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Perché diciamo no alla proposta di legge italiana sulla manipolazione mentale

("Legge sul plagio, capriccio liberticida della Casa per le libertà", articolo di Massimo Introvigne su "il Foglio", 19 marzo 2004)

brainwashingIntrovigne, studioso delle sette, boccia la norma sulla “manipolazione mentale”, un’ipotesi di reato “troppo vaga”.
Vietato convertirsi e forse pure cambiare idea


Il 4 marzo la Commissione Giustizia del Senato, ha approvato all’unanimità, salvo un’astensione tecnica, un disegno di legge – proponenti Renato Meduri (An) ed Elisabetta Casellati (FI) – che introduce nel Codice penale un nuovo articolo 613-bis, così concepito: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque mediante tecniche di condizionamento della personalità o di suggestione praticate con mezzi materiali o psicologici, pone taluno in uno stato di soggezione continuativa tale da escludere o da limitare grandemente la libertà di autodeterminazione è punito con la reclusione da due a sei anni. Se il fatto è commesso nell'ambito di un gruppo che promuove o pratica attività finalizzate a creare o sfruttare la dipendenza psicologica o fisica delle persone che vi partecipano, ovvero se il colpevole ha agito al fine di commettere un reato, le pene di cui al primo comma sono aumentate da un terzo alla metà”. Le agenzie hanno parlato di “legge contro i maghi” ma la relazione fa riferimento anche alle “sette” e al cosiddetto “lavaggio del cervello”.
Sulla base di vent’anni di esperienza nello studio delle cosiddette “sette” considero questa legge pericolosa, potenzialmente liberticida e insieme inutile per gli scopi che si propone di raggiungere. Una spiegazione del perché rende necessario riassumere le controversie al riguardo, che non sono nuove. Le teorie del lavaggio del cervello (oggi chiamate della “manipolazione mentale” o del “controllo mentale”) hanno le loro radici remote nella difficoltà di spiegare scelte che alla società appaiono “strane”. In questi casi, si sosterrà spesso che la persona non agisce ma “è agita” da un altro che la costringe a fare qualcosa contro la sua volontà. Così nel XVI secolo si parla dell’influsso onnipervadente della stregoneria, nel XIX dell’ipnotismo. Tra le scelte “strane” che inducono a queste spiegazioni ci sono (fin dalle accuse di convertire usando sortilegi rivolte ai primi cristiani) le scelte religiose considerate eretiche dalla maggioranza, finché con Sigmund Freud (1856-1939) diventa sospetta la scelta religiosa in genere.

