio: l’attacco, tipico di una certa sinistra elitaria e snobistica, alla cultura popolare; e la manifestazione aperta, per la prima volta in Italia, di idee fondamentaliste che filtrano in alcune frange cattoliche dal fondamentalismo protestante di lingua inglese e che fino a oggi non avevano avuto, nel mondo cattolico, grande successo. Esaminiamo separatamente i due attacchi.

 
Harry visto da sinistra: gli epigoni della scuola di Francoforte

 

Per una certa critica di sinistra, oggi vestita di panni no global, il fenomeno Harry Potter rappresenta l’ennesimo tentativo di manipolare le masse – e tanto più i bambini – offrendo loro prodotti anglo-americani che ultimamente educano a valori di tipo reazionario e capitalistico. La critica non è nuova, anzi è così vecchia che sembrava passata di moda.

 

Nella sua versione moderna, il dibattito sulla cultura popolare[1] nasce con una domanda piuttosto difficile cui gli studiosi di scienze sociali tedeschi degli anni 1930, nella grande maggioranza più o meno marxisti, non riuscivano a rispondere facilmente. Secondo la teoria marxista il nazismo avrebbe dovuto reclutare soprattutto borghesi, impegnati a difendere i loro interessi di classe. Invece, era sufficiente aprire le finestre per rendersi conto che molti degli attivisti nazisti che sfasciavano le finestre degli istituti dove lavoravano quegli studiosi venivano dal mondo operaio o in genere dai ceti più disagiati. Com’era possibile? Intorno al tentativo di rispondere a questo quesito nasce una collaborazione fra psicanalisti freudiani – in particolare Paul Federn (1871-1950) e i giovani Erich Fromm (1900-1980) e Wilhelm Reich (1897-1957) – e studiosi di teoria politica (tra cui Max Horkheimer, 1895-1973, e Theodor Wiesegrund Adorno, 1903-1969), che è alle origini dell’Istituto per la Ricerca Sociale di Francoforte, cioè della Scuola di Francoforte. Questi studiosi elaborano un modello in tre parti che dovrebbe spiegare coma nasce la «personalità autoritaria». Alle origini c’è la repressione sessuale nell’infanzia, che fissa l’individuo nelle fasi orale e anale impedendo l’ordinato passaggio alla fase genitale. Tale repressione – che è precisamente più diffusa nei ceti disagiati – prepara al sadismo e al masochismo anche nelle loro versioni ideologico-politiche: masochismo come sottomissione al capo, sadismo come violenza verso gli oppositori. In secondo luogo, la personalità autoritaria – già preparata dalla repressione infantile – è coltivata da una manipolazione culturale operata da tre agenzie: la religione (nei cui confronti sono riprese le critiche freudiane, anche se più tardi Fromm distinguerà fra una variante autoritaria della religione e una «umanistica»), gli slogan patriottici che riducono la politica a uno schema rozzo di opposizione fra «noi» e «loro», e la cultura popolare (ben prima di Harry Potter, sono presi di mira soprattutto i romanzi western venduti a pochi marchi e diffusi fra gli operai in Germania). In terzo luogo – certo, senza una consapevolezza né uno studio scientifico – la propaganda autoritaria si inserisce su questa preparazione e manipola ulteriormente l’individuo reclutandolo come militante nazista.

 