I programmi di lavaggio del cervello

In una certa sinistra tedesca la questione della manipolazione mentale, già accennata da Freud per spiegare la conversione religiosa, è applicata al fascismo e al nazional-socialismo: la manipolazione spiegherebbe perché “proletari”, le cui scelte politiche dovrebbero essere secondo le previsioni dell’ortodossia marxista di segno opposto, diventano invece fascisti o nazional-socialisti. Su questo tema la psicoanalisi incontra il marxismo, e si sviluppa un dibattito – in cui intervengono fra l’altro Erich Fromm (1900-1980) e Theodor W. Adorno (1903-1969) – che è alle origini della Scuola di Francoforte. Nel 1934 i teorici della Scuola di Francoforte si trasferiscono tutti negli Stati Uniti e fondano a New York l’Istituto Internazionale per la Ricerca Sociale. Alle origini l’Istituto studia la “personalità fascista” (sviluppando perfino una “scala F”, che dovrebbe misurare il “grado di fascismo” della personalità manipolata); tuttavia, dopo la Seconda guerra mondiale ottiene cospicui finanziamenti (e perde alcuni membri) quando passa a studiare la “personalità totalitaria” non solo nella variante fascista ma anche in quella comunista. Come principale esponente di questi studi emerge lo psicoanalista Erik H. Erikson (1902-1994).
Negli anni Cinquanta si produce una biforcazione. Da una parte, incontrandosi con la teoria generale del totalitarismo di Hannah Arendt (1906-1975), gli studi di alcuni allievi di Erikson (tra cui Robert Jay Lifton ed Edgar Schein, entrambi viventi) costruiscono una teoria del “totalismo” che studia l’adesione a ideologie “totalitarie” – politiche (il modello preso in esame è soprattutto quello comunista cinese) e religiose (il fondamentalismo) – sulla base di tre variabili, tutte e tre ritenute necessarie: le preferenze filosofiche e culturali, l’educazione ricevuta nell’infanzia, e la “persuasione coercitiva” nell’ambito di programmi di “riforma del pensiero” tipici delle “istituzioni totali”. Questi autori precisano che programmi di “persuasione coercitiva” sono all’opera in un gran numero di istituzioni del tutto legittime (Schein fa l’esempio delle accademie militari, delle prigioni, dei conventi di clausura), e che per giudicare se siano accettabili si deve guardare al contenuto e non solo al metodo della persuasione (che, nota Lifton, non è mai “infallibile”, e interagisce con le altre due variabili).
D’altro canto, una propaganda orchestrata da ambienti dei servizi segreti americani utilizza – nel contesto della Guerra fredda – queste stesse idee per affermare che nessuno diventa “fascista” o “comunista” spontaneamente (tanto queste ideologie sono assurde): chi abbraccia queste dottrine lo fa perché è vittima del “lavaggio del cervello”, un’espressione coniata nel 1950 per attaccare la Cina comunista dall’agente della CIA Edward Hunter (1902-1978). La rozzezza delle teorie del “lavaggio del cervello” – presentata dal direttore della CIA Allen Welsh Dulles (1893-1969) nel 1953 con l’esempio del fonografo: nel cervello c’è un disco e i comunisti hanno imparato a toglierlo e a cambiarlo – è derisa dagli stessi Lifton e Schein, così come il tentativo di applicarle ai prigionieri di guerra americani in Corea (di cui, si scoprirà, solo una percentuale infima si “convertirà” al comunismo: altri fingeranno di convertirsi per evitare le torture, che è cosa evidentemente ben diversa).
La CIA, peraltro, in una certa misura crede alla sua stessa propaganda, e tenterà anche attraverso esperimenti – durati vent’anni – di usare il “lavaggio del cervello” a proprio favore per “ricondizionare” agenti nemici e oppositori: dovrà, alla fine, ammettere che il compito è impossibile e porre fine al progetto chiamato MK-Ultra, e il governo americano dovrà pagare importanti risarcimenti ai familiari delle vittime. Il progetto – gestito in Canada (negli Stati Uniti sarebbe stato illegale) dall’eminente psichiatra Donald Ewen Cameron (1901-1967), fondatore dell’Associazione Mondiale di Psichiatria – prova, purtroppo a spese di pazienti in parte non consenzienti, la vacuità della teoria “della CIA” del lavaggio del cervello. A Cameron riesce la prima parte dell’esperimento, che si chiama depatterning e che si propone di eliminare le idee, le abitudini e le affezioni precedenti del soggetto generando una “amnesia selettiva”. Al termine del processo si è raggiunta, nelle parole di un dirigente della CIA, la “creazione di un vegetale”. Quella che invece non riesce è la seconda tappa, che Cameron definisce psychic driving, in cui il soggetto è “ricondizionato” e dovrebbe assumere nuovi modelli di comportamento con un effetto permanente. Il “vegetale” rimane tale: si riesce con dosi massicce di droghe, privazioni del sonno e altre pressioni a “lavare via” dal cervello le idee precedenti; ma non è possibile immetterne di nuove.
Distinguere la teoria eriksoniana del totalismo e quella “della CIA” del lavaggio del cervello è essenziale. La prima appartiene alla storia delle scienze umane, e (benché soffra di pregiudizi che vengono da un accostamento alla psicoanalisi oggi non più condiviso dalla maggioranza degli stessi psicoanalisti) ha offerto interessanti contributi allo studio di alcune ideologie totalitarie. La seconda fa parte del diverso mondo della propaganda politica. La teoria del totalismo afferma che nella gestione dell’influenza non c’è nulla di “magico” e che del resto i regimi e i gruppi “totalisti” utilizzano strategie che sono ampiamente all’opera in tutte le società e di cui non è facile valutare (tanto più a fini giuridici) l’intensità.