Prima della Seconda guerra mondiale questi studiosi – tutti oppositori del regime, e quasi tutti ebrei – sono costretti a emigrare negli Stati Uniti, dove ricostruiscono l’Istituto per la Ricerca Sociale di Francoforte alla Columbia University di New York. Qui le loro ricerche godono di finanziamenti e appoggi del governo americano, il quale però – a guerra finita – chiede loro di concentrarsi non tanto su come nasca la personalità autoritaria nazista (che ormai non sembra più un pericolo) quanto quella comunista. Alcuni studiosi – essi stessi comunisti – rifiutano. Altri collaborano con teorici del totalitarismo che erano anch’essi espatriati dall’Europa di lingua tedesca, come Hannah Arendt (1906-1975) e Carl Friedrich (1901-1984) in iniziative come il Progetto di Berkeley (1949-1950) e la Conferenza di Boston (1953), le quali producono una versione rivista del modello, legata in particolare al nome di un ulteriore espatriato, lo psicanalista austriaco Erik Homburger Erikson (1902-1994). Rimane fermo il primo stadio del modello (la repressione sessuale nell’infanzia), sia pure con qualche distinguo. Quanto al secondo stadio, certo tenendo conto anche di quanto l’opinione pubblica e l’ambiente culturale americano erano disposti ad accettare, si precisa che non tutta la religione prepara all’adesione al totalitarismo, ma solo quella definita come «fondamentalista» o «settaria»; non tutta la cultura popolare, ma solo quella rozza e di bassa lega (l’industria cinematografica, potentissima negli Stati Uniti, è ampiamente risparmiata e si attaccano piuttosto la letteratura per l’infanzia ad alte tirature e i fumetti, i comics); non tutte le forme di patriottismo e di nazionalismo, ma solo quelle spurie come il nazismo o il comunismo. I nemici diventano quelle che potremmo chiamare le tre C: i cults (la parola inglese equivalente funzionalmente a «setta»), i comics e i comunisti. Quanto – è il terzo stadio del modello – alla descrizione della manipolazione totalitaria, essa si concentra tramite gli studi, finanziati dal governo americano, di due allievi di Erikson peraltro di idee politiche piuttosto diverse tra loro, entrambi viventi, Robert Jay Lifton ed Edgar H. Schein, sulle attività del comunismo, e in particolare del maoismo cinese.

 

La teoria che Lifton chiama (l’espressione è di Erikson) del «totalismo» e Schein della «persuasione coercitiva» è strettamente legata a premesse tipiche della Scuola di Francoforte, ma fa parte della scienza sociale. Diverso è il discorso per la sua versione caricaturale presentata dalla propaganda del controspionaggio americano durante la Guerra fredda e legata all’espressione «lavaggio del cervello», coniata nel 1950 da Edward Hunter (1902-1978), un agente della CIA che usava come copertura il lavoro di giornalista presso il Miami Daily News. Hunter sosteneva di avere sentito parlare del «lavaggio del cervello» da un giovane cinese esule in Indocina; in realtà, Schein avrebbe più tardi accertato che l’espressione non esisteva all’epoca nella lingua cinese ed è assai più probabile che Hunter la abbia coniata sulla base di un brano sul «lavaggio completo» della personalità dei cittadini da parte di un regime totalitario contenuto nel romanzo 1984 di George Orwell (1903-1950), pubblicato solo un anno prima, nel 1949[2]. Nella versione della CIA, una discussione complessa era ridotta alla metafora – menzionata dal direttore della stessa agenzia, Allen Welsh Dulles (1893-1969), in un discorso del 1953 – secondo cui il cervello umano funziona, molto semplicemente, come un giradischi, e i comunisti hanno scoperto come togliere il disco sostituendolo con un disco nuovo, operazione – assicurava il direttore della CIA – che per di più poteva essere fatta in pochi giorni, se non in poche ore[3].

 

Le teorie – che non vanno confuse tra loro – della persuasione totalitaria e del lavaggio del cervello nascono, così, con riferimento al nazismo e poi al comunismo, ma con echi di critiche alla religione e alla cultura popolare, che a loro volta manipolerebbero i giovani predisponendoli a diventare più tardi preda di ideologie autoritarie. Dichiarando di applicare la teoria accademica del “totalismo”, ma in realtà con accenti che ricordano la propaganda della CIA in tema di “lavaggio del cervello” comunista, uno psichiatra politicamente orientato a sinistra, Fredric Wertham (1895-1981), pubblica nel 1954 Seduction of the Innocent[4], un volume di enorme successo in cui attacca la letteratura per l’infanzia e in particolare i fumetti, la cui influenza determinerà importanti sviluppi giuridici sia negli Stati Uniti, sia in Inghilterra[5]. Gli studi sulla cultura popolare nascono così, quando l’università comincia a interessarsene negli anni 1950, come studi contro la cultura popolare, a suo modo “oppio del popolo” e fomite di indottrinamento delle masse.