Una psichiatria positivista, rappresentata soprattutto dall’inglese William W. Sargant (1907-1988), applica la teoria del lavaggio del cervello “della CIA” alla religione in genere (gli esempi di Sargant sono tratti anzitutto dal cattolicesimo e dal protestantesimo). Negli Stati Uniti un’allieva di Schein, Margaret T. Singer (1921-2003), e altri restringono il campo – intervenendo su polemiche in corso – alle sole “sette”, sostenendo che alle religioni ci si converte per scelta volontaria mentre alle “sette” (cults in inglese) si aderisce perché vittima del “lavaggio del cervello”. L’equivoco di fondo consiste nel fatto che Margaret Singer afferma di applicare la teoria del totalismo di Lifton e Schein alle “sette”, mentre in realtà – sostenendo che il “lavaggio del cervello” asseritamente operato dalle “sette” opera a prescindere da qualunque contesto ed è qualcosa di “magico” e irresistibile – è del tutto evidente che il suo punto di riferimento è la teoria “della CIA”. La questione è complicata dal fatto che Lifton (metodologicamente lontano dalla Singer ma politicamente vicino, in quanto schierato “a sinistra” e ostile alla religione “forte” in genere) sottoscrive una prefazione elogiativa a un suo libro (mentre in altre sedi prende cautamente le distanze). Gli iniziali successi in cause contro “sette” americane si rovesciano nel 1990 quando con la sentenza Fishman, che fa giurisprudenza, una corte federale californiana, dopo avere correttamente distinto sulla scia della letteratura scientifica maggioritaria fra teorie del totalismo e modello “della CIA”, conclude che “le teorie riguardanti la persuasione coercitiva praticata dalle sette religiose non sono sufficientemente accettate dalla comunità scientifica per potere essere ammesse come prove nei tribunali federali”.
Fuori moda negli Stati Uniti – anche se non ne mancano isolati sostenitori – da quindici anni, la teoria del lavaggio del cervello è riapparsa in Europa, soprattutto in Francia, per spiegare come nel paese della laïcité qualcuno possa convertirsi a “sette” bizzarre con idee religiose insieme intense e “oscurantiste”, magari anche di origine “americana”. Ne è nata, fra enormi controversie anche internazionali in cui contro la Francia hanno preso posizione organismi internazionali di difesa della libertà religiosa, gli Stati Uniti, e voci autorevoli delle Chiese maggioritarie, una legge contro le “sette” del 30 maggio 2001, che comporta una modifica dell’art. 223-15 del Codice penale in modo da punire la “riduzione in stato di soggezione fisica e psicologica” e l’uso di tecniche asseritamene capaci di “alterare la libertà di giudizio”. La censura rivolta alla Francia è la stessa che i critici delle teorie del “lavaggio del cervello” hanno sempre manifestato: di fronte a un’ipotesi di reato così vaga, che fa riferimento a nozioni che non hanno uno status scientifico accettato, la legge dà un assist ai giudici che vogliano in realtà punire delle idee, giudicate così “assurde” da poter essere abbracciate solo sotto l’influsso della “manipolazione mentale” e non liberamente.
In Italia tutto questo dà un’impressione di dèjà vu. Sotto l’influsso dell’emozione suscitata dal caso del filosofo comunista Aldo Braibanti, condannato per “plagio” con sentenza definitiva nel 1971 – ma in realtà non occupandosi del suo caso, quanto piuttosto di quello di un sacerdote cattolico carismatico, don Emilio Grasso, accusato da alcuni genitori di “plagiare” i figli – la Corte costituzionale nel 1981 dichiara incostituzionale l’articolo 603 del Codice penale che incrimina come “plagio” l’attività di chi “sottopone una persona al proprio potere in modo da ridurla in totale stato di soggezione”. Per la verità nel progetto del Codice penale del 1930 si precisava lo “stato di soggezione” come stato capace di “sopprimere la libertà individuale”, ma lo stesso legislatore fascista eliminò poi il riferimento alla soppressione della libertà (che ricompare nel progetto di legge attuale) dopo le obiezioni degli ordini degli avvocati che ritenevano tale riferimento foriero di “interpretazioni eccessive e pericolose”.
Secondo la Corte costituzionale, l’influenza e la stessa “soggezione psichica” sono realtà “normali” nei rapporti fra esseri umani: “tipiche situazioni di dipendenza psichica [...] possono anche raggiungere, per periodi più o meno lunghi, gradi elevati, come nel caso del rapporto amoroso, del rapporto fra il sacerdote e il credente, fra il maestro e l’allievo, fra il medico e il paziente [...]. Ma è estremamente difficile se non impossibile individuare sul piano pratico e distinguere a fini di conseguenze giuridiche – con riguardo ad ipotesi come quelle in esame – l’attività psichica di persuasione da quella anch’essa psichica di suggestione. Non vi sono criteri sicuri per separare e qualificare l’una e l’altra attività e per accertare l’esatto confine fra esse”. Ne segue che la valutazione dei risultati del presunto plagio è normalmente “sintomatica”, e le conclusioni sono tratte “a seconda che l’attività esercitata sul soggetto passivo porti a comportamenti conformi o a comportamenti devianti rispetto a modelli di etica sociale e giuridica”. In altre parole il rischio è che, fra le centinaia di situazioni di “dipendenza psichica” della vita quotidiana, si puniscano arbitrariamente quelle considerate dal giudice ideologicamente inaccettabili o impopolari. La norma è quindi “una mina vagante nel nostro ordinamento”, aprendo la strada a una valutazione delle idee costituzionalmente vietata, “mancando qualsiasi sicuro parametro per accertare l’intensità” della persuasione e distinguere quella lecita da quella vietata.
Non vi è ragione di ritornare su quanto la Consulta aveva già considerato nel 1981. Si dirà che esistono “sette” (e maghi) che imbrogliano, truffano, abusano della credulità popolare o peggio violentano bambini, organizzano attentati terroristici, periscono in suicidi di massa. Certo: ma, a parte la necessità di non fare di ogni erba un fascio (siamo abituati a chiamare “sette” centinaia di realtà, dalle più criminali alle più innocue), tutti questi sono reati già previsti e puniti dalle leggi ordinarie in vigore.
Invece le leggi speciali che incriminano reati inafferrabili come “essere una setta” o “praticare la manipolazione mentale” sono, in tutti i paesi dove esistono, forti con i deboli e deboli con i forti. Colpiscono soprattutto gruppi piccoli, deboli, con pochi mezzi per difendersi. I gruppi più forti, invece, anche quando sono davvero responsabili di qualche reato, si difendono assai più facilmente da accuse vaghe e controverse che non da accuse specifiche relativi a reati “normali”. Le leggi anti-sette riescono di solito a essere insieme liberticide e invece innocue nei confronti proprio degli abusi che in tesi vorrebbero colpire.

Il lavaggio del cervello
Per approfondire

Collana "Religioni e Movimenti":
Massimo Introvigne, Il lavaggio del cervello: realtà o mito?
Elledici, Leumann (Torino) 2002

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