 

Nel 1964, Umberto Eco pubblica – dieci anni dopo l’opera di Wertham – uno studio destinato a rivoluzionare l’accostamento accademico alla cultura popolare, non solo in Italia: Apocalittici e integrati[6]. Eco – chiudendo i suoi personali conti con la Scuola di Francoforte – denuncia l’accostamento prevalente nei confronti della cultura popolare come “apocalittico”, facendosi beffe di una vulgata secondo cui letteratura per l’infanzia, televisione e fumetti lavano il cervello alla classe operaia; nello stesso tempo prende le distanze anche dagli “integrati”, cioè da quegli studiosi soprattutto americani che – a mezza strada fra l’accademico e il fan – esprimono il loro affetto e la loro nostalgia per certi personaggi e certi prodotti cultural-popolari senza preoccuparsi di collocarli nel contesto sociale. Anche se i gusti personali di Eco influenzano l’ultima parte del saggio, Apocalittici e integrati apre un’epoca nuova per lo studio della cultura popolare – in particolare della letteratura per l’infanzia di largo consumo e dei fumetti – e favorisce la nascita in numerosi paesi europei di cattedre e istituti universitari dove ogni fenomeno o prodotto è studiato secondo le sue caratteristiche specifiche, senza pregiudizi “apocalittici”.

 

Oggi, in un’epoca di crisi della sinistra, si levano voci revisioniste rispetto a quello che nel 1964 era il revisionismo di Eco: le recensioni malevole contro Harry Potter sono tipiche di questo retrenchment di una sinistra in cerca di identità, che pensa di trovarla tornando all’antico, riproponendo il teorema di Francoforte nella sua versione più stereotipa, e denunciando l’“irrazionalismo” della cultura di massa secondo modelli che risalgono agli anni 1930.

 Harry visto dai fondamentalisti: i talebani italiani

 

Già il dottor Fredric Wertham, personalmente libero pensatore e di sinistra, aveva dovuto allearsi nella sua battaglia per restaurare una qualche forma di censura sulla letteratura giovanile con la “Lega della Decenza” cattolica e consimili organizzazioni protestanti, verosimilmente assai poco consapevoli delle premesse culturali che ispiravano il discorso dello psichiatra di New York. In Italia un’eco delle polemiche americane si ritrova in proposte di legge che negli anni 1949-1953 (dopo – il tema è di sorprendente attualità – delitti atroci commessi da minorenni) un gruppo di deputati democristiani guidati da Oscar Luigi Scalfaro introduce reiteratamente in Parlamento per la censura sulla letteratura per l’infanzia e i fumetti, accusati di trasformare inconsapevolmente i ragazzini in criminali o in “comunisti”. Curiosamente, Scalfaro se la prende particolarmente con il genere western e con gli albi a fumetti de Il piccolo sceriffo, non si sa con quanta consapevolezza di riprendere a sua volta temi tipici della prima Scuola di Francoforte. La campagna di Scalfaro non porta ad alcun esito per la vigorosa opposizione non solo della grande stampa, ma di una parte dello stesso mondo cattolico, guidata dallo scrittore Giovanni Guareschi (1908-1968), certamente anticomunista ma, per disgrazia di Scalfaro, anche fan dei fumetti western e de Il piccolo sceriffo. Guareschi, come gli è consueto, si mette anche nei guai per una vignetta un po’ osée, dove due prostitute – rispettivamente madre e nonna di un ragazzino – si lamentano della maleducazione del piccolo mentre esercitano la loro professione sulla strada. Deve essere colpa dei fumetti western – concludono – augurandosi che il governo li vieti[7].

 

Oggi è questo movimento che – prendendo a prestito categorie sociologiche di solito applicate alla critica militante delle minoranze religiose (definite dagli oppositori “sette”) – potremmo chiamare “contro Harry Potter”, distinguendolo da quello “anti-Harry Potter” laico da cui pure attinge elementi e categorie, si manifesta soprattutto con vigore, e accusa Harry Potter di essere un cattivo maestro e di avviare i ragazzini alla magia e ai movimenti magici, che - si afferma - sarebbero in grande espansione. I suoi argomenti, che ricorrono spesso su una certa stampa cattolica, qualche volta sfiorano il ridicolo: mi si consentirà, quindi, una trattazione più “leggera” rispetto all’esame precedente delle teorie, almeno di diversa dignità culturale, che derivano dalla Scuola di Francoforte. Si tratta qui di una deriva non tanto “di destra” (senza volere entrare qui nel complesso dibattito sulla definizione di “destra”) quanto, piuttosto, fondamentalista.Tra le molte definizioni del fondamentalismo correnti nelle scienze sociali c’è quella - qui pertinente - secondo cui la sua caratteristica specifica è la negazione dell’autonomia delle realtà secolari, in particolare della cultura (e della politica), nel loro rapporto con la fede. Per il laicista, tra fede e cultura ci deve essere totale separazione: una sorta di muraglia cinese che nega al credente il diritto di far diventare la sua fede cultura e di giudicare la cultura alla luce della fede. Per l’uomo religioso non fondamentalista, tra fede e cultura non c’è separazione: vi è tuttavia distinzione, nel senso che la cultura, come tutte le realtà terrene e secolari, ha una sua sfera di autonomia, pur potendo e dovendo essere giudicata alla luce della fede e della morale. Per il fondamentalista, fede e cultura coincidono in una sorta di fusione - che chi fondamentalista non è valuterà facilmente come confusione -, per cui ogni modo di produzione della cultura che non parta esplicitamente dalla fede sarà considerato necessariamente sospetto, se non demoniaco.

 

Il problema - per rimanere alle sue dimensioni sociologiche - è che, almeno dal Settecento e certamente dalla Rivoluzione francese, la cultura popolare (per tacere di quella colta) è ampiamente prodotta a prescindere dalla Chiesa e dalla comunità cristiana, come cultura non anzitutto indirizzata alla missione e alla formazione ma al consumo. Rifiutare pregiudizialmente tutta la cultura popolare moderna e postmoderna in quanto i suoi modi di produzione non sono religiosi è una conclusione cui il fondamentalismo, concepito in modo rigoroso, non può sottrarsi: ma è anche una conclusione che chiude il credente fondamentalista in un ghetto e lo condanna ad alimentarsi di quel poco che è ancora prodotto dall’interno della sfera religiosa.

 

Alcuni neo-talebani impegnati nella campagna contro Harry Potter ci assicurano che la sua autrice non è credente, mentre - per esempio - John Ronald Reuel Tolkien (1892-1973), il creatore de Il Signore degli Anelli, era invece un buon cattolico. So poco delle convinzioni religiose della signora Rowling; mi sembra però che ci sia qui una notevole confusione fra intenzione dell’autore e intenzione dell’opera, che pure sarebbe facile da chiarire senza neppure bisogno degli studi sull’interpretazione di Umberto Eco[8], con il semplice ricorso alla filosofia classica e al buon senso. Intentio auctoris e intentio operis non coincidono necessariamente. Il lettore non è obbligato a conoscere la biografia dell’autore e l’opera, per così dire, parla da sola. Non ho nulla contro Il Signore degli Anelli – al contrario – : ma sfido chiunque non abbia letto una biografia di Tolkien a trovarvi tracce esplicite della devozione cristiana dell’autore. Semmai, il mondo di Tolkien è un tipico mondo alternativo, che assomiglia ben poco al mondo cristiano redento dalla venuta del Figlio di Dio sulla Terra: del che i suoi cristianissimi amici non fecero mai una colpa a Tolkien, perché uno dei compiti di quel tipo di letteratura è appunto la creazione di mondi alternativi.

 

Ma - incalza il talebano di casa nostra - Harry Potter fa della magia. Il problema del talebano italiano è che si è appena convertito al fondamentalismo, e non se la sente (ancora) di andare fino in fondo. Dunque, critiche serrate ad Harry Potter: ma non sentiamo nulla contro Biancaneve (e la strega?), Cenerentola (e la fata?), la Bella Addormentata nel Bosco (e le tre fatine?). Ma, obietta timidamente il neo-talebano, Biancaneve e Cenerentola (e perfino Tolkien) si situano in un mondo fantastico, mentre Harry Potter confonde i bambini perché si muove nell’Inghilterra dei nostri giorni Vero: ma allora perché non prendersela con Peter Pan (che inizia il suo viaggio dall’Inghilterra dei tempi del suo autore), il Mago di Oz o Mary Poppins? (e al talebano non fate sapere che l’autrice di quest’ultima, Pamela Travers [1899-1996], era una fedele discepola dell’esoterista George Ivanovitch Gurdjieff [1866?-1949])[9]. In verità non c’è scelta: o si riconosce che il linguaggio della magia è stato usato per raccontare storie ai più giovani a partire dalle favole, e in gran parte della letteratura per bambini di tutti i tempi, e che i bambini normali lo hanno riconosciuto intuitivamente come linguaggio e non come fotografia della realtà, o si bruciano sul rogo con Harry Potter anche Peter Pan e Biancaneve, e si manda Cenerentola al ballo solo se indossa rigorosamente la burkha.

 

Il problema però - tenta di rispondere il talebano - è che il bambino che oggi legge Harry Potter domani aderirà a qualche movimento magico o occulto. Davvero? Ma certo, risponde il talebano: non è forse a tutti noto che i movimenti magici e gli ordini esoterici sono in crescita? La risposta è no. Non è noto agli specialisti, quelli che non si limitano a collezionare ritagli di giornali oppure osservazioni aneddotiche (più o meno "partecipanti") ma seguono l’evoluzione dei movimenti magici, degli ordini esoterici, delle società occulte: i loro aderenti in Italia (e in molti altri paesi) rimangono sotto lo 0,1% della popolazione[10],e la maggior parte di queste organizzazioni (comprese quelle un tempo più grandi) sono semmai in declino. Certo, fanno notizia e audience in televisione (i sociologi Rodney Stark e Laurence Iannaccone scrivevano qualche tempo fa che i media si interessano di più a tredici adepte della neo-stregoneria che ballano intorno a un calderone che non, per esempio, a tredici milioni di Testimoni di Geova)[11]: ma le notizie non fanno statistica. E in questi dati c’è la prova empirica che il nostro talebano ha torto: dopo un decennio televisivo, cinematografico e di letteratura popolare in gran parte all’insegna del magico e del paranormale (da X-Files a Streghe, e da Ghost a Buffy) ci si dovrebbe aspettare che i giovani si affollino alle porte dei movimenti magici: succede invece esattamente il contrario. Qualora poi si sostenesse (più seriamente) che non le appartenenze ma le credenze magiche sono in aumento, si potrebbe rispondere che sono assai presenti nella società e tra i giovani, ma – a credere alle indagini sociologiche – sono costanti da diversi lustri (forse anche da prima, ma mancano i dati): dunque, all’aumento della fiction magica non è neppure provato che corrisponda un aumento delle credenze nella magia. Aumentano solo i ritagli di giornali, e la fiction magica si auto-riproduce, nel senso che ai prodotti di qualità si affiancano tentativi d’imitazione più o meno rozzi: ma questo, esattamente, che cosa prova?

 

E le ragazzine sataniste (o sedicenti tali) di Chiavenna che ammazzano le suore? - domanda a questo punto, facendosi persino minaccioso, il nostro talebano. Chi ha qualche familiarità con l’inchiesta sa che le ragazze di Chiavenna non passavano il tempo a leggere Harry Potter, e neanche Tolkien, e neppure a vedere sceneggiati televisivi di supernatural fiction. Si interessavano alla morte, al sesso, alla droga e alla disperazione, e continuavano a girare intorno a questi temi con interminabili corrispondenze e diari. Harry Potter, nel loro caso, avrebbe fatto bene? Manca certo la controprova, ma mi permetto di pensare di sì. Il linguaggio della magia - che è il linguaggio principale della cultura popolare prodotta per i più giovani, non da anni ma da secoli - non è certo un salvacondotto che debba consentire ai prodotti di tale cultura di sottrarsi a un giudizio critico. L’unico esame che possiamo fare alla fiction è di natura morale; l’esame di religione vale solo per i prodotti esplicitamente religiosi (se la televisione mette in scena Padre Pio, lo vogliamo ragionevolmente fedele all’originale). E l’esame di morale Harry Potter lo passa a pieni voti. Contro la confusione postmoderna, c’è una chiara distinzione fra il bene e il male. Ma questa distinzione non è dipinta (come capita nelle produzioni dozzinali, e - ahimè - nei tentativi dei fondamentalisti di produrre cultura popolare) usando solo il bianco e il nero. Si utilizzano tutti i colori della tavolozza, e Harry Potter è in grado di far prevalere il bene solo perché conosce un male che scopre misteriosamente dentro di sé e che deve sconfiggere giorno per giorno.

 

Il pericolo, semmai, è che la vera magia di Harry Potter - avviare bambini di sette o otto anni alla gioiosa lettura di migliaia di pagine - sia messa in pericolo dalla scorciatoia cinematografica. Contro questo pericolo, suggerendo discretamente un ritorno al testo scritto, i genitori che hanno sperimentato i benefici effetti di Harry Potter dovranno in effetti vigilare. Ma, di fronte all’avvento minaccioso del talebano italiano – che, dopo Harry Potter, si aggirà già alla ricerca di altri obiettivi – si tratta, tutto sommato, di un problema minore. Il talebano va fermato prima che sia troppo tardi, o al prossimo ballo Cenerentola non riuscirà a entrare senza burkha



[1] Cfr. sul punto il mio Il lavaggio del cervello: realtà o mito?, Elledici, Leumann (Torino) 2002.

[2] Per tutti i riferimenti, cfr. ibid., pp. 52-53. Nel testo si troverà una bibliografia essenziale di tutti gli autori citati nel prosieguo.

[3] Cit. in Alan W. Scheflin – Edward M. Opton, Jr., The Mind Manipulators. A Non-Fiction Account, Paddington, New York-Londra 1978, p. 437.

[4] Fredric Wertham, Seduction of the Innocent, Rinehart & Co., New York – Toronto 1954.

[5] Cfr. sul punto Amy Kiste Nyberg, Seal of Approval: The History of the Comics Code, University Press of Mississippi, Jackson 1998.

[6] Umberto Eco, Apocalittici e integrati. Comunicazioni di massa e teorie della cultura di massa, Bompiani, Milano 1964.

[7] Cfr. Juri Meda, “Vietato ai minori. Censura e fumetto nel secondo dopoguerra fra il 1949 e il 1953”, Schizzo Idee 10 [Schizzo 72], giugno 2002, pp. 73-88.

[8] Cfr. U. Eco, I limiti dell’interpretazione, Bompiani, Milano 1990.

[9] Cfr. i miei "Il maestro e Mary Poppins", Letture, anno 50, quaderno 521, novembre 1995, pp. 24-29; e "Mary Poppins goes to Hell: Pamela Travers, Gurdjieff and the Rhetorics of Fundamentalism", in SEYMOUR B. GINSBURG - H. J. SHARP - NICOLAS TERESHCHENKO (a cura di), The International Humanities Conference: All and Everything 96, The Conveners of the International Humanities Conference: All and Everything 96, Littlehampton (West Sussex), pp. 153-167.

[10] Cfr. i dati riportati in M. Introvigne - PierLuigi Zoccatelli - Nelly Ippolito Macrina - Verónica Roldán, Enciclopedia delle religioni in Italia, ElleDiCi, Leumann (Torino) 2001.

[11] Rodney Stark - Laurence R. Iannaccone, «Why the Jehovah’s Witnesses Grow so Rapidly: A Theoretical Application», Journal of Contemporary Religion, vol. 12, n. 2 (maggio 1997), pp. 133-157 (p. 155).


